Con le 6 porte aperte città piena di spifferi
Sono quelle di Campobasso, ma le porte sono ancora presenti in molti centri molisani. Ne vediamo alcune caratteristiche salienti
di Marcella Calascibetta – fb
14 marzo 2022
L’unico centro in cui la porta urbica è dotata di un portone è Lucito dove è stato installato alcuni anni fa. Nel capoluogo regionale gli spifferi ci sono perché le porte sono senza l’infisso.
Le porte urbiche qui da noi sono immancabilmente dei “pezzi unici”, nel senso che sono tutte diverse tra loro. Sono, comunque, dei pezzi unici anche per la loro fattura che è sempre di qualità. Non c’è una porta uguale all’altra, neanche all’interno dello stesso comune come si può riscontrare a Campobasso; una precisazione da fare è che utilizzeremo quando sarà necessario per esemplificazione gli ingressi al nucleo antico campobassano sia per il significativo numero di porte lì presenti, un autentico campionario, ben sei (2 sono mancanti) sia perché è il centro conosciuto da tutti (meno la parte storica, in verità) essendo il capoluogo di regione.
Un’annotazione ulteriore che facciamo adesso, e che forse sarebbe meglio fare in conclusione dopo aver mostrato la varietà delle porte urbane presenti nel nostro territorio, è che tale diversità è un valore, un po’ come lo è la biodiversità, in campi differenti, la prima in quello del patrimonio culturale, la seconda in quello naturalistico, ambedue da proteggere.
Inizieremo l’esposizione dicendo che le porte, erette tutte nel medioevo quando rispondevano, poiché parte della cinta muraria, ad esigenze difensive (chiudendosi), hanno mantenuto una pregnanza anche nelle epoche successive che ha permesso loro di sopravvivere, caduta la domanda di sicurezza: la valenza semantica che si portano dietro è dello tesso tipo di quella degli usci delle case, fatte le debite proporzioni, di momento di transizione tra l’interno e l’esterno, nel caso delle porte urbiche tra campagna e città e nel caso degli usci tra spazio domestico e collettivo.
Nel transitare sotto una porta, di abitato o di abitazione, non conta, si compie sempre un “rito di passaggio”, un mutamento della propria situazione esistenziale, per cui non si può restare indifferenti al valicarne la soglia. Tale significato della porta è effettivamente sottile, attiene alla sfera dell’antropologia, mentre è assai più esplicito quello della porta, allorché sormontata da uno stemma, o della cittadina, la porta S. Antonio Abate a Campobasso, o gentilizio, la porta del borgo fortificato di Vastogirardi con l’emblema dei Petra, quale elemento architettonico identificativo, rispettivamente, di una comunità e di una gens se non addirittura celebrativo.
Tutte le cose che si sono dette, le emozioni che si provano attraversando una porta cittadina oggi è difficile comprenderle in quanto l’agglomerato urbanistico si è sfilacciato, non ha confini certi, non vi sono, di conseguenza, porte da varcare. Le porte sono differenti l’una dall’altra, lo si ripete, è quasi una regola dei borghi medioevali che i Romani non conoscevano; nel costruire le proprie colonie essi realizzavano un unico modello di porta, vedi le porte, tutte identiche, rimaste in piedi ad Altilia, che ne aveva 4.
La comparazione con aree archeologiche prosegue adesso con Montevairano per parlare delle tipologie di porta “a baionetta”, quelle per cui nell’entità insediativa si entra seguendo un tragitto non diritto, bensì un percorso con angolazioni, una o plurime, in modo che l’ingresso vero e proprio risulti defilato. Nell’antichità essa era chiamata Porta Scea, ne è riemersa una nel sito in questione durante la campagna di scavo degli anni ’80.
Porte con andamento a gomito dell’androne e perciò delle percorrenze lungo di esso non sono infrequenti nella realtà molisana: a Molise, a Ripabottoni, a Castelpetroso, a Fornelli per indicarne alcune. Si tratta sempre di porte che immettono in strade urbane in pendenza e ciò potrebbe far pensare che la curvatura in pianta che le contraddistingue sia dettata dall’esigenza di superare il salto di quota e pertanto funzionale ad addolcire la salita, cioè che non necessariamente tale disposizione planimetrica del sistema atrio-porta sia legata alla volontà di creare una sorta di minuscolo labirinto.
Dato che tanti paesi sono collocati su rilievi collinari il tema delle porte con relativo androne in pendio è di una sicura rilevanza. La soluzione non è unica, quella dello zig-zag descritto, come dimostra la porta principale di Torella (o, perlomeno, quella che affaccia sulla piazza principale) solcata, se così si può dire, al di sotto da una gradinata rettilinea; giocoforza la galleria d’ingresso deve essere inclinata con l’arcone di monte più in alto di quello di valle che è la bucatura della porta urbana; il soffitto, che è piano coincidendo con il solaio che sostiene i vani sovrastanti, risulta scalettato.
Del resto se si unificasse il livello del pavimento dell’abitazione situata sopra la porta, a ben rifletterci, l’entrata cittadina verrebbe a risultare troppo elevata e quindi, maggiormente vulnerabile agli attacchi nemici, es. al lancio di pietre, e non con un portone facile da aprire e, soprattutto, chiudere. Che tale elevazione fosse una preoccupazione per gli uomini dell’“età di mezzo” è testimoniato dalla riduzione del varco a Porta Mancina a Campobasso, il grande arco che sorregge l’alloggio a cavallo di questo punto di accesso alla città, tramite un muro che incornicia un caratteristico arco ogivale, un “buco” ristretto rispetto all’altro.
I «vuoti» sono dei problemi seri che minano l’integrità della cerchia muraria e le porte lo sono di per sé e ancora di più perché aperte, è proprio il caso di dirlo, nel tratto del perimetro urbano particolarmente agevole dal punto di vista orografico per gli spostamenti delle persone e delle merci da e verso l’aggregato abitativo, in coincidenza con il segmento della delimitazione cittadina privo di ostacoli naturali, detto diversamente. Le porte sono dei punti deboli da rinforzare con opere aggiuntive.
Il simbolo della “capitale” del Molise sono le 6 torri, una per ogni porta le quali sono altrettanti posti di guardia; quella già nominata di S. Antonio Abate, è fronteggiata intramoenia, a poca distanza, da una casamatta lungo l’omonima via la quale ha lo scopo di bloccare le persone ostili che fossero riuscite a superare la porta urbica, impresa non proprio facile poiché tale porta è dotata, lo si evince dai mensoloni rimasti, di beccatelli per la difesa piombante.
La porta di S. Antonio Abate è tanto ampia quanto invitante pure per i gruppi di malintenzionati armati, ed è per dimensioni simile alla porta Maggiore posta allo sbocco di via Cannavina eliminata per favorire il traffico tra il nuovo e vecchio borgo; una decisione che non si condivide, ma di cui si capisce la ratio, mentre non si comprende affatto il perché della distruzione della porta affiancata alla torre di Delicata Civerra la quale sembra sia stata buttata a terra per far passare le statue in processione.
di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)