Nascita, funzione e uso del linguaggio
L’uso della lingua è uno dei tratti caratteristici dell’Homo sapiens a differenza degli animali che usano altre forme di comunicazione come manifestazioni facciali, versi, gesti
di Umberto Berardo
13 giugno 2022
L’espressione orale non lascia tracce manifeste per decifrare le sue origini storiche.
La cosiddetta proto-lingua, costituita unicamente da semplici suoni, gesti e segni non verbali come il disegno, le figure indecifrabili, il riso o il pianto, mancava di un lessico organizzato ma anche di qualsiasi tipo di regola.
I linguisti concordano nel sostenere che il linguaggio potrebbe essere emerso con la transizione degli ominidi al comportamento umano circa 164.000 anni fa nel Paleolitico superiore con un’evoluzione della comunicazione dai segni, ai monosillabi, alle parole fino ad espressioni molto complesse.
Secondo Derek Bickerton e Noam Chomsky gli esseri umani nascerebbero con delle regole di comunicazione presenti nei loro cervelli sia pure inizialmente con una grammatica rudimentale e un vocabolario ristretto.
In ogni caso il linguaggio umano è passato dal suono o segno alla forma fonemica o sillabica, al sintagma o parola, ad espressioni complesse come le frasi.
Secondo gli studi più recenti la scrittura sarebbe stata inventata in periodi differenti nei diversi territori abitati e in ogni caso con i Sumeri in Mesopotamia nel 3000 a.C. mentre nelle Americhe con gli Olmechi o Zapotechi del Messico nel 600 a. C.
Anche questa forma espressiva passa dai glifi ovvero dei pittogrammi inizialmente di difficile decifrazione incisi su tavolette di argilla o su carta pieghevole di papiro, come nel sistema cuneiforme o geroglifico egiziano, ossia immagini per rappresentare inizialmente oggetti, situazioni o notizie, fino alla struttura alfabetica complessa come in Grecia o a Roma in grado di raffigurare persone, oggetti e perfino idee e concetti.
Il linguaggio ha inizialmente una funzione pratica soprattutto negli scambi commerciali; poi acquisisce anche fini estetici, letterari e poetici.
Con l’invenzione della scrittura l’umanità si avvia verso l’alfabetizzazione, la conservazione, la riproduzione e la divulgazione di idee, pensieri e concetti superando i limiti di spazio e di tempo imposti dalla comunicazione orale.
Strettamente legata alla nascita del linguaggio scritto è l’educazione dei giovani affidata inizialmente agli scribi.
Ad essa, sia nelle società antiche che in quelle successive e per molti secoli, hanno accesso unicamente coloro che posseggono mezzi economici e posizione sociale di potere e di prestigio come i nobili, gli addetti all’amministrazione del Paese, i sacerdoti ed appunto gli scribi.
Ancora oggi il diritto allo studio in molti Stati è negato al 21% di ragazzi ma soprattutto di ragazze in età scolare.
Nelle nazioni in guerra o con gravi conflitti sociali, come ad esempio la Liberia, il Sud Sudan o l’Afghanistan, tale percentuale è vicina addirittura al 60%.
Sono dati su cui evidentemente occorre riflettere!
Dallo studio della linguistica con la fonologia, la morfologia e la sintassi abbiamo imparato che i fonemi, i grafemi, i lemmi, i lessemi ci servono anzitutto a costruire il pensiero e quindi a comunicare; la funzione delle parole pertanto non è orientata solo alla trasmissione delle elaborazioni concettuali, ma anche alla loro stessa formazione.
L’unità fondamentale del linguaggio è il lessema, ovvero ogni minima unità linguistica avente un significato autonomo.
Sono i cosiddetti significanti da distinguere dai funzionali.
Se ci riferiamo ai lemmi, nei dizionari attuali dell’italiano si oscilla tra i 200.000 e i 250.000; se al contrario pensiamo ai lessemi o parole, il numero sale molto; la differenza si spiega facilmente tenendo conto che ciascun nome ha di norma almeno due forme, gli aggettivi fino a quattro, l’articolo determinativo ne ha sei, i verbi ancora di più.
A ciò si deve aggiungere che vi sono parole con diverse accezioni, ma va considerato anche che nella nostra lingua sono in continuo aumento i neologismi.
Possiamo allora affermare, come sostengono giustamente linguisti come Luca Lorenzetti e Tullio De Mauro, che il numero complessivo delle parole italiane ammonta a circa due milioni.
