Accadeva in casa D’Amico
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre
di Vincenzo Colledanchise
21 febbraio 2022
La casa dei Cardillo era veramente grande, tanto che furono indotti ad affittare la parte alta al Comune, che vi insediò il Municipio (almeno fino al 1920).
In famiglia predominavano i medici, ma vi erano anche avvocati e monsignori.
Erano ligi agli studi ma non amavano il sacramento del matrimonio. Per le faccende domestiche avevano preso una donna di Jelsi, bella e avvenente.
Dopo qualche anno di permanenza in casa Cardillo, la donna si ritrovò, suo malgrado, incinta. I padroni di casa non la ripudiarono, anzi attesero ansiosi la nascita di Antonio che prese il cognome della madre, D´Amico.
Quando tutti i Cardillo passarono a miglior vita, Antonio D’Amico visse spensieratamente con la rendita dei beni ereditati.
Era un uomo buono. E da uomo buono morì: accadde quasi davanti a casa sua, in Piazza S. Mercurio. Accorso per dirimere una lite tra un torese e un commerciante di Monacilioni, fu colpito da una pugnalata dal forestiero.
Lasciava orfano Francesco che divenne ben presto un ottimo falegname. Francesco si accasò ed ebbe una bimba e cinque figli tutti falegnami come lui. Ma un improvviso malore della consorte lo rese vedovo. Francesco allora si risposò con Antonia, mentre suo figlio Vincenzo sposava la sorella di Antonia, Fiorentina.
Uno alla volta anche gli altri figli si sposarono e lasciarono la casa paterna, dove rimasero solo Francesco e il figlio Vincenzo con le rispettive mogli: Antonia e Fiorentina.
Da sorelle quali erano, era lecito aspettarsi che andassero d’accordo. Invece no. Anche a causa della forzata coabitazione, le due sorelle una volta diventate suocera e nuora si impegnarono a tal punto a rafforzare il luogo comune, che le obbligava a vivere in perenne contrasto, da diventare proverbiali.
(Foto: famiglia di Francesco D’ Amico)