Il mio cestino di cartone
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre
di Vincenzo Colledanchise
30 novembre 2022
Questo cestino mi lega nostalgicamente ai miei primi ricordi infantili, allorquando frequentavo l’asilo infantile gestito dalle suore “immacolatine“ a Toro.
Le suore utilizzavano tutto il piano terra del palazzo dell’allora municipio: la grande loggia con il nauseabondo gabinetto ricoperto da una lussureggiante vite; il salone con i piccoli banchi bianchi allineati, sui quali ci si costringeva a dormire nel pomeriggio; le due stanze da letto delle suore e la cappellina con uno scricchiolante pavimento in legno, il cui rumore copriva le nostre preghiere appena sussurrate.
L’ampio loggiato, nel cui sottostante giardino trionfava un grande albero di nespole, era provvidenziale per non farci sentire in prigione, poiché lo sguardo si proiettava fino ai colli pugliesi.
Su quel loggiato passavano in rassegna le suore a farci bere l’acqua nei consunti bicchieri di alluminio, dopo aver mangiato quel poco che le mamme riponevano nel cestino di cartone, il mio sempre consunto dall’olio che insaporiva le due fette di pane fatto in casa.
Le suore erano di solito tre con la madre superiora, che era impegnata nel contempo a dirