Dentro, la cultura
PNRR e rigenerazione dei territori fuor di retorica
di Letizia Bindi (da agenziacult.it)
4 marzo 2022
Una riflessione ad ampio spettro sui contesti rurali, le aree depresse, periferiche e spopolate, nel quadro di nuove esperienze innovative e processi partecipativi
Il recente dibattito sullo sviluppo rurale sostenibile ha registrato un progressivo passaggio da temi esclusivi riguardanti la sostenibilità e la replicabilità economica delle attività produttive verso una crescente attenzione per i processi di trasformazione, innovazione sociale, inclusione e partecipazione delle popolazioni locali nelle campagne. Questo spostamento è orientato verso una nuova centralità del benessere, verso una socialità compiuta, l’inclusione sociale, le proposte educative formali e informali e infine verso un nuovo rapporto tra spazi e tempi di vita che sarebbe all’origine di una nuova gerarchia tra urbano e rurale o comunque ad una profonda ridefinizione e rimodellamento dei confini tra margini e centro.
Una crescente attenzione è rivolta allo sviluppo e alla rivitalizzazione delle aree rurali remote e fragili, alle preoccupazioni e alle aspettative ecologiche e socio-culturali, evidenziando l’impatto positivo di progetti innovativi e la presenza di “industrie creative” non più solo nelle avanguardie e sperimentali delle grandi città, ma sempre più negli spazi rarefatti e rilassati della campagna, anche se anch’essi reinterpretati in chiave edulcorata e spesso visti dall’esterno, con occhi che potremmo definire ‘urbani’. L’orientamento è quello di lavorare sui contesti rurali, le aree depresse, periferiche e spopolate, affinché possano vivere una nuova effervescenza e coesione socio-culturale come conseguenza di progetti condivisi e co-costruiti che insistono sul valore del patrimonio e della diversità bio-culturale locale, sul potenziale rappresentato da attività locali tradizionali o antiche e pratiche rurali rinnovate e rivitalizzate nel quadro di nuove esperienze innovative e processi partecipativi, riattivando tendenze economiche e sociali positive.
Di recente, in Italia si è acceso un grande dibattito intorno alla “Strategia nazionale per le aree interne”. Ricercatori, attivisti e rappresentanti di associazioni e istituzioni locali riuniti intorno a esperienze associative quali “Riabitare l’Italia” o la Fondazione Appennino, e alcuni collettivi meno formalizzati quali Emidio di Treviri, Montagne in Movimento, Dolomiti Contemporanee, Scatola di Latta, Ritornanti al futuro, per citarne solo alcune tra le più rilevanti e innovative: movimenti, festival, residenze e workshop ispirati alla “restanza”, il concetto quasi filosofico di ‘rimanere’ o ‘tornare’ ai luoghi di montagna/rurali/entroterra (Teti 2004, 2016, 2020).
LA CULTURA COME MOTORE DI CAMBIAMENTO
Più recentemente, con la pandemia e il distanziamento sociale, si è riavviata una riflessione sul rapporto tra “margine” e “centro” che ha spinto a ridisegnare l’idea stessa di sviluppo sostenibile delle aree rurali e periferiche (Carrosio 2019; Broccolini-Padiglione 2020). Progettazione culturale, creatività diffusa, intreccio tra diversi attori del territorio e nuovi arrivati genera una nuova economia rurale basata sulla valorizzazione del paesaggio e degli spazi rurali/montani e la lentezza come contesto di espressione e rappresentazione artistica, ma anche come esperienza di forte coinvolgimento locale in sperimentazioni creative di co-costruzione artistica e innovazione sociale in agricoltura (Bindi-Belliggiano-Ievoli 2021; Bindi in press).
Il concetto di base è che diversi tipi di offerta culturale, basata all’inizio sulla creatività individuale, possono valorizzare la ricchezza locale e promuovere nuovi posti di lavoro attraverso la generazione e l’esportazione di proprietà intellettuale, attirando turisti nelle regioni rurali e determinando un impatto economico positivo nel contesto rurale con nuove strutture culturali, considerando tale trasformazione dell’offerta culturale locale come una questione di radicale cambiamento politico e di diritti civili. L’aumento delle arti visive e dello spettacolo, infatti, dovrebbe influenzare i comportamenti collettivi locali come l’impegno e la mobilitazione degli aiuti da parte della comunità fornendo potenti opportunità e responsabilizzazione degli attori locali.
