María Lanese: “La poesía para mí es un enigma”
Intervista alla “poeta” originaria di Ripalimosani, emigrata a Rosario all’età di 5 anni
di Valeria Sol Groisman (da gacetamercantil.com) – (traduzione G.G.)
17 novembre 2022
María Lanese (Italia, 1945) emigrò in Argentina nel 1949 e si stabilì con la famiglia a Rosario, dove tuttora vive. Prima di diventare poeta, è stata psicoanalista. Il suo sguardo profondo e analitico sulle persone e sulla loro soggettività appare nei suoi testi che oscillano tra azione e descrizione.
Lanese unisce il suo profilo di scrittrice a quello di manager culturale e cantante. La sua voce, sulla carta o nell’aria, trascende i confini del linguaggio. Di una lingua. Perché i suoi scritti tendono a coniugare la parola materna con quella acquisita: spagnolo e italiano si fondono come se facessero parte di uno stesso flusso.
Oltre all’italiano, il suo lavoro è stato tradotto in tedesco e serbo. Nel 2021 ha ricevuto il Raúl Aceves Literary Excellence Award alla Fiera del libro di Guadalajara, in Messico. Conversazioni sacre è la sua ultima raccolta di poesie, tradotta in italiano da Antonio Pinto.
VG: Quando hai iniziato a scrivere? Riesci a identificare qualche episodio che ha innescato la tua scrittura?
ML: Certo! È una storia letteralmente incredibile, per fortuna ci sono testimoni che possono attestare. Ho un amico, un tedesco, che ho conosciuto molti anni fa, Tobias Burghardt. Lui e sua moglie Jona sono poeti, traduttori di poesie di (Juan) Gelman, (Roberto) Juarroz, Olga Orozco e molti altri. Quando Hugo Diz coordinava il Rosario International Poetry Festival, l’avevo messo in contatto con loro per chiamare a raccolta scrittori, soprattutto dell’Est Europa, che qui erano del tutto sconosciuti.
Nel 2003 o 2004, non ricordo esattamente, Tobías mi dice: “María, vorrei tanto invitare una grande poetessa serba che vive in una condizione molto particolare, il cui più grande desiderio è visitare Rosario, la città dove è nato il Che. Vive con la dialisi, avrebbe bisogno di qualcuno che si impegni per poter continuare la cura”.
Ho lavorato come Coordinatore di Gestione nell’Assessorato alla Cultura del Comune di Rosario, ho parlato con le persone della Sanità Pubblica e lì mi hanno detto: Invitalo, sta per farsi curare. Ho preso l’impegno e l’abbiamo invitato. Zlatko Krasni è venuto con Slavitza, sua moglie. Parlava tedesco, serbo, ovviamente, inglese e un po’ di italiano. Non parlo una parola di inglese, tedesco non a caso, e meno serbo. Così ogni volta che ci incontravamo lui, sua moglie ed io cercavamo di capirci attraverso un’amica poetessa, una bravissima poetessa, Ada Torres, che parla bene l’inglese ed era sempre con noi. E io… buona giornata… buona giornata… e sarò breve: torneranno in Serbia. Contemporaneamente arrivano due inviti a partecipare a un incontro di scrittori nel loro paese: uno per Ada e uno per me, oltre a una richiesta: che invii le mie poesie. E dico ad Ada: “fai capire a Zlatko che non scrivo, canto… che ho scritto alcune cose per delusioni d’amore, ho un quaderno -le dico- ma niente di più”. Questa è stata la risposta, e nonostante ciò, Zlatko ha continuato a insistere. Ho ascoltato quell’insistenza e ho afferrato il mio quaderno, ho cominciato a guardare quello che avevo scritto, ho scritto cose nuove e in pochi mesi ho messo insieme un libro. Dico ad Ada: “beh, guarda, questo è il libro. Mandalo così, si convince che non scrivo”. Poi lo invia. “Digli che canto, ma… chi mi accompagnerà in Serbia con il mio repertorio!”. Lo spedisce, e dopo venti giorni, un mese, circa dieci, dodici poesie di quel libro, tradotto in serbo da quella che è ancora la mia cara amica Silvia Monros, tornano al mio indirizzo di posta elettronica. Aspettiamo Maria al prossimo incontro, disse. E lì sono andata, non c’era tempo per modificare il libro, quindi sono partita con circa venticinque libretti armati di fotocopie, ho cantato a cappella e ho fatto il mio debutto come poeta in una strada acciottolata di Belgrado. E da quel momento non mi sono fermata fino ad oggi.
Zlatko non è con noi da qualche anno, e questa storia, qualche settimana fa, ha avuto un altro tocco di grazia. Sono stata convocata come uno dei curatori del 30° anniversario del Rosario Poetry Festival, e in questa occasione abbiamo invitato Jan Krasni, il figlio di Zlatko, che è anche un grande giovane poeta. E un’altra offerta di questo a quello che io chiamo caso fortunato: Tobías e Jona sono a Buenos Aires e parteciperanno alla presentazione di “Sacred Conversations“, il mio ultimo libro, scritto insieme ad Antonio Pinto.
VG: Hai lavorato come psicologa per molti anni. C’è qualcosa nella tua professione che influenza il tuo modo di scrivere?
ML: Anche se non pratico la psicoanalisi da molto tempo, l’ho praticata per molti anni e sono ancora legata ai miei insegnanti. Sebbene non mi dedichi alla pratica clinica, non ho abbandonato la mia lettura o la mia pratica teorica. Non ho dubbi che questa esperienza influenzi il mio modo di scrivere, tanto quanto l’esperienza del canto, e vi direi anche quella dei miei lunghi anni nella gestione pubblica della cultura. Il canto mi ha portato gradualmente alla poesia, la poesia mi ha aperto al mondo, continua ad aprirmi un mondo che mi avvicina alla verità e alla bellezza.
