• 27 Aprile 2022

A proposito di Ventunora o Ventunore

Antico modo di numerare le ore

di Giovanni Mascia (da toro.molise.it)

27 aprile 2022

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A Toro la campana suona ancora “ventun ore”. Trentatré colpi che alle tre del pomeriggio in inverno (alle quattro in primavera-estate) ricordano ai fedeli l’ora della morte di Cristo, che secondo il Vangelo è avvenuta all’ora nona. Ma è curioso che si chiami ventunore un rintocco che suona alle tre del pomeriggio (cioè alle quindici, in estate quattro-sedici), e ricordi l’ora nona. Perché e come stanno le cose?

Abituati al nostro modo di numerare le ore, da mezzanotte a mezzanotte, può riuscire curioso sapere che non sempre è stato così. Soltanto nell’Ottocento questo sistema, detto francese, si è imposto e oramai è in uso in tutto il mondo.

In precedenza da noi vigeva il sistema italiano, che andava da tramonto a tramonto (anziché da mezzanotte a mezzanotte). In sostanza, si pensava che con il tramonto del sole finisse un giorno e ne cominciasse un altro. Prima ancora, al tempo del Vangelo, vigeva l’uso degli antichi romani, dall’alba all’alba. Tuttavia, il sistema italiano e quello romano avevano il difetto evidente che tramonto e alba non erano fissi ma variavano con il variare delle stagioni. Di conseguenza anche le 24 ore delle giornate variavano di stagione in stagione con il sorgere e con il tramontare del sole.

Bene, nei nostri paesi, nelle nostre campagne in particolare, il sistema italiano è rimasto in piedi si può dire fino ai giorni nostri, in riferimenti ad alcuni tocchi delle campane: come il ventunora e l’ora di notte.

Il ventunora (o le ventunore) sono le ore ventuno a conteggiare dal tramonto precedente, e quindi assunto che il sole tramonti alle attuai sei di sera (le diciotto), il ventunora corrisponde alle tre del pomeriggio (le quindici). Ovviamente in estate si sposta più avanti, alle quattro del pomeriggio. Il ventunora era segnalato (e in alcuni paesi come a Toro è segnalato ancora) con trentatré colpi di campana – i primi trenta lenti e cadenzati, gli ultimi tre veloci – per ricordare gli anni di Cristo e l’ora della sua morte in croce (che accadde nell’ora nona dei Vangeli, conteggiandola all’uso dei Romani dal’alba).

Al primo rintoccare, il segno della croce e una giaculatoria devozionale da ripetere tre volte accompagnavano lo scandire dei colpi:
Beneditte vintunóre
quann’è murte nostro Signóre,
sótt’all’ucchie de Marje
pa salvézze dell’anema méje.

Ovviamente si forgiavano anche strofette di stampo laico e parodistico, come questa che al pari della giaculatoria è stata rinvenuta a Toro. Essa più che all’ora canonica fa riferimento all’ora pomeridiana e al lavoro giornaliero nei campi, che in epoca primaverile o estiva si protraeva ancora a lungo:
Ha senate vintunóre
e u cafóne zappe ancóre.
Tenéva la ccétte e la rónchele ‘n cúle,
zappa cafóne, frecate ‘n cúle.
Se tenéve la scretazze,
zappa cafóne de mala rrazze.
(Ha suonato ventunore
e il cafone zappa ancora.
teneva l’accetta e la roncola [legata] al culo;
zappa cafone fregato in culo.
Se teneva la scretazza,
zappa cafone di mala razza).

L’ora di notte, invece, che si suonava un’ora dopo il tramonto per ricordare e dedicare una preghiera per i defunti, sanciva la fine ufficiale delle attività all’aperto. Ognuno si chiudeva nelle proprie case, e la vita attiva e comunitaria riprendeva con il tornare del sole e della luce. C’è una bellissima poesia di Pascoli, intitolata appunto all’ora di notte, che era anche l’ora in cui le porte dei nostri paesi si barravano.

L’ora di notte, inoltre, era chiamata in causa dai genitori, quando al vedere tornare a casa sporco un figlio lo rimproveravano dicendo: Te si ffatte cumme all’ore de notte!, Ti si sei conciato come l’ora di notte, cioè nero, come la notte già calata.

Un altro esempio famoso che ricorda il sistema italiano ci è offerto dai mondo della lirica, dai Pagliacci, la famosa opera di Leoncavallo, in cui il Pagliaccio protagonista invita la folla ad assistere allo spettacolo del circo, in programma alle ventitré ore, corrispondenti alle attuali cinque del pomeriggio:
Un grande spettacolo
a ventitré ore
prepara il vostr’umile
e buon servitore!

Alla stessa ora, rimanda anche il modo di dire, portare il cappello alle ventitré, inclinato da un lato, appunto per parare gli ultimi raggi del sole, cadente, ormai prossimo al tramonto. Tramonto che si diceva appunto le ventiquattr’ore.

di Giovanni Mascia (da toro.molise.it)

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