Le arti e la creatività, inoltre, permettono di individuare e immaginare soluzioni inaspettate alle preoccupazioni ambientali, contribuiscono al benessere sociale e allo sviluppo della comunità culturale, fornendo opportunità per un ripensamento multifunzionale dell’economia rurale locale e della proposta di paesaggio culturale/patrimonio bio-culturale come destinazione turistica (Corrado, 2016; D’Incà Levis 2016; Pulpòn – Cañizares Ruiz 2020; Egusquiza et alii, 2021).
Allo stesso tempo, l’impegno condiviso di progettazione di attività ed esperienze culturali innovative è una grande palestra di impegno civico e politico, contribuisce alla rielaborazione di rappresentazioni delle comunità, tende a veicolare una nozione di identità locale dialogica e dinamica, una critica radicale ai modelli dominanti da tempo all’origine della progressiva emarginazione e svalutazione dei contesti rurali e montani, delle aree più lontane dalle città e più legate a forme di vita autoctone o tradizionali.
Negli ultimi due decenni, con una speciale accelerazione negli ultimi anni, abbiamo osservato forme di organizzazione culturale, festival, residenze d’artista, esperienze di recupero e abbellimento dell’arredo urbano, sperimentazione di nuove forme di artigianato ed eventi organizzati in ambiente rurale non solo per i loro ritorni in termini economici, ma anche come opportunità per ridisegnare gli spazi di campagna, per connettere piacere ed emozioni agli spazi rurali: si tratta di modi nuovi di riabitare le aree rurali e montane, liberati dal complesso di inferiorità e marginalità insufflato da alcuni secoli di paradigma urbano/industrial-centrico (De Rossi 2018; De Rossi-Barbera 2021; Bindi 2019).
Si pensi in questo senso a esperienze che realizzano la saldatura tra recupero e valorizzazione della biodiversità coltivata e dei saperi e pratiche tradizionali di coltivazione e trasformazione delle materie prime agricole con azioni di innovazione e promozione culturale dei territori: la Notte Verde promossa da Casa delle Agri-Culture “Tullia e Gino” a Castiglione d’Otranto, le residenze artistiche promosse in molte aree alpine e appenniniche centrate sul recupero e valorizzazione delle risorse e creatività (NAHR – Nature Art and Habitat Residence in Val Brembana, Dolomiti Contemporanee, la capsula abitativa messa a disposizione di artisti e creativi a Ostana), ma anche i laboratori e i workshop pensati con la popolazione locale (Gagliano Aterno in Abruzzo, ad esempio), le esperienze di valorizzazione del bosco a Biccari, ma anche nella riserva MaB di Collemeluccio-Montedimezzo o nel Giardino della Flora Appenninica di Capracotta in Molise, le esperienze di valorizzazione della biodiversità coltivata e dei saperi locali nei progetti dell’ARSIAL nel Lazio o di recupero e valorizzazione delle pratiche pastorali e dei saperi della transumanza nell’area di Amatrice e del cratere 2016, ad esempio.
È proprio nell’ordine della cultura, inoltre, che si può pensare di ristabilire un proficuo rapporto tra giovani generazioni e territori spopolati e al tempo stesso di intercettare in un nuovo tipo di target turistico, attento all’innovazione e alla sperimentazione, allo sviluppo e all’innovazione sociale, all’inclusione e alla sostenibilità / produzione agroalimentare sana e rispettosa dell’ambiente e degli animali. Tale tipo di attori e visitatori locali è orientato a un benessere olistico e alla solidarietà, tenendo sempre più conto delle forme di convivenza post-umane e post-liberali.
