45 Anni di missione in Bangladesh
25 aprile 1977-25 aprile 2022: 45 anni di missione in Bangladesh con dentro il cuore ancora un sogno in via di realizzazione
di p. Antonio Germano Das, sx. (antoniogermano2@gmail.com)
7 aprile 2022
Carissimi amici e benefattori,
Anticipo di qualche settimana la data del 25 Aprile per farvi arrivare in tempo gli auguri per la Pasqua di quest’anno, funestata dalla tragedia della guerra in Ucraina. Speriamo e preghiamo che il trionfo di Gesù sulla morte possa segnare la fine di questa immensa umana sconfitta. Come vi dicevo, celebro in anticipo questo mio 45° anniversario di missione in Bangladesh e voglio innalzare con voi un canto di lode al Signore per il bene che si è degnato di operare attraverso di me ed una invocazione di misericordia per i miei tanti limiti che hanno impedito alla sua grazia di operare pienamente il mistero della salvezza. In marcia verso i miei 83 anni di età, pensieri di eternità si affacciano sempre più frequenti alla mente: vivere intensamente il presente diventa gioiosa attesa per l’incontro con l’Amen!
Ripercorro velocemente gli anni della mia missione per tentare un bilancio e ripormi in atteggiamento di ascolto verso questa realtà per una risposta di fede adeguata al momento storico-esistenziale che sto vivendo. Trovo in questa avventura di fede una costante che lega insieme tutti gli avvenimenti: l’entusiasmo per la missione, che si presenta per altro sempre con nuovi risvolti, nuove sfide ed esige quindi una novità di vita sempre attuale. Il terreno privilegiato della mia missione è stato quello degli ultimi, degli esclusi e, in particolare, quelli che, con termine legato alla tradizione millenaria di questa cultura, sono chiamati Muci, per il mestiere dei loro antenati, che era quello di scuoiare carogne di animali (mucche, capre, ecc., ricavando magari anche un buon boccone dalle carni in via di putrefazione), conciarne le pelli e poi venderle a coloro che, senza sporcarsi le mani, ne ricavavano poi lauti guadagni. Questo mestiere, insieme a tanti altri, era ed è considerato ancora impuro per chi lo esercita e imprime perciò come un marchio indelebile. Anche se in Bangladesh la popolazione è in stragrande maggioranza musulmana, questa stratificazione culturale di casta, sotto-casta e fuori-casta segna ancora profondamente la società. Persino la distribuzione logistica della popolazione rispecchia questa struttura mentale. A livello di villaggio, il fenomeno è ancora ben marcato e visibile. Così, per esempio, in ogni villaggio la para (=raggruppamento di case) Muci occupa sempre la zona più malsana e vulnerabile (specie in occasione di cicloni), dove, molte volte, manca anche la strada di accesso. In questo contesto di memorie mi fermo qui, perché il discorso, appena accennato, è molto ampio e meriterebbe ulteriore approfondimento in altra sede.
La scelta dei Muci ha caratterizzato fin dall’inizio la mia attività in Bangladesh e, salvo qualche breve parentesi, è rimasta una costante negli anni successivi fino al punto da venir identificato come Mucider Father (il Padre dei Muci). Tutto cominciò con quei 12 anni di immersione nella realtà di Borodol sulla riva del Kopotokko, diventato un po’ il fiume della mia vita: 12 anni senza elettricità, al lume della lampada a petrolio, senza telefono, come catapultato in un mondo fuori della dimensione storica. Dai miei appunti di diario, in data 30.9.1979, leggo poche righe di assaggio: “Questo fine settembre se ne va e si porta via il mio 40mo compleanno: coscienza di debolezza in questo punto di guardia al limite del coraggio e della umana possibilità. Può Dio colmare sempre questa solare solitudine? Mio Dio tu sei tutto per me e il mio timore è soltanto per la mia debolezza e non certo per te”. Narrare l’esperienza di missione a Borodol mi porterebbe troppo lontano e non basterebbe un libro a raccoglierla.
Eccettuati i due anni in cui mi venne affidata la direzione della missione di Bhoborpara, nella zona nord della diocesi di Khulna e i 4 anni, nei quali i confratelli mi affidarono il compito di superiore regionale dei Saveriani, il resto dei 45 anni li ho trascorsi annunciando il vangelo di salvezza ai fuori-casta (untouchables). Dal 2001 mi trovo a Chuknagar(leggi:Ciuknogor), una missione fondata 42 anni fa da P. Luigi Paggi. Chuknagar è il centro di una zona con una larga concentrazione di fuori-casta, che qui sono registrati all’anagrafe con il titolo di Das, che, in lingua bengalese, significa schiavo, servo. Il nome stesso li identifica, come un marchio che si portano dietro e che sembra indistruttibile. Ho già narrato a più riprese la mia esperienza di missione a Chuknagar, che ha avuto il suo momento culminante il 28 ottobre 2011 con l’inaugurazione della chiesa, intitolata a Maria, Regina dei Poveri e del Training centre, intitolato a S. Guido M. Conforti, fondatore dei Missionari Saveriani, in occasione della quale 72 adulti ricevettero i sacramenti della iniziazione cristiana dopo un percorso catecumenale di 5-6-7 anni.
Accenno qui soltanto ad un episodio, che pone come il sigillo ad una vita di condivisione. Con la nostra gente celebriamo ogni anno con una certa enfasi, come momenti forti di coscientizzazione, due date particolarmente significative: il 10 dicembre, giornata mondiale dei diritti umani ed il 21 marzo, giornata mondiale contro le discriminazioni razziali. Il 10 dicembre del 2006, durante la celebrazione della giornata dei diritti umani, quando fu il mio turno di prendere la parola, esordii così: “Dopo tutti questi anni trascorsi con voi, penso di avere acquisito anch’io un diritto”. Le mie parole crearono subito un clima di silenzio e di attesa, perché tutti pensavano che io, come occidentale, possedevo già tutti i diritti. Nel silenzio dell’assemblea, proseguii: “Penso di avere acquisito anch’io il diritto di chiamarmi Das”. Quando ebbi pronunciato queste parole, vidi brillare negli occhi di tutti una luce inesprimibile a parole. Fu allora che il silenzio fu interrotto da uno scroscio di applausi. Così da quel giorno in avanti al mio nome e cognome ho aggiunto Das e mi firmo sempre Antonio Germano Das.
E veniamo a quello che ho definito “Il mio ultimo sogno”. Si tratta di un progetto che porta il nome di “DURONIA PROJECT” e vuole realizzare il sogno di portare le Suore di Madre Teresa nella missione di Chuknagar, come avevo fatto a suo tempo nel 1989 per la missione di Borodol. Il nome lo ha scelto Joe Berardo, originario anche lui di Duronia, che vive negli USA ed è il finanziatore del progetto. La prima fase è stata realizzata, in quanto è stato comprato il terreno, dove sorgerà la casa delle Suore. Il terreno, che era una risaia, è stato sopraelevato e portato a livello della strada. Manca ora la fase finale: la costruzione della casa! Purtroppo la guerra in Ucraina fa sentire i suoi malefici effetti anche qui in Bangladesh con la lievitazione dei prezzi. Ma le speranza è viva e vogliamo credere che il giorno di Pasqua segni la fine di questa tragedia immane. Con questo augurio di pace termino la rievocazione dei miei 45 anni di missione, rinnovandovi il mio grazie con i più cordiali saluti.
di p. Antonio Germano Das, sx. antoniogermano2@gmail.com