Informazione, libertà e democrazia
Sulla guerra in Ucraina non si riesce a sottolineare tutta la complessità delle cause, degli scenari, delle responsabilità e delle conseguenze
di Umberto Berardo
10 maggio 2022
L’informazione, insieme all’istruzione, è sicuramente una precondizione essenziale non solo della libertà individuale ma anche per la realizzazione di una società democratica.
I regimi ma anche i gruppi dittatoriali e parafascisti nel migliore dei casi provano a condizionarla altrimenti ricorrono a intimidazioni, violenza e perfino all’omicidio pur di assoggettarla come nel caso Khashoggi.
Anche oggi per mettere a tacere i giornalisti non mancano citazioni in giudizio, fini tentativi di condizionamento ma anche la carcerazione e l’omicidio.
L’informazione, sostituita talora dalla propaganda di parte attraverso le fake news, viene condizionata o peggio ancora messa a tacere soprattutto durante le guerre.
Si è scritto sempre che il sistema informativo dovrebbe essere il “cane da guardia” dei diritti della persona e della società rispetto al potere politico, economico e giudiziario e tale ruolo sicuramente non è mancato in molte società, garantito dalle concezioni illuministiche e da tanta parte della società liberale.
La sua funzione migliore nel corso della storia è stata quella di aiutare la maturazione di un pensiero critico nei cittadini garantendo così scelte libere e lontane da ogni forma di condizionamento.
La regola delle cinque W (What – Che cosa, Who – Chi, Where – Dove, When – Quando, Why – Perché) per presentare i fatti correttamente nello spazio, nel tempo, nelle cause e nel riferimento alle persone non è ancora sufficiente per avere un giornalismo di qualità.
L’informazione ha bisogno di separare i fatti dalle convinzioni, di essere l’origine e il luogo di un confronto libero di opinioni, di trasmettere un flusso continuo di idee, di originare sempre il dubbio per una ricerca non omologata, ma aperta e plurale che possa condurre liberamente alla verità.
In estrema sintesi l’essenza di un giornalismo autorevole va posta nella ricerca dei fatti libera da pregiudizi e retropensieri e nella presentazione di un pluralismo di opinioni sugli stessi.Purtroppo questo non accade sempre ed ovunque soprattutto quando, come oggi, si costituiscono oligopoli corrispondenti a grandi aziende che acquisiscono in tal modo l’esclusiva nel settore orientando sempre più al pensiero unico.
È quanto sta accadendo a livello locale, nazionale ed internazionale.
Stiamo assistendo all’acquisizione sempre più massiccia di testate giornalistiche da parte di magnati del mondo dell’economia e della finanza, al protagonismo di pochissimi giganti nel possesso delle piattaforme su Internet e alla stessa concentrazione nel settore televisivo.
La proprietà o l’azionariato di una tale industria dell’informazione, sempre più inquinata dalla commistione con pubblicità, spettacolo e marketing, è ormai nelle mani di banche, industrie, imprenditori e fondi d’investimento finanziario che ovviamente dettano le regole e le metodologie operative del suo funzionamento.
È evidente che chi può accedere ad una o a poche fonti informative rischia di vedere compressa fortemente la propria libertà, lo spirito critico e la capacità di scelte ragionate.
La diffusione di un pensiero pluralistico sui fatti viene volutamente ridotta con tecniche subdole e pericolose.
I giornali, con le dovute eccezioni, non solo sono sempre più orientati sul piano culturale e ideologico, ma comprimono la professionalità di chi vi scrive con la riduzione delle tutele lavorative e il ricorso sempre più diffuso alle assunzioni con partita IVA mentre diventano forti i condizionamenti proprietari come abbiamo visto di recente per alcune grandi testate di livello nazionale in Italia; tra l’altro molti addetti del settore non operano a livello di ricerca e d’indagine, ma solo come diffusori di notizie provenienti da agenzie specializzate, da gruppi politici o da altre fonti.
I telegiornali, sempre più dipendenti dal potere politico di turno, sono ormai rigidi ed elementari mentre i Talk Show, utilizzati sempre più anche come sistema di marketing editoriale, sono ridotti praticamente a chat room tra i soliti noti che, sempre gli stessi come se nel nostro Paese non ci fossero altre menti pensanti, ruotano sistematicamente ed a ragione vengono definiti opinionisti o influencer perché, più che confrontarsi, suscitare dubbi, stimolare approfondimenti ed orientare alla ricerca pluralistica di idee, riducono i loro interventi ad ostentare certezze assolute con una spocchia che talora infastidisce non poco.Abbiamo assistito così ad esempio a discussioni con esibizioni d’intolleranza e certezze sul nulla relative ad alcuni aspetti di un disegno di legge come quello Zan senza che correttamente si siano portati i telespettatori a conoscerne gli articoli con una lettura preventiva o contestuale in diretta.