Per creare e incrementare questo tipo di esperienza bisogna far leva su aspetti positivi, come la crescente presenza di artisti interessati a esperienze di immersione nella natura, nelle zone montane e interne dei borghi o dei piccoli centri, specie quelli più deboli e marginali (Symbola 2021). Allo stesso tempo è richiesta una crescente apertura di linee di finanziamento, programmi intergovernativi e sovralocali, a sostegno di questo tipo di attività ed eventi. Tuttavia, naturalmente, nelle aree periferiche, rurali e fragili persistono elementi di criticità come la mancanza di servizi adeguati, la reazione non sempre entusiasta delle popolazioni locali nei confronti dei nuovi arrivati, un approccio ancora urbano-centrico di sponsor, broker, agenti turistici che non stanno lavorando seriamente sulla promozione delle aree periferiche.
Nei progetti mirati passa un’idea poliedrica di campagna e di montagna, di aree periferiche o relativamente marginali e di paesi: esperienze centrate sulla terra, sul paesaggio, sul valore della natura, della biodiversità coltivata e allevata e al tempo stesso orientata verso modelli più sostenibili e al tempo stesso sull’innovazione sia in termini di produzioni agroalimentari e artigianali che per ciò che concerne specificamente le industrie e i collettivi, più o meno formalizzati, impegnati in cultura. Anche le aree protette e i parchi hanno cercato di rappresentare e rappresentano oggi, a maggior ragione, una “occasione di riscatto e di sviluppo per comunità e istituzioni locali” veicolando attenzione verso “territorio, identità, autonomia, sistema, conservazione, biodiversità, sviluppo locale” (Renzi 2019), come accaduto, ad esempio, nel quadro del grande Progetto APE – Appennino Parco d’Europa,
In tal senso, arti, creatività, sviluppo culturale delle aree fragili rappresentano oggi anche una strategia di adattamento economico in risposta alla riduzione di altre attività precedentemente dominanti come l’agricoltura, l’estrazione di materie prime (legno e metalli), la pesca e l’artigianato, sostenendo il modello multifunzionale, basato sulla produzione agroalimentare intrecciata alle diverse economie dell’ospitalità e degli eventi culturali.
La narrazione, il racconto dei luoghi e i repertori partecipativi delle collettività locali sostengono l’economia locale e i cambiamenti sociali, ri-articolando un rapporto con l’identità locale passata e con le trasformazioni presenti di fronte ai crescenti attriti di un’economia post-capitalista basata sulla retorica del progresso e della crescita indiscriminata.
Guardare queste contraddizioni dagli interstizi delle regioni rurali e montane e delle culture autoctone implica riconsiderare i rapporti con l’ambiente, l’ecoturismo rurale, l’agricoltura sostenibile e interrogarsi circa la recente riconnessione dei giovani con la terra cui stiamo assistendo. In questo quadro, le arti contemporanee e le attività culturali possono contribuire a promuovere il rispetto, la coesione sociale e l’inclusione, nonché la partecipazione della cittadinanza e l’empowerment della comunità, ma anche visioni innovative e futuri sostenibili nelle campagne.
LE NUOVE OPPORTUNITÀ ECONOMICHE PER LA CULTURA
Allo stesso tempo, le comunità e gli attori della scena culturale di questi anni devono imparare, specie in questa nuova fase post-pandemica, a gestire i divari di sviluppo locale, l’improvvisa disponibilità di finanziamenti connessa al PNRR e alle altre misure in avvio con la nuova programmazione europea. Il rischio è che alla retorica assai diffusa in questi mesi del “denaro a pioggia” in arrivo nel quadro dei piani di recupero e rigenerazione, i divari gestionali, organizzativi, di capacità tecniche di packaging dei progetti finisca nuovamente per penalizzare le aree che maggiormente dovrebbero beneficiare di queste misure. Non è solo questione di “essere pronti”, o “capaci”, di saper proporre velocemente un progetto efficace, ma piuttosto il quadro di riferimento dell’investimento in cultura che rischia di contraddire le diffuse invocazioni all’inclusività e capacità di incidenza strutturale delle misure messe in atto.
Mi riferisco con ciò ai bandi attualmente aperti in materia di cultura nelle aree interne e spopolate, volti ad aumentare l’attrattività del sistema turistico e culturale del Paese attraverso la “modernizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali” (cito dalla presentazione del bando) suddivisi in investimenti del Piano Strategico Grandi Attrattori Culturali (4275 mld di Euro) e gli interventi di tutela, valorizzazione e promozione culturale (1460 mld di Euro per 14 interventi speciali).
