“Ad gentes, ad extra, ad vitam”
Il Carisma dei Missionari Saveriani. Una riflessione sulla missione fatta da P. Antonio Germano, missionario molisano in Bangladesh, in preparazione del Capitolo Generale che si svolgerà l’anno prossimo
di p. Antonio Germano Das, sx. antoniogermano2@gmail.com
30 novembre 2022
1. MISSIONE FA RIMA CON PASSIONE e trova la sua formulazione espressiva nel grido di San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi: “Caritas Christi urget nos” (2 Cor. 5:16), che fu poi l’anima dell’audace progetto per la missione del nostro Fondatore San Guido M. Conforti. Il nome missione trova oggi spazio soprattutto nelle tavole rotonde delle discussioni teologiche, ma la spinta missionaria, come intesa da San Paolo e fatta propria dal nostro Fondatore, si è molto affievolita, se non addirittura spenta.
Era proprio la passione per il Cristo e per il suo messaggio di salvezza che ti teneva inchiodato sulla riva del fiume Kopotokko in balia delle intemperie e dei cicloni per 12 anni senza corrente, senza telefono e senza mass media. Puoi chiamare questa retorica o mistificazione della missione, per me si tratta invece della storia di un’avventura d’amore, al cui centro c’era LUI, che ti sosteneva e di cui avvertivi la presenza. “Signore, tu ci sei; manifestati a me! Se tu ti manifesti, io vivo” (Borodol, 31.08.1978). “Io sono qui, perché tu sei qui con me e mi riempi di gioia! Se tu fossi lontano da me, io fuggirei!” (Borodol, 02.09.1979).
Ma i tempi sono cambiati. Nel corso della storia le rivoluzioni ed i cambiamenti epocali non si contano. Ai nostri giorni poi i cambiamenti si susseguono ad un ritmo impressionante. Nel frastuono e nella frenesia dei cambiamenti è ancora avvertibile il grido di San Paolo, fatto proprio dal Fondatore dei Saveriani? È proprio quello che ci viene chiesto in questa fase preparatoria del Capitolo Generale, che traccerà o non traccerà un sentiero improntato ad un rinnovato entusiasmo per la missione “ad gentes, ad extra, ad vitam”, che può trovare la sua scaturigine unicamente nell’amore per il Cristo.
2. MISSIONE COME ESODO. La chiamata alla missione ci colloca sul sentiero di Abramo, padre di quelli credono e si affidano ed è innanzitutto un uscire dalla propria terra. Terra, nel caso nostro, ha un ampio significato semantico, a partire da quello geografico del paese dove si è nati ed abbiamo assorbito lingua, religione, cultura e tradizioni, fino a quello metaforico della terra della tua personalità, del mondo delle tue idee e convinzioni.
Il primo esodo, quello dalla terra dove si è nati, fa soffrire all’inizio, ma è una sofferenza che viene subito assorbita e rimane un ricordo isolato e nostalgico. Il secondo esodo, invece, quello dalla terra del nostro io e del nostro modo di pensare e di agire non finisce mai e ci accompagna in tutto il tragitto della vita. Se al primo esodo non tiene seguito il secondo esodo, la missione va incontro al fallimento. Questo secondo esodo ci permette di attuare la missione ad “extra”, che è la seconda caretteristica, che ci costituisce Saveriani, accanto “ad gentes” e “ad vitam”. L’attitudine dell’uscita dal nostro io ci permette di entrare in punta di piedi nel paese in cui siamo chiamati a rendere presente la missione di Gesù, senza presunzione o pretesa di insegnare, ma con la precisa coscienza che imparare la lingua del popolo, conoscerne storia, cultura e tradizioni sono l’ABC della missione. Lo slogan di una volta era “essere apostoli, conservando dentro sempre l’attitudine del discepolo”.
3. MISSIONE AD GENTES. Una volta all’orizzonte della chiamata alla missione figuravano solo i popoli che non conoscevano Gesù e reclamavano il diritto a conoscerlo. Da qui nasceva l’urgenza della partenza per la realizzazione della missione. Oggi l’orizzonte si è accorciato, perchè, dicono, i popoli dell’ad gentes si trovano a casa nostra e non c’è bisogno di uscire per andare a trovarli. Il fenomeno dell’emigrazione di massa in questi ultimi decenni ha sconvolto i paramentri del modo di pensare e di agire nel mondo occidentale, coinvolgendo anche la Chiesa e la sua missione. A riguardo è in atto un ampio dibattito, degno di grande attenzione. Ma, come missionari ad gentes, la nostra posizione dovrebbe essere chiara e netta: il problema riguarda la chiesa locale, che, come è stato affermato dal Concilio Vaticano II, di sua natura è missionaria. Questa verità ha trovato espressione nello slogan di qualche anno fa: “Battezzati? Quindi inviati!” A noi, come Saveriani, occorre conservare intatta l’identità del carisma ad gentes, che richiede l’uscita dalla propria terra e dalla propria cultura.
4. MISSIONE AD VITAM. L’ultimo respiro è per la missione! Forse ci si dimentica, ma bisogna tenerlo sempre a mente che per noi Saveriani la vita consacrata è scandita oltre che dai voti di povertà, obbedienza e castità, anche dal quarto voto della missione. Si corre quando si è giovani, affrontando con entusiasmo situazioni spesso difficili, con il rischio anche di sbagliare. La corsa si attutisce con l’età matura, quando si guarda alla realtà con disincanto. Subentra la quarta fase, che è quella che mi riguarda, quando c’è bisogno della terza gamba, che è il bastone, per muoversi. Si vorrebbe correre come una volta, ripercorrere le strade fangose nella stagione delle piogge e polverose nella stagione asciutta, riprendere in mano quello che era nel sogno di realizzare e non fu realizzato, ma la terza gamba non lo consente! Allora ci si rende conto che sei entrato nella fase finale della missione, che trova il suo apice nella kenosis, nel graduale scomparire per l’invocazione finale: Maranatha, Vieni, Signore Gesù.
Chuknagar Mission, (Bangladesch), 29.11.2022
di p. Antonio Germano Das, sx. antoniogermano2@gmail.com