Un antico ‘gioco’ a Sant’Elena Sannita
Una routine comica che accompagnava le lunghe giornate nei campi durante le pause fra una mansione e l’altra
di Federico Jimmy – fb
17 febbraio 2022
Mia nonna e la sua amica d’infanzia rievocano un antico ‘gioco’ santelenese, una routine comica che accompagnava le lunghe giornate nei campi durante le pause fra una mansione e l’altra.
Anno più – anno meno dunque, lo continuano a fare da 60 anni circa e la memoria ancora non le inganna.
Le tradizioni sono dure a morire solo quando ce ne prendiamo cura attivamente; così come si dovrebbe fare con un nostro caro, un famigliare, una nonna od un nonno; quando ai confini della vecchiaia dobbiamo restituire noi in primis il sacrificio di amore e cura che essi hanno operato con noi quando a stento imparavamo a camminare.
Altrimenti esse, trovo, sono facilissime a morire e non mettono radici in nessun terreno; per quanto di buona natura.
In questo senso mi fa piacere pensare – nel guardare questo video -che nonostante la diaspora che ha colpito negli ultimi decenni del ‘900 il paese da cui viene la mia famiglia, Sant’Elena Sannita (la cui intera popolazione autoctona è stata ormai divisa de facto in un’emigrazione che si è consumata quasi equamente fra Roma e Napoli) in qualche modo QUALCOSA, se non proprio tutto, di quella storia rimane.
In me, sicuramente, resta e rimane.
Nella volontà ferma che ho nel voler accudire mia nonna, qualsiasi siano e saranno le difficoltà e gli acciacchi della vita che verrà.
Nell’invogliarla a parlare della sua Storia; delle sue storie… Delle storie delle sue compagne, che poi sono le storie dei loro nipoti – che sono i miei amici – e dunque che inevitabilmente parlano anche della mia, di storia. Perché è tutta una sola Storia. Anche se per caso siamo nati altrove.
Nel continuare a chiederle un altro aneddoto e poi un altro ancora; nel chiederle di mostrarmi ancora un altro canto paesano; un’altra strofa; un altro proverbio; un altro significato di un dialetto che a volte fatico a comprendere come uno che si sveglia straniero in casa propria.
Un altro ballo.
Per sentirmici meno straniero, in questa casa, in questi luoghi, in queste montagne, sassi, pietre e paesi e cani randagi e pecore ed alberi e fumi grigi dai tetti delle case mentre imbrunisce… In questa bellissima moltitudine in cui molti di noi tornano solo l’estate per qualche settimana, e purtroppo ogni estate, sempre meno.
Questo perché ogni volta che passo del tempo con lei e chiedo di questo o quello vedo accendersi in lei una luce, di una brillantezza accecante. Che la ravviva.
Che a volte mi sembrerebbe quasi che possa bastare quella per tenerla in vita per sempre o perlomeno per stare assieme un altro giorno e poi un altro ancora; per quanto ce ne voglia offrire il Signore, come dice spesso lei, e come sono solite spesso ripetere le nonne molisane tutte.
E allora voglio ravvivare quella luce, perché di riflesso sento che questa mi ravviva.
E a questa funzione nessuna cura professionalissima cura – e per carità dignitosissima -di un qualsiasi HOSPICE o “casa di riposo” che sia – potrà mai ovviare.
È un compito a cui non dobbiamo rinunciare per dirci infine, davvero, uomini e non bestie.
Questi i pensieri che mi venivano in mente nel condividere questo video con voi, amici.
Sperando che vi doni un po’ della vita e della FORZA di vita che dà a me stare assieme alla mia nonna e vederla in momenti come questi; ogni giorno ed anno sempre di più; in un mistero nel quale io sento di appartenere e DEVO appartenere.
“Sono il frutto dell’amore che coltivasti.”
di Federico Jimmy – fb