Se la misura 1 insiste sull’innovazione e la transizione digitale (piattaforme e strategie digitali per l’accesso al patrimonio culturale per 500 mln) e sul miglioramento dell’efficienza energetica dei “luoghi di cultura” e la rimozione delle barriere architettoniche volte a migliorarne l’accessibilità e inclusività (cinema, teatri, musei per 300 + 300 mln. di Euro), la Misura 2 va al cuore delle aree fragili e spopolate, orientando l’azione verso un Piano Nazionale Borghi volto a valorizzare il “grande patrimonio di storia, arte, cultura e tradizioni presente nelle aree interne dall’enorme valore paesaggistico-culturale e dal grande potenziale di crescita economica” (1020 mld.), verso la Protezione e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale (600 mln) per la “riqualificazione dell’edilizia rurale storica e degli elementi caratterizzanti il paesaggio oltre che per un opportuno censimento dell’architettura rurale e la raccolta e scambio di conoscenze sul patrimonio rurale e il paesaggio”. Infine dedica una piccola porzione ancora di finanziamenti (300 mln.) alla valorizzazione di parchi e giardini storici orientando al restauro, ma anche alla formazione di operatori del settore, individuando la suasiva figura di “giardiniere dell’Arte”. Con la Misura 3, il PNRR, orienta, infine, la sua azione verso le Industrie culturali e creative 4.0 con un finanziamento specifico destinato a Cinecittà e al Centro Sperimentale per la Cinematografia (300 mln) e lo Sviluppo delle capacità degli operatori della cultura per gestire la transizione digital e verde (155 mln), intendendo con ciò migliorare l’ecosistema in cui operano gli operatori culturali e creativi e orientando la loro azione verso progetti innovativi e eco-compatibili.
La misura 2 sulla “attrattività dei borghi storici” prevede progetti locali di “rigenerazione culturale e sociale” riservati a comuni sotto i 5000 abitanti (aggregati in gruppi di massimo tre comuni), volti alla tenuta/incremento dei livelli occupazionali, al contrasto all’esodo demografico, all’incremento della partecipazione culturale e alla tenuta/incremento dei flussi turistici. Punta all’individuazione di 21 progetti-pilota esemplari nelle varie regioni italiane di processi virtuosi ed efficienti di rigenerazione territoriale attraverso azioni di conservazione e valorizzazione dei patrimoni culturali materiali e immateriali presenti sui territori.
OLTRE IL “PICCOLOBORGHISMO”
Al di là della mia personale idiosincrasia verso la logica episodico-evenemenziale degli investimenti culturali ad effetto e verso la retorica “piccoloborghista” (Bindi 2021) che ha animato la grande narrazione recente in materia di rigenerazione delle aree fragili, ritengo importante soprattutto una riflessione sul modello di sviluppo e rigenerazione che sembra essere veicolato da queste misure e mi interrogo su come sia possibile ‘abitarlo’ e riempirlo di contenuti e pratiche non verticali, realmente e non solo retoricamente partecipative, ma soprattutto garantire continuità ai progetti e replicabilità.
La linea di interventi di grande momento, ma di fatto puntiformi sin qui delineata va nella direzione delle storie esemplari, delle buone pratiche, dell’eccellenza che individua una modalità di sviluppo che pur auto-dichiarandosi sostenibile e orizzontale, ripercorre linee di progettazione e implementazione chiaramente improntate a un certo neoliberismo sia in materia di industrie culturali che di turismo: individua poli attrattori, si allontana da un’idea di paesaggio culturale diffuso da proteggere e valorizzare, mette i patrimoni immateriali a corollario di operazioni di marketing basate su retoriche neo-identitariste, centra su cibo e tipicità come volani di una “cartolinizzazione” dei luoghi “buona da raccontare” e disseminare attraverso potenti piattaforme digitali controllate da istituzioni o grosse agenzie di marketing turistico.
