Le lucciole e le rondini
Gli effetti dal cambiamento climatico al peggioramento delle condizioni ambientali a livello globale
di Rossano Pazzagli (da La Fonte – Giugno 2022)
7 giugno 2022
Quasi cinquant’anni fa Pier Paolo Pasolini scelse le lucciole come metafora di un mondo che stava scomparendo sotto i colpi dello sviluppo industriale, del consumismo e dell’inquinamento. Ora, potremmo associare le rondini alle lucciole di Pasolini per descrivere gli effetti ambientali della grande trasformazione economica e sociale che ha investito l’Italia nella seconda metà del Novecento. L’esodo rurale e la desertificazione delle campagne hanno rappresentato un duro colpo per l’ambiente. L’abbandono delle masserie, dei poderi e delle cascine, particolarmente intenso tra il 1950 e il 1970 e proseguito fino agli albori del nuovo secolo, ha creato un contesto meno ospitale per le rondini, rendendo le primavere più silenziose. La chiusura di tante stalle contadine, l’arretramento della coltivazione dei foraggi e l’incuria delle strade bianche hanno spezzato abitudini ataviche di questi piccoli uccelli migranti. Le rondini, infatti, prediligono stalle e altre costruzioni in aperta campagna: rimesse, garage, fienili… Questo perché la specie è molto legata alla presenza di grandi mammiferi; in Africa possono essere bufali o gazzelle, mentre in Italia si rivolgono alle vacche o ad altri bovini domestici, che attirano mosche, tafani e insetti vari di cui le rondini si cibano.
Nei diversi sistemi agricoli italiani, in particolare nelle regioni mezzadrili, la stalla era parte integrante delle case contadine, tratto ricorrente dell’architettura rurale, figlia non solo di un sapere pratico, ma anche codificato, come dimostra il trattato architettonico di Ferdinando Morozzi pubblicato a Firenze nel 1770 e intitolato Delle case de’ contadini, che alla costruzione delle stalle dedicava ben quattro capitoli. La stalla era quasi sempre incorporata nella casa, cioè nell’edificio principale, in un locale del piano terra ben esposto e asciutto. La posizione non era casuale: spesso al di sopra di essa si allestiva il granaio o la camera da letto, perché la stalla era anche un riscaldamento naturale. Era un locale abbastanza ampio con il soffitto a mezzane disposte a piccole volte, talvolta con un paio di colonne centrali, il fondo pavimentato per ospitare le lettiere di paglia; attestate ai muri c’erano le mangiatoie per il fieno, con la base in muratura e il tavolone frontale di legno, forato per l’ancoraggio delle funi o catene delle bestie. Appesi ai muri diversi attrezzi di corredo (gioghi, boccole, striglie, spazzole, funi…). Davanti alla stalla c’era sempre la concimaia, o sugaia, il largo mucchio di letame che fermentando diventava “sugo” per condire e fertilizzare i campi.
In quelle stalle le rondini costruivano i nidi, portando pagliuzze nel becco e mescolandole al fango che raccoglievano col petto bagnato sulle strade polverose tra i campi. Così, in molti territori rurali le rondini avevano finito per sviluppare una simbiosi con i piccoli allevamenti e l’agricoltura contadina, un legame forte che a lungo ha caratterizzato le primavere, una dopo l’altra: Per San Benedetto / la rondine sotto il tetto, recita un tradizionale proverbio che rimanda al 21 di marzo. In tante stalle i nidi erano più di uno, spesso appoggiati all’effige di Sant’Antonio, lassù sulla parete, a distanza di sicurezza da topi, gatti o altri possibili predatori di uova e di piccoli; oppure vicini a un chiodo o a un gancio su cui era annodato un fiocco rosso, anch’esso, come il santo, a protezione del bestiame dagli influssi malefici.
Chiudendo le stalle contadine, le rondini hanno preso a diminuire, non trovando più i loro siti ideali per la nidificazione. Con la riduzione delle colture foraggere e l’uso di sostanze chimiche nei campi, si è ridotta anche la riserva alimentare costituita dagli insetti campestri. Il basso prezzo al produttore per latte e carne e lo sviluppo degli allevamenti intensivi, tramite impianti industriali nettamente distinti dall’agricoltura, hanno accentuato l’abbandono delle piccole attività zootecniche. Ciò è avvenuto un po’ dappertutto e, al Nord come al Sud, la riduzione della presenza delle rondini può essere presa come indice dell’addio al mondo rurale e della questione ambientale che affligge l’intera società.
La diminuzione delle rondini e in alcuni casi la loro scomparsa dalle tradizionali mete di nidificazione è dovuta a molti macrofattori, dal cambiamento climatico al peggioramento delle condizioni ambientali a livello globale. Ma è anche legata alle trasformazioni economiche e sociali che hanno progressivamente marginalizzato l’agricoltura contadina e le zone rurali, per andare verso una agricoltura industriale che lascia poco spazio ai cicli naturali e alle architetture tradizionali. Poiché – come abbiamo visto – l’habitat ideale delle rondini è la campagna, l’abbandono dei campi e l’industrializzazione delle stalle le hanno spinte a modificare le loro abitudini, a cambiare rotta o a nidificare nei centri abitati.
Le piccole stalle non vedono più il rinnovo dei nidi di rondine. Sant’Antonio è rimasto solo e il fiocco rosso è diventato un esile filo della memoria. Solo la ripresa dell’agricoltura biologica e biodinamica, con una ritrovata attenzione per il paesaggio e la salubrità del cibo, possono favorire il ritorno delle lucciole a illuminare le sere d’estate e quello delle rondini ad allietare il cielo di primavera. Non solo immagini poetiche, ma indicatori della qualità dell’ambiente e, quindi della vita.
di Rossano Pazzagli (da La Fonte – Giugno 2022)