La stessa cosa è avvenuta sempre con la legge di bilancio.
I cittadini in carne ed ossa poi con i loro problemi, qualche tempo fa portati in televisione anche se un po’ demagogicamente, non riescono più ad avere se non spazi del tutto irrilevanti in quelli che ormai sembrano unicamente dei salotti nei quali un potere di cartapesta con la concentrazione delle testate sta impoverendo l’informazione sempre più sulla china dell’unilateralità, della faziosità e dell’assoluta mancanza di contraddittorio e dunque di pluralismo ridotti ad una pura finzione.
Per parlare poi della pochezza di certa programmazione, dei criteri negli incarichi e nelle assunzioni soprattutto nella RAI, che è servizio pubblico e per il quale paghiamo un canone, ci sarebbe la necessità di scrivere un saggio.
Su Internet la situazione potrebbe rivestire le apparenze di una maggiore libertà e varietà di fonti informative.
In realtà i social presentano pericoli grandissimi come quelli delle fake news, dell’analfabetismo funzionale di tanti internauti, di una saccenteria davvero pesante, di un pressapochismo desolante e di un linguaggio sempre più volgare e irrispettoso; le piattaforme poi potrebbero sembrare il massimo della ricerca garantita nella rete, ma in realtà anche qui la concentrazione dei motori di ricerca come Google e Facebook stabiliscono i criteri e l’ordine d’importanza dell’informazione nelle diverse pagine secondo una sua distribuzione e presentazione che segue algoritmi che in realtà sfuggono agli utenti obbedendo comunque a criteri prevalenti di ordine economico più che culturale.
Si giunge così alla riduzione dei cittadini a consumatori passivi di un’informazione preconfezionata e non più legata ad una ricerca promossa secondo un aperto spirito critico e un confronto libero di idee.
Se l’informazione non riuscirà a costruire ricerche, indagini e interviste con un pensiero libero da ideologismi e orientato il più possibile all’analisi di tutti gli aspetti di un evento evitando così la banalità delle semplificazioni, è del tutto evidente che la narrazione dei fatti risulterà deviata o quantomeno parziale.
È quanto avviene in questi giorni ad esempio sulla guerra in Ucraina di cui non si riesce purtroppo a sottolineare tutta la complessità delle cause, degli scenari, delle responsabilità e delle conseguenze.
Il fenomeno ovviamente genera conseguenze deleterie per la società quali l’abbassamento del livello culturale e soprattutto la compressione della libera scelta.
Si inquina così la vita civile e sociale con forti pericoli per la democrazia che può degenerare in forme palesi di autoritarismi o in oligarchie e plutocrazie mascherate tra l’altro malamente.
Certo fuori dal sistema descritto ci sono mezzi d’informazione specialistica, scientifica e culturale o voci di controinformazione che riescono ancora a garantire correttezza ed onestà intellettuale, ma intanto non sappiamo quanto siano conosciuti e certamente si tratta di eccezioni che non modificano di molto la situazione generale descritta dalla quale si può e si deve uscire con l’eliminazione dei conflitti d’interesse, la determinazione di una soglia circoscritta dei capitali detenibile da un’azienda editoriale e il controllo di quote eventualmente affidate a prestanomi, una riforma della RAI liberata dai partiti politici, una riorganizzazione dell’accesso e dei profili per la professione giornalistica, la moltiplicazione di voci libere nel settore.
Se vogliamo evitare quella che molti con un neologismo chiamano la internettelecrazia, occorre incrementare la presenza di iniziative editoriali, non necessariamente di grandi dimensioni, capaci di proporre un’informazione pulita e libera da pressioni o distorsioni.
Ci sono sicuramente giornali, televisioni e siti internet che stanno percorrendo questa strada.
Il dovere del cittadino è quello di comprendere il funzionamento del sistema dell’informazione non solo per scegliere fonti libere, per verificare l’attendibilità delle notizie, ma per evitare anche la radicalizzazione del proprio modo di pensare con l’accesso sempre alle stesse voci dell’area culturale e politica di appartenenza.
Sicuramente in ogni caso l’allargamento nella scelta dei sistemi e delle sorgenti dell’informazione e la ricerca continua di fonti giornalistiche capaci ancora di fare indagine e studi approfonditi costituiscono ciò che può mantenere vivo il nostro spirito critico.
di Umberto Berardo