I processi partecipativi invocati da più parti rischiano di essere cancellati e adombrati dalla velocità e dall’efficientismo richiesti per stare nei tempi. L’immediata “cantierabilità” – altra, nuova parola magica del design della rigenerazione – rischia di seppellire e occultare processi locali virtuosi, avviati realmente dalle collettività, ma che hanno tempi e modalità di maturazione diversi e che spesso non filtrano nelle maglie molto strette dei circuiti di pre-programmazione, di interlocuzione più o meno formalizzata volta a individuare i progetti spendibili, da selezionare e valorizzare.
Si pone con forza un tema di monitoraggio e vigilanza, di reale coinvolgimento dei soggetti locali nei processi di elaborazione e implementazione delle azioni rigenerative senza il quale, in primis, i progetti che si avvieranno difficilmente riusciranno a trasformarsi in reale volano di aree intere del Paese, cui sembra orientare il Piano.
ASCOLTA E CAMMINA
C’è bisogno, invece, di una campagna ampia di ascolto e consultazione delle comunità e dei gruppi più o meno formalizzati a livello locale che ci aiuti a pensare un modo pro-attivo di disegnare lo sviluppo e la rigenerazione culturale e sociale dei territori fragili: partire dalle molte esperienze già in atto, nate sulla scia di azioni locali spesso spontanee, o attività grazie a piccole misure di finanziamento, ma profondamente condivise dalla popolazione – le cooperative di comunità, le esperienze di festival itineranti consolidatesi nelle diverse aree del Paese, le molteplici esperienze di residenze d’artista, di laboratori creativi sparse nelle diverse aree interne e montane, la sinergia straordinariamente positiva tra esperienze di innovazione e sostenibilità in agricoltura e le esperienze di nuovo abitare e di nuova creatività nelle aree rurali.
Anche su un fronte particolarmente fortunato sul piano dello sviluppo locale come quello dei cammini, si deve pensare a orientarlo verso una radicale azione di animazione territoriale supportando capillarmente la rivitalizzazione di luoghi abbandonati e spopolati, marginali rispetto ai grandi circuiti culturali e artistici e sostenendo l’agricoltura sostenibile e le forme tradizionali di trasformazione delle materie prime che sono sedimentate nelle località toccate dai cammini stessi, perché possano divenire partendo dalla narrazione dell’appartenenza e del senso di comunità, una leva fondamentale della rigenerazione territoriale.
Le non-guide turistiche, come quella di Ussita, nei Monti Sibillini, insieme alla tappa locale del Festival itinerante del Turismo sostenibile IT.A.CÁ, le mappe e dei luoghi come alcune esperienze realizzate in Molise (Frosolone, Ripalimosani, ora Guglionesi, l’area di minoranza linguistica arberëshe e croata) o gli inventari partecipativi della biodiversità coltivata e allevata come sta accadendo in questi anni in alcuni progetti laziali, umbri, marchigiani possono avere davvero un impatto generativo sui territori e le comunità aprendoli, tra l’altro, efficacemente allo scambio e all’interlocuzione con nuove realtà.
DONNE RIGENERANTI
Un altro aspetto rilevante e non marginale è il ruolo fondamentale delle donne nei contesti di animazione creativa dei territori periferici, montani e rurali. Puntare su un maggiore protagonismo femminile nei vari campi dell’attivismo socio-culturale e politico, appare oggi particolarmente opportuno per le esperienze e le opportunità creative sulla dimensione locale.
Sono temi di rilievo in questo senso quello della custodia condivisa dei beni comuni, della solidarietà e interesse collettivo tra e all’interno delle comunità, il pensiero femminile del cosiddetto post-sviluppo. Le donne nei contesti rurali e periferici si stanno rivelando in questi anni un vero presidio contro la produzione e il consumo indiscriminato di beni, contro gli sprechi e le produzioni non sostenibili sul piano ambientale e della salute dei cittadini e di sé stesse (Collettivi di donne e madri a tutela della salute ambientale, ad esempio), ma anche opponendosi alle forme di persistente marginalizzazione e inferiorizzazione di genere nelle aree più lontane dai circuiti della professionalità urbana.