Il vocabolario di base della nostra lingua è costituito da circa 6.000 parole, con le quali copriamo il 98% dei nostri discorsi nei quali rientrano vocaboli di uso comune ma anche di alto uso e di elevata disponibilità.
L’inglese sembra la lingua che ha il lessico più vasto con 490.000 parole di uso comune e 300.000 relative al linguaggio tecnico.
È piuttosto arduo determinare il numero delle lingue parlate oggi nel mondo.
Gli idiomi ufficiali dovrebbero aggirarsi intorno a duecento, ma, considerando tutti quelli realmente parlati, gli studiosi arrivano a settemilanovantanove alcuni dei quali stanno andando verso l’estinzione.
Tra quelli più parlati troviamo l’inglese, il cinese e lo spagnolo.
La ricchezza della mente, della sua immaginazione come della capacità argomentativa è direttamente proporzionale al numero delle parole possedute che ovviamente ci derivano dalle relazioni umane, ma soprattutto dalla lettura che ha una funzione importantissima nel costruire ed ampliare il sapere come nel confrontare le idee, i principi e i valori alla base del proprio stile di vita con quelli altrui.
L’esercizio del leggere ovviamente ha bisogno di un metodo rigorosissimo come la concentrazione riflessiva, l’uso sistematico del dizionario, la rilettura di periodi risultanti ostici e la sottolineatura dei passaggi chiave della narrazione.
Occorre che sia orientata ad una comprensione piena del lessico e delle idee, ragionata con riflessioni, ritorni di approfondimento, annotazioni, pluralistica nelle fonti soprattutto a livello informativo e nei saggi per rimanere liberi e non prigionieri entro forme di ideologismo.
Gli italiani che leggono libri stampati sono poco più della metà della popolazione compresa fra i 15 e i 75 anni d’età in prevalenza donne, per l’esattezza il 55% mentre crescono al 61% considerando anche ebook e audiolibri.
Si tratta di una percentuale ancora bassa specie se paragonata agli altri maggiori Paesi europei con il 92% in Francia, 86% in Gran Bretagna, 69% in Germania, 68% in Spagna.
Gli italiani non leggono perché non sono educati e incentivati a farlo.
Le politiche socio-educative, se si esclude il contributo di cinquecento euro dato ai giovani e non solo per i libri, sembrano orientate a disincentivare lettura e ricerca come dimostra la chiusura di molte biblioteche e centri socio-culturali a livello regionale, provinciale e comunale.
Un’analisi particolare merita la scrittura che sicuramente rappresenta una delle forme più ricche ed articolate di relazione sociale.
Nel corso dei secoli la forma scritta di comunicazione è passata da strutture elementari ad elaborazioni letterarie di grande rilievo nella chiarezza, nello stile e nella ricchezza lessicale.
Oggi, soprattutto sui social, abbiamo sistemi regressivi di scrittura con la tendenza a forme espressive disordinate, disorganizzate, sregolate e talora lontane da ogni norma grammaticale.
Non sappiamo se tale fenomeno sia frutto di una società dove predomina la velocità piuttosto che la riflessione o dipenda da analfabetismi radicati o di ritorno; sta di fatto che talune elocuzioni che usano ed esaltano un linguaggio eversivo di ogni regola appaiono davvero inaccettabili non solo a livello stilistico, ma anche per la scarsa capacità comunicativa che utilizza oltretutto lessemi comprensibili solo ad una cerchia sicuramente limitata di persone.
Di solito siamo un po’ tutti convinti che per un uso chiaro e corretto della lingua basti l’apprendimento delle sue regole nel corso della frequenza scolastica.
In realtà le norme del suo funzionamento e la sua grammatica sono in continua evoluzione come ci ha insegnato la grammatica generativo-trasformazionale e dunque davvero sarebbe necessario che tutti si mantenessero aggiornati attraverso un processo d’istruzione che dovrebbe necessariamente essere di tipo permanente.
Questo non solo dovrebbe garantire l’aggiornamento nelle competenze linguistiche ma anche una partecipazione attiva e responsabile di tutti i cittadini al confronto sui temi in discussione nella collettività locale e in quella mondiale.
Oltretutto un sistema di educazione permanente potrebbe garantire non solo l’utilizzo della propria lingua madre, ma anche l’introduzione o l’arricchimento nell’impiego di lingue straniere sempre più indispensabili non solo per i viaggi, ma anche nei sistemi di comunicazione telematica.
di Umberto Berardo