Una “Woodstock dell’Appennino”
Per mettere in rete e valorizzare la montagna italiana
di Paolo piacentini (da italiachecambia.org)
24 novembre 2022
Paolo Rumiz ha sempre definito l’Appennino come la spina dorsale del Paese e oggi potremmo dire che lo è ancora di più. L’Appennino che non vota, come tutta la montagna d’altra parte. Quello che appare agli onori delle cronache solo dopo un terremoto o altro disastro naturale è invece il luogo da cui dipendiamo molto più di quanto la coscienza collettiva abbia consapevolezza.
È il luogo dove i cosiddetti “servizi ecosistemici” hanno la loro massima rappresentazione tra risorse idriche, forestali e di biodiversità con una potenzialità infinita di condizioni ambientali ottimali per il benessere psico-fisico di residenti e turisti: anche questo aspetto immateriale rientra in questo novero. Ad oggi, su questa parte immateriale dei servizi ecosistemici che risulta più difficile rappresentare nella sua concretezza, l’attenzione sociale è molto scarsa mentre viene dato maggiore valore, per ovvi motivi economici, alla risorsa forestale.
Per un Paese che ha scarse risorse dal sottosuolo le nostre montagne dovrebbero rappresentare il luogo privilegiato da gestire con parsimonia in modo da rendere disponibile nel tempo l’immenso patrimonio paesaggistico e di risorse vitali di cui fruisce tutto lo Stivale. Sono piene vallate e crinali di storie virtuose, molte al femminile, e sarebbe importante dare loro una ribalta nazionale. Storie che narrano modelli innovativi e creativi che sviluppano processi virtuosi dal punto di vista economico e sociale. Progetti che sono in linea con il rispetto degli equilibri naturali e che provano a invertire la rotta di un’economia estrattiva e colonizzatrice.
Come accade spesso in Italia, non solo tra le montagne, il lato debole di questa straordinaria progettualità diffusa è la capacità di fare rete. Non che sia semplice creare collegamenti strutturali tra idee e progetti virtuosi vista la difficoltà ad incontrarsi fisicamente con una certa frequenza, ma sicuramente si potrebbe fare molto di più e per fortuna qualche cosa si muove soprattutto tra i più giovani.
La proposta che ho lanciato sui social qualche tempo fa è quella di un appuntamento nazionale da tenersi nella primavera del 2023 in cui ci si possa confrontare tra le mille realtà che a vario titolo animano l’Appennino. Una sorta di Woodstock che inizialmente avevo immaginato dedicata ai camminatori, ma che poi ho pensato potesse essere più importante dedicare a tutto tondo al mio amato Appennino. Un confronto aperto da preparare nei prossimi mesi attraverso un dibattito. Un confronto che abbia il coraggio di affrontare, oltre ai progetti virtuosi, anche le negatività che condizionano profondamente il presente e il futuro della montagna italiana, in particolare appenninica.
Sarebbe ipocrita continuare a ignorare che alcuni territori, soprattutto in quelle che definiamo “terre alte”, sono colonizzati da interessi speculativi. Sono storie tristi che tolgono il fiato a molti giovani che vorrebbero avviare un’agricoltura di montagna pulita e innovativa, pascoli per riscoprire il ciclo completo della pastorizia e tanto altro. Racconti a tutto tondo che provano a mettere sullo stesso piano gli accademici con i narratori di ogni sorta, ma soprattutto che non lasciano indietro nemmeno la più piccola realtà.
È questo un cammino che non serve a dare i voti all’esperienza o allo studio migliori, ma che ha come unica finalità quella di costruire un’alleanza appenninica capace di tentare la costruzione di un nuovo modello sociale ed economico davvero sostenibile. L’Appennino, come ogni territorio, vive di contraddizioni e potenziali conflitti e per questo ha bisogno di narrazioni plurali che provano a rappresentare le caratteristiche specifiche di ogni zona ma gli elementi di maggiore criticità purtroppo accomunano molte aree da sud a nord.
Credo sia giunto il momento di costruire un’alleanza orizzontale da sud a nord per rafforzare il valore fondamentale della dorsale appenninica
Sono spesso progetti industriali eterodiretti, siano essi legati al vecchio modello di un turismo invernale che ha gli anni contati o quelli che con una certa ipocrisia vengono chiamati “parchi eolici”, mentre sono dei veri e propri impianti industriali da posizionare su crinali fragili e di alto pregio. Si tratta, ad esempio, di raccontare concretamente come l’Appennino può ospitare le comunità energetiche coinvolgendo le comunità locali in una pianificazione dal basso che possa dare un futuro energetico pulito e non impattante sul paesaggio e la biodiversità.
Vanno declinate meglio le potenzialità del cosiddetto turismo lento per capire quale promozione ulteriore può avere nelle aree montane e come questa attività possa integrarsi con le altre attività innovative nella gestione del territorio e la creatività culturale, a tutto tondo, che sta emergendo negli ultimi anni. Insomma credo sia giunto il momento di costruire un’alleanza orizzontale da sud a nord per rafforzare il valore fondamentale della dorsale appenninica per il futuro dell’intero Paese e un pezzo di questo lungo percorso possiamo farlo insieme.
di Paolo piacentini (da italiachecambia.org)