La guerra deve diventare un tabù
Editoriale del numero de “Il Bene Comune” in edicola
di Antonio Ruggieri
5 settembre 2022
Il dibattito pubblico nel nostro Paese è stato (opportunamente) occupato dal conflitto che da oltre due mesi ha luogo sul territorio ucraino aggredito dall’esercito russo.
Imperversa lo schieramento di quelli che stanno con Zelensky che passa da una diretta televisiva all’altra, con i Parlamenti di mezzo mondo trasformati in platee plaudenti, a chiedere all’Occidente di aiutare il suo Paese martoriato più di quanto faccia, innanzitutto con l’invio di armamenti. Il funambolico presidente ucraino ha chiesto un coinvolgimento della NATO nel garantire una “no fly zone” sul suo Paese, che impedisca ai Russi di bombardare le città e i civili inermi e l’invio di armi di difesa anticarro a sostegno della resistenza ucraina.
Queste richieste però rischiano di far compiere al conflitto un passo ulteriore verso l’”inverno nucleare” che potrebbe agevolmente cancellare il genere umano dalla faccia del nostro pianeta.
Tutti quelli che si azzardano a delineare la rischiosità di questo scenario esprimendo perplessità nei confronti delle richieste ucraine, sono tacciati di antiamericanismo preconcetto e di sostanziale subalternità nei confronti di Putin. È la sorte toccata a Luciano Canfora, a Donatella Di Cesare, a Franco Cardini e ultimamente ad Alessandro Orsini, tutti in onda su la 7, la quale però ha il merito, a differenza del “servizio pubblico Rai”, di dar voce anche a posizioni che propongono di rispondere alla carneficina scatenata dall’autocrate moscovita con un’azione diplomatica di livello internazionale che faccia cessare i combattimenti e fermi l’escalation verso il disastro nucleare.
I conflitti fra le nazioni non si risolvono con la guerra e con le armi ma con la politica; a questo fondamentale e complicato convincimento è arrivata l’umanità sofferente, dopo il macello della seconda guerra mondiale. Da questa cultura nel 1945 è nata l’Organizzazione delle Nazioni Unite (di cui fanno parte anche la Russia e l’Ucraina) e la magnifica (e inattuata) Costituzione italiana nel 1948, che all’articolo 11 recita “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”
Arrendersi al macabro realismo del generale prussiano Carl von Clausevitz che nel 1808 scriveva che “la guerra è la politica continuata con altri mezzi”, non tiene conto di come il mondo sia cambiato negli ultimi due secoli; con la minaccia nucleare che incombe bisogna affermare con la chiarezza di cui solo papa Francesco è stato capace, che la guerra non è una continuazione della politica, ma comincia esattamente dove la politica fallisce o si impantana. La pace però va preparata con atti che la evocano e l’alimentano e non è quello che è capitato al mondo negli ultimi trent’anni.
Solo nell’ultimo decennio, la spesa bellica planetaria è aumentata del 9,6%, proprio e paradossalmente mentre imperversava la crisi finanziaria generata dai mutui subprime americani, dal fallimento della Lehman Brothers e con la pandemia che mieteva milioni di vittime, senza contare i disastri generati dagli effetti del cambiamento climatico (un’altra, devastante guerra che stiamo perdendo tristemente). Putin non è un criminale di guerra come ha detto Biden, o perlomeno non lo è più dei responsabili (tutti nostri alleati) dei conflitti in Afghanistan, in Iraq, nello Yemen, in Libia o in Siria, e della tragedia palestinese che dura da mezzo secolo.
Bisogna fermarlo con la cultura e gli strumenti che ha saputo darsi la comunità internazionale; con l’ONU che dovrebbe fare da forza d’interposizione sul campo, se non fosse ostaggio dei cinque membri permanenti: Francia, UK, USA, Russia (ex URSS) e Cina, che detengono un diritto di veto che ne rende pletorico e inefficace l’operato.
L’ONU andrebbe riformata su base democratica, consentendole di svolgere la fondamentale azione di pace per cui è nata.
Il Consiglio dell’Unione europea dovrebbe fare da scudo per proteggere la popolazione civile dell’Ucraina, come ha “temerariamente” proposto Michele Serra; dovrebbe convocarsi in seduta permanente a Kiev fino al “cessate il fuoco” e all’avvio dei negoziati veri, dei quali dovrebbero essere parte attiva anche gli Usa e la Cina, potenti referenti delle due parti in conflitto. Sullo sfondo della minaccia nucleare che diventa più palpabile per ogni giorno che passa, la guerra d’Ucraina sta ridisegnando la geopolitica planetaria, allontanando la Russia dall’Europa sempre più vassalla degli USA e consegnandola a un’area d’influenza asiatica, centrata su Cina e India, che si è già aggiudicata la competizione economica con l’Occidente.
Sempre più, facendosi largo nel flusso ininterrotto d’immagini della carneficina che dura da due mesi in Ucraina e nel dibattito più o meno appropriato che l’accompagna, si vanno palesando due posizioni: una che implementa gli investimenti della difesa, vuole mandare le armi alla resistenza ucraina, punta alla sostituzione di Putin in Russia e dunque si prepara a un conflitto di lunga (addirittura lunghissima) durata, e un’altra che mira al coinvolgimento della comunità internazionale, degli USA e della Cina innanzitutto, casomai con l’appoggio autorevole e umanitario di papa Francesco, che faccia cessare i combattimenti immediatamente e avvii una fase negoziale che ridisegni in maniera stabile e duratura gli equilibri in un’area decisiva per il futuro della pace, non solo in Europa.
Noi, come Michele Santoro che lo scorso 2 maggio al Teatro Ghione di Roma ha organizzato la magnifica “Pace proibita”, sosteniamo convintamente questa seconda linea e la cultura dell’attività diplomatica internazionale che operi per un nuovo ordine mondiale nel quale la guerra diventi finalmente un tabù, come ci ha chiesto di fare Gino Strada per tutta la vita, fino a quando ci ha lasciati, il 13 agosto dell’anno scorso.
di Antonio Ruggieri