Fare cultura inclusiva delle diversità, riportare al centro i corpi e le loro differenze nel design dei progetti di rilancio delle aree interne e fragili, non è un dettaglio politicamente corretto, ma aiuta a cambiare in modo radicale la prospettiva sul cambiamento, sull’innovazione sociale e sulle culture da valorizzare e sostenere nelle diverse realtà locali.
CIRCOLARITÀ RESTITUTIVA
Ciò che sta emergendo relativamente di recente dall’insieme delle esperienze osservate nei piccoli centri urbani, nei paesi, specie delle aree fragili e interne, è una tendenza verso il rilancio di un’attività agricola e artigianale profondamente radicata, nonché verso la progettazione di nuove forme di rigenerazione locale basate sul turismo sostenibile e “nuovi arrivi”. Si afferma la convinzione di un potenziale connesso alla presenza di nuove tipologie di lavoratori a distanza (smartworkers) o “nomadi digitali”. Alcuni di loro prendono davvero in considerazione l’ipotesi di vivere in zone rurali e montane, anche molto appartate, grazie alla possibilità di lavoro a distanza e considerando la qualità della vita in queste zone più sostenibile rispetto a quella delle grandi aree urbane.
La riflessione portata avanti negli ultimi cinque anni da gruppi e associazioni coinvolti nel processo della “Strategia Nazionale per gli Spazi Interni” (SNAI) e dagli studiosi/attivisti che si raccolgono attorno a Riabitare l’Italia, così come altre Associazioni, Centri di Ricerca e collettivi più o meno informali hanno sviluppato un’attenzione alla fluidità dei confini tra margini e centri, tra aree urbane e rurali/montuose. Al tempo stesso orientano l’azione collettiva verso nuove forme di sviluppo e rilancio economico e socio-culturale basato sull’inclusione e sulla partecipazione, capace di tenere insieme aspetti innovativi e di ancorarsi al passato e alla memoria condivisa.
La multifunzionalità delle aree rurali e la loro capacità di gestire innovazione e recupero, storia e valorizzazione del patrimonio bio-culturale rappresentano oggi le vere competenze da sviluppare per “coltivare la bellezza” (Si vedano, in tal senso, le intense e ben raccontate esperienze portate di recente in TV da Emilio Casalini con “Generazione bellezza”) e per guardare alle economie rurali tardo moderne dal punto di vista della sostenibilità finanziaria e un benessere generale dei cittadini.
Arti e sperimentazione creativa, scambi culturali e contaminazioni interculturali diventano, così, un modo non retorico di ripensare il margine, sviluppando una critica radicale dei limiti dello sviluppo socio-economico tardo-capitalista, mettendo in discussione le asimmetrie di un contesto etno-culturale ed economico, la parte storica tra nord e sud del Paese, tra aree urbane e rurali.
I percorsi di innovazione sociale si basano sulla conoscenza reciproca e sulla cura profonda dei luoghi e delle persone: un’economia morale ed emotiva capace di ritessere relazioni screpolate, logore e perdute tra le persone, tra gli esseri umani e non solo umani, con la natura, riconsiderando le “gerarchie globali di valore” e l’idea estrattiva di una “monocultura delle menti” che la cultura, le arti e la creatività hanno sempre cercato di incrinare.
Nel 1981 Maria Lai, artista sarda, rifiutandosi di realizzare, come le era stato chiesto, un monumento ai caduti ad Ulassai, suo paese d’origine, propose invece una straordinaria opera di “arte relazionale”, intitolata, significativamente, Legarsi alla montagna (https://www.raicultura.it/arte/articoli/2019/11/Maria-Lai-9aa5a638-a435-41bb-81f5-50fc6002381c.html). Si ispirò ad una leggenda secondo la quale centoventi anni prima, nel 1861, un crinale del monte che domina il paesaggio di Ulassai aveva ceduto, travolgendo una casa e tre ragazze che vi abitavano. Solo una si era salvata, secondo tradizione, tenendo in mano un nastro azzurro. A partire da questo racconto emblematico, l’artista aveva raccolto i tessuti, li aveva distribuiti coinvolgendo tutti gli abitanti di Ulassai e li aveva fatti, fisicamente, collegare tra loro e stenderli intorno alla montagna passando di porta in porta, di luogo in luogo nel paese con la striscia blu. Questa semplice idea di un filo o di un nastro che unisce diventa azione artistica e occasione d’incontro e riavvicinamento tra membri della stessa località, creando connessioni dove si erano create distanze, diffidenze o inimicizie. La montagna e la natura circostante si fanno elementi di cura e salvezza, rigenerati dalla costruzione del legame rappresentato dal nastro di tessuto azzurro.
