PNRR e non-autosufficienza
L’idea di riconvertire le Residenze sanitarie assistenziali in alloggi protetti potrebbe indebolire ulteriormente la protezione offerta da tali servizi
di Guglielmo Giumelli (da lafonte.tv)
8 febbraio 2022
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) prevede “un investimento straordinario sulle infrastrutture sociali, nonché sui servizi sociali e sanitari di comunità e domiciliari per migliorare l’autonomia delle persone con disabilità” (Missione 5: Inclusione e Coesione). Prevede che, dopo più di 25 anni dalla proposta della Commissione Onofri (1977) e di dibattiti e altre proposte, si dia concretezza a una riforma organica, che – si legge – dovrà essere approvata con un apposito provvedimento legislativo entro la fine della legislatura ed essere “volta alla non autosufficienza”. Tale provvedimento dovrà affrontare “in maniera coordinata i diversi bisogni che scaturiscono dalle conseguenze dell’invecchiamento, ai fini di un approccio finalizzato a offrire le migliori condizioni per mantenere o riguadagnare la massima autonomia possibile in un contesto il più possibile de-istituzionalizzato”. Se ne afferma la necessità senza, però, mettere a fuoco quali devono essere i pilasti su cui fondarla. Si parla di processo di de-istituzionalizza- zione. È un processo possibile solo in presenza di una rete di servizi residenziali, intermedi e domiciliari efficaci, efficienti e diffusi sul territorio che tengano conto delle specifiche esigenze territoriali. A tutt’oggi i servizi residenziali accusano pesanti carenze e su di essi non sono mai stati fatti sufficienti investimenti a fronte di un incremento sostenuto di persone non-autosufficienti o con ridottissima autonomia. L’idea di riconvertire le Residenze sanitarie assistenziali in alloggi protetti potrebbe indebolire ulteriormente la protezione offerta da tali servizi non sempre adeguati ai bisogni degli anziani più fragili. Questo dovrebbe essere un ambito privilegiato in cui convogliare forti investimenti strutturali e tecnologici se si vuole rendere le strutture residenziali più umane, professionalmente gestite e dotate di risorse tecnologiche avanzate.
Si enfatizza sulla necessità di promuovere la permanenza a domicilio il più possibile degli anziani anche in presenza di fragilità fisiche e psichiche per allontanare il più a lungo possibile l’istituzionalizzazione. Sono 285mila (Istat 2016) gli anziani non-autosufficienti ricoverati in strutture residenziali. Gli anziani che godono di assistenza domiciliare sono sei milioni. È un dato decisamente basso rispetto a quello di altri Stati europei. Il PNRR prevede un aumento di servizi di assistenza domiciliare e vi destina quattro miliardi. Sono, però, assegnati allo sviluppo dell’Adi (assistenza domiciliare), gestita dalle Unità sanitarie locali, che si occupa di cura infermieristiche e riabilitative per periodi limitati non rispondenti alle necessità di una cura quotidiana continuativa. Forse si dovrebbe incrementare e diffondere l’assistenza domiciliare erogata da comuni in cui hanno centralità la cura della persona, l’aiuto domestico, il sostegno alla mobilità, pasti caldi e via dicendo. Va annotato che, spesso, assistenza domiciliare significa arrangiarsi o fare affidamento, in presenza di un non autosufficiente, sul ‘fai da te’. Non vi è alcun cenno alle badanti che, nei fatti, sono il vero servizio di ‘assistenza domiciliare’ sui cui fanno (o devono) affidamento le famiglie italiane. Vi fa ricorso più di una famiglia su tre con un anziano non autosufficiente. Gode di un regolare contratto solo il 40 per cento. Diventa necessario fare emergere il lavoro nero e pensare a progetti di formazione qualificanti.
Ha un certo peso la cura informale di mercato a cui fanno ricorso molte famiglie. Vi si affiancano i servizi di assistenza professionali. La riforma dovrebbe porsi il problema di far convivere cura informale e professionale, prestazioni sanitare e sociali.
Perplessità sollevano i finanziamenti. Non può esistere una riforma senza specifico e consistente finanziamento, Necessitano, perciò, risorse ordinarie che durano nel tempo. Attualmente sono due i canali di finanziamento: una quota di spesa sanitaria (12,4 miliardi annui) e una spesa assistenziale che viene assorbita in gran parte dall’indennità di accompagnamento (13,5 miliardi annui). Una riforma vera abbisogna di una ‘cassa comune’ delle risorse e un Fondo dedicato.
di Guglielmo Giumelli (da lafonte.tv)