VG: Cos’è per te la poesia?
ML: Un enigma, la poesia per me è un enigma, come lo sono l’amore e la bellezza. Quella specie di enigmi che ci inducono a dare il meglio di noi stessi agli altri.
VG: I tuoi libri sono bilingue. La tua lingua madre è sempre presente. C’è un perché?
ML: È ciò che mi attraversa, emerge e mi viene annunciato dalla scrittura. È nella scrittura dove scorrono quei suoni della mia lingua madre, è nel silenzio e nell’incontro con la poesia, nella lunga e intensa meditazione che è la gestazione della poesia dove non solo, ma anche, quelle voci dell’infanzia risuonano. Nel mio lavoro, la mia storia con la lingua si manifesta in modo più specifico quando stavo preparando il terzo libro: Ancora (Aun, in spagnolo). I pensieri in italiano mi sono venuti come mai prima d’ora. Leggo in italiano e so conversare, ma scrivere è un’altra storia. In ogni caso, sapendo che le mie versioni in italiano erano pessime, ho fatto l’esercizio di scrivere il libro in entrambe le lingue. Al momento della pubblicazione, diversi cari amici hanno recensito i miei errori e finalmente e felicemente Antonio Pinto è apparso all’orizzonte. È italiano, vive in una città barocca di intensa bellezza, Lecce. In gioventù ha vissuto a Buenos Aires per alcuni anni. Antonio è stato l’ultimo a recensire Ancora e da allora ha realizzato le versioni di tutti i libri che pubblico in italiano. È anche un mio caro amico. Da quell’amicizia e da quel lavoro è nato il libro ora edito da Diotima Ediciones, che si è presentato a noi come un’affascinante esperienza di scrittura: Conversazioni sacre.
VG: Noti differenze di ritmo, musicalità, da una lingua all’altra?
ML: Sono sempre stata attratta e affascinata dai suoni, dagli accenti e dai ritmi delle altre lingue, soprattutto quelle a me strane, ma soprattutto i dialetti o le lingue delle comunità contadine, ancor più per quelle intime e solitarie nelle quali la voce si pronuncia rabbrividendo. Ed è attraverso la voce, non attraverso la parola, che comprendiamo la chiamata, quella chiamata che esprime il desiderio di comunione e di compagnia. Come nel canto, ciò che riceviamo dalla poesia è strettamente legato ai suoni, al ritmo, alla melodia, agli accenti e ai silenzi di ciascuna lingua in particolare, e quell’unicità produce effetti diversi sul nostro corpo quando riceve la poesia, non solo quando il poeta lo pronuncia con la propria voce, ma anche nella nostra lettura, che, sebbene richieda il silenzio, non tace. Nella lettura e nel silenzio ascoltiamo la voce della poesia come un sussurro. Sono arrivata a pensare che scrivere poesie sia questo: lasciarsi attraversare da più voci, quelle che componevano il nostro dialetto personale, la nostra voce irripetibile.
VG: Che tipo di lettore sei? Cosa ti piace leggere?
ML: Sono una lettrice persistente, ma sciatta. Ho letto e ascoltato poesie fin da giovanissima, ma a questo punto della mia vita e dei miei anni, quello che non mi commuove o non mi piace, cioè quello che non trovo piacevole nelle prime tre pagine, lo lascio da parte, in molti casi per sempre, anche se si tratta di uno scritto consacrato, e altri, quando qualcosa risuona, lo riservo per un altro tempo. Leggo sempre saggi e romanzi in modo disordinato, a volte torno ai classici e così via… Il mio più grande piacere è sempre stato, ed è tuttora, leggere.
VG: Com’è il tuo processo di scrittura?
ML: Rispondo citando me stessa, con quanto scrissi qualche anno fa per “El infinito viajar”, la rivista di Selva Dipascuale: “Ciò che mi ha portato e mi porta a scrivere è sempre qualche impulso intenso, diffuso e confuso, che non saprei spiegare. Non appare regolarmente e non potrebbe volontariamente causare quello stato, ma quando si verifica viene mantenuto dall’inizio alla fine del processo di impalcatura di quello che diventerà in ogni caso un libro”. Ogni libro è composto con una sua logica, e penso che sia diverso, che sto scoprendo mentre sono impegnata. Ogni componimento poetico poi è anche composto in modi diversi, con tempi diversi, alcuni in mesi, altri riposati per anni fino alla conclusione. È durante la costruzione del “ponteggio” quando ho la percezione del mio corpo in stato di allerta, alla ricerca delle parole che racchiudono i suoni che la poesia richiede, è lo stato di massimo piacere e di inquietante e gioiosa irrequietezza. Una poesia che fa parte di una sezione del libro Ancora che ho appunto intitolato “Corpo” può dare un resoconto di quale è lo stato migliore per me:
Cielo abierto
Encuentro con la luna
en el inicio de su viaje hacia la noche
Instante derramándose.
Universo encandilado
ascendiendo en la pupila fija
que atraviesa.
La luz cabalga
en el zumbido de la flecha
¿El cuerpo está en el aire?
Es el aire
encontrando
su forma.
(Cielo aperto – incontro con la luna – all’inizio del suo viaggio nella notte – Fuoriuscita istantanea. – Universo abbagliato – ascendente nella pupilla fissa – che passa – la luce cavalca – nel ronzio della freccia – Il corpo è in aria? – è l’aria – trovare – a modo suo.)
di Valeria Sol Groisman (da gacetamercantil.com) – (traduzione G.G.)