• 10 Novembre 2022

Il mosaico

L’alternarsi di campi, pascoli e boschi ha sfidato i secoli, organizzando il territorio e producendo cibo

di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)

10 novembre 2022

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Il paesaggio è un mosaico, specchio della società e della natura, frutto dei processi storici di uso delle risorse da parte dell’uomo, in particolare dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame che sono state (e restano) le primarie attività finalizzate al sostentamento dell’umanità. Questa foto scattata da Montefalcone del Sannio, guardando verso Montemitro, testimonia in modo emblematico l’esistenza del mosaico e al tempo stesso il rischio della sua estinzione. Un’immagine simile potremmo trovarla in tutte le aree interne italiane, cioè nei territori fragili vittime di una modernità ormai stanca, nei dintorni di tanti paesi appenninici e collinari, fino alle valli alpine.

Nei primi anni ’60 del Novecento il geografo Enrico Sestini descriveva il paesaggio dell’Appennino “… in grandissima parte il terreno è coltivato o boscoso… un mosaico, un alternarsi di campi, di prati, di boschi e boschetti quasi sempre cedui, di castagneti, intersecati più o meno fittamente da frane, da calanchi, da qualche parete o spuntone rocciosi”.

L’alternarsi di campi, pascoli e boschi ha sfidato i secoli, organizzando il territorio e producendo cibo, riflettendo in qualche misura anche la struttura sociale delle famiglie e dei modi di produzione. Così veniva organizzandosi il territorio, lasciando emergere un paesaggio disegnato sull’album della natura da agricoltori, pastori e boscaioli. Immaginiamo Giacomo Leopardi che salendo sulla “vetta della torre antica” della sua Recanati osservava “i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili…”, concludendo che “una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale” nel senso, appunto del rapporto mai quieto tra uomo e natura. I paesi, ritti sulle colline o adagiati sulle pendici dei monti, erano punti di vista, un tutt’uno con la campagna circostante e il sapere dei paesani era il sapere del territorio. Da ogni paese se ne vedeva un altro, e questo dava il senso di non essere soli, teneva compagnia, alimentava alternativamente conflitti e solidarietà che rendevano viva la dinamica territoriale. Non è l’idealizzazione del passato, è un dato di fatto da cui occorre partire per capire cosa è avvenuto dopo, nell’era del capitalismo maturo, finanziario e poi anche digitale: quelle tessere – boschi, pascoli, coltivi, paesi… – hanno cominciato ad attenuarsi, a diventare indistinte uniformandosi, fino a sparire. Colpite dall’esodo rurale, dal progressivo abbandono dell’agricoltura e della pastorizia, le campagne delle aree interne italiane sono andate incontro ad una semplificazione paesaggistica che ne riflette il declino. Già negli anni ’50 – come scrisse Emilio Sereni – aveva preso avvio un processo di “disgregazione del paesaggio agrario… in ogni provincia italiana, specie nella montagna e nell’alta collina”. Poi la tendenza è continuata e si è accelerata. Come si vede, ciò sta avvenendo anche nel paesaggio della foto. Un verde uniforme tende a sostituire la policromia di quel mosaico, la cui articolazione seguiva il fluire delle stagioni: i coltivi erano bruni d’ autunno, verdi in primavera e gialli d’estate, i pascoli ingiallivano e rinverdivano come la lunga cavalcata dei tratturi sui colli; anche i boschi erano utilizzati e avevano i loro cicli di colori, con diverse tonalità di verde che in autunno si mescolava coi colori più caldi.

Il paesaggio non è una questione estetica, cioè non è solo ciò che si vede (quello è il panorama). Il paesaggio è un insieme di relazioni e funzioni che purtroppo il territorio non svolge più. Ritrovare funzioni territoriali, vecchie o nuove che siano, riconnettere paesi e campagne, coltivazione e alimentazione; promuovere l’agricoltura ecologica e l’allevamento contadino. Sembra un’utopia se la pensiamo a modello invariato, cioè inquadrata nella società consumistica e capitalistica, ma diventa possibile se immaginata entro un modello di vita che progressivamente si emancipi dal dispotismo del denaro e del mercato che tutto regola e ordina. Facciamo di tutto, dunque, per conservare il mosaico, curando il territorio, sostenendo l’agricoltura contadina, evitando funzioni improprie, riportando servizi e diritti nell’Italia abbandonata e delusa, di cui il Molise costituisce uno dei casi più eloquenti. 

di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)

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