L’opera di Maria Lai rinvia a un pensiero relazionale e cooperativo che fa di ogni singolo abitante del borgo un protagonista dell’atto artistico e dell’azione sociale, spettatore di sé e degli altri, fruitore e attore al tempo stesso di una montagna simbolica che fa del margine il mondo, rendendo, fuor di retorica, i luoghi nuovamente abitabili.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
Bindi L. (2019) Restare. Comunitá locali, regimi patrimoniali e processi participativi. In Cejudo Garcia E. – Navarro Valverde F. (a cura di), Despoblación y transformaciones sociodemográficas de los territorios rurales: los casos de España, Italia y Francia “Perspectives on Rural Development”, Lecce: Università del Salento, pp.273-293.
Bindi L. (2020) “Walking along the Sheeptrack…Rural Tourism, Ecomuseums and Bio-Cultural Heritage”, Sustainability, 2021 (13), 8870.
Bindi L. (2021) “Oltre il piccoloborghismo. Comunità patrimoniali e rigenerazione delle aree fragili”, Dialoghi Mediterranei, 48.
Bindi L. (2022, in press) “Bio-cultural Heritage and Communities of Practice. Participatory Processes in Territorial Development as a Multidisciplinary Fieldwork”. Perspectives, Lecce: Università del Salento.
Broccolini A. – Padiglione V. (2017), Ripensare i margini. L’Ecomuseo Casilino per la periferia di Roma. Roma: Aracne.
Carrosio G. (2019), I margini al centro. L’Italia delle aree interne tra fragilità e innovazione, Roma: Donzelli.
Corrado Federica, Costruire Politiche di sviluppo sostenibile per le Alpi, in Davide Del Curto – Roberto Dini – Giacomo Menini (eds.), Alpi e Architettura. Patrimonio, Progetto, Sviluppo locale, Mimesis/Architettura, 2016 (21), pp. 229-236.
D’Incà Levis Gianluca, Dolomiti Contemporanee, laboratori d’arti visive in ambiente. Cura e rigenerazione e paesaggio e patrimonio, in Davide Del Curto – Roberto Dini – Giacomo Menini (eds.) (2016), Alpi e Architettura. Patrimonio, Progetto, Sviluppo locale, Mimesis/Architettura, 2016 (21), pp. 293-304.
De Rossi A. – Barbera F. (Eds.) (2021), Metromontagna, Roma: Donzelli.
De Rossi A. (2018). Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Roma: Donzelli.
Egusquiza, A.; Zubiaga, M.; Gandini, A.; de Luca, C.; Tondelli, S. (2021), “Systemic Innovation Areas for Heritage-Led Rural Regeneration: A Multilevel Repository of Best Practices”. Sustainability 13, 5069. pp. 1-27.
Fondazione Symbola. (2021), “Io sono cultura. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”. I Quaderni di Symbola, 15/04/21.
Ruiz Pulpón Á. R. – del Carmen Cañizares R. M. (2020), “Enhancing the Territorial Heritage of Declining Rural Areas in Spain: Towards Integrating Top-Down and Bottom-Up Approaches”. Land, 9, 216, pp. 1-24.
Renzi F. (2019), “Aree Protette”. In Legambiente, Il dizionario del cambiamento, Roma: Legambiente.
Teti V. (2004), Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati, Roma: Donzelli.
Teti V. (2016), Quel che resta. L’Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni, Roma: Donzelli.
Teti V. (2020), Nostalgia. Antropologia di un sentimento del presente, Bologna: Marietti.
di Letizia Bindi (da agenziacult.it)