Il ponte levatoio nei castelli
Alzato separa, abbassato unisce
di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)
9 marzo 2022
Infatti dobbiamo leggere unitariamente il castello con la sua area di pertinenza in cui vi possono essere i magazzini, i corpi di guardia, ecc… La struttura castellana, poi, a volte fa un tutt’uno con un’architettura religiosa alla quale magari è collegata tramite una galleria aerea.
Dire che nel Molise non vi sono tutte le tipologie di castello che compaiono nell’ambito italiano non significa dire che qui non vi sia una grande varietà di strutture castellane. C’è qualcosa di vero nell’espressione «il Molise non esiste» nel senso che è una terra isolata, per cui poco conosciuta dal resto della nazione tanto da esserne messa in dubbio l’esistenza; l’isolamento l’ha portata a non essere stata coinvolta in eventi bellici, dall’ultima Guerra Sannitica in poi, per cui non sono presenti imponenti fortificazioni.
Non c’è stata la spinta di un’emergenza guerresca ad edificarle, senza i quali episodi, frequenti, sarebbero rimaste inutilizzate, costruite inutilmente. Bisogna sottolineare, inoltre, che la situazione politica con l’avvento degli Spagnoli si era stabilizzata nell’Italia del sud, erano finiti i conflitti interni, con la difesa affidata ad un esercito nazionale (in quello di epoca borbonica, faceva parte pure Gabriele Pepe, curiosità) per cui non era più richiesto l’apporto militare dei grandi feudatari tipo Cola di Monforte o Giacomo Caldora come quando essi parteciparono con proprie truppe alla lotta tra Angioini e Aragonesi per il trono di Napoli.
Da tutto quanto esposto se ne deduce che i castelli nostrani sono piccoli. Bisogna aggiungere per spiegare l’assenza di alcune specie di castello presenti invece nel resto del Paese che l’inizio del dominio ispanico, il quale, per quanto visto, eliminò la necessità di rafforzamento delle attrezzature militari tanto che i manieri furono trasformati in residenze signorili, coincide con l’apparizione delle armi da fuoco.
Da esse ne viene il cambiamento del modo di condurre gli scontri armati e di conseguenza una profonda rivisitazione della concezione delle fortificazioni; tale cosa avvenne essenzialmente al centro-nord della Penisola suddiviso in tanti statarelli “l’un contro l’altro armati” e, peraltro, esposti alle incursioni straniere. Innovazioni, per concludere, che non interessarono la nostra regione. Passiamo ora al punto. La lettura dell’aspetto di un castello è bene che cominci dal di fuori e così facciamo dilungandoci sulle opere extracastellane.
Anche in riguardo allo spazio extra-moenia troviamo una diversità di situazioni. Il castello è spesso complementare (è meglio il viceversa) ad un luogo di culto e tale rapporto è differente da castello a castello. Il caso di Pescolanciano è un caso a sé perché esso è introiettato in seno all’architettura castellana e costituisce una cappella privata dei duchi D’Alessandro. A Vastogirardi non è di proprietà della famiglia feudale la chiesa di S. Nicola che è contigua alla dimora fortificata dei Petra, a lungo i feudatari, ma qui trovano sepoltura i componenti di tale dinastia gentilizia.
È diversificato il modo in cui si rapportano fra di loro edificio religioso e nobiliare, a volte tramite una galleria sopraelevata come a Vinchiaturo che collega il palazzo Iacampo con la parrocchiale o a Lucito tra il palazzo Capecelatro e la chiesetta di S. Gennaro, a volte stanno spalla a spalla e ciò si verifica a Casacalenda dove il palazzo ducale dei Di Sangro fiancheggia la chiesa-madre e analogamente a Spinete e nella già citata Vastogirardi con in quest’ultimo paese una grata nel muro di separazione tra edificio cultuale e nobiliare attraverso la quale i titolari del feudo possono assistere alla messa senza mischiarsi con il popolo.
Un collegamento più lasco e, comunque, un collegamento, diciamo così, emotivo data la vicinanza che unisce idealmente lo spazio sacro e quello pagano, vi è a Torella, li divide uno stretto vicolo, e a Ripalimosani con gli ingressi del castello e della chiesa matrice che si fronteggiano. Da sottolineare il legame che denuncia tale prossimità tra la sede della parrocchia e il palazzo feudale, tra il potere ecclesiastico e quello civile, da fare del loro insieme una sorta di polo direzionale dell’abitato.
Passiamo ora, sempre rimanendo al di qua dell’opera architettonica, all’ingresso e, in particolare, al ponte levatoio che conduce ad esso. A Ferrazzano e a Venafro esso è stato ricostruito in muratura, mentre a Campobasso ci si è accontentati di far rimanere a vista le tracce dell’impianto di sollevamento del ponte movibile rinunziando a qualsiasi ipotesi di ripristino dello stesso o alla costruzione di un altro manufatto di scavalcamento del fossato. A Pescolanciano il pontile che c’è per la sua leggerezza assomiglia più di tutti al prototipo del ponticello sollevabile medioevale quale doveva essere, formato da un semplice, pur se robusto, non un artefatto edile, tavolato.
Si soffermano sul ponte venafrano, il quale, in verità ricorda un viadotto a causa delle sue due arcate per una breve digressione. La passione dei Pandone per i cavalli, raffigurati più di uno sulle pareti delle sale del castello, fa pensare allo spirito cavalleresco, quello che animava i cavalieri dei bei tempi andati. Fra le parole di derivazione dal vocabolo cavallo, lo si sarà notato, non c’è il termine cavalleria perché pur essendo ancora vivi, siamo nel XVI secolo, gli ideali, vedi i paladini dell’Orlando Furioso, non era più il tempo, richiamando l’osservazione iniziale sulle armi da fuoco, delle battaglie campali, quelle dei cavalleggeri, e neanche è l’ambito geografico adottato.
Il nostro infatti è montagnoso; sono scarse le aree in cui potersi scontrare in campo aperto, una delle poche è la piana di Sessano dove le truppe, anche su cavalcature, di Alfonso il Magnanimo sconfisse quelle del Caldora. I destrieri attraversando a galoppo il ponte levatoio lo sottoponevano a consistenti oscillazioni e, invece, i carri merce, piuttosto che con sollecitazioni dinamiche, lo impegnavano con consistenti carichi essenzialmente statici per via del loro lento incedere. Da qui il sostegno intermedio nel ponte del castello di Venafro.
I magazzini per tali ragioni sono posti fuori dal castello come succede a Riccia, conosciuti proprio con il nome Magazzini del Castello, e a Pescolanciano. È interessante il confronto tra questi due casi: a Riccia essi risultano separati dal castello a causa del passaggio della principale strada di collegamento extraurbano che conduce all’agglomerato urbano e ciò si verifica pure per la chiesa del Beato Stefano, a Pescolanciano il magazzino è all’interno del recinto che antecede il palazzo ducale, dunque è a prova di infrazione.
Rimanendo in quest’ultimo comune e rimanendo ad osservare il ristretto spazio esterno che precede il ponte levatoio notiamo che per accedervi occorre superare un portone ad arco con cancello protetto da beccatelli il che, certo, incrementa la sicurezza dei beni conservati nel locale magazzino. Vi sono castelli, Castropignano, che hanno manufatti avanzati accessori alla stregua di un bastione che a qui è configurato con un netto e tagliente spigolo. Non è un castello, ma una villa fortificata, il Casino del Duca a Civitanova, il complesso in cui ci sono i corpi di guardia a protezione dell’ingresso, ancora una cancellata, della corte antistante ad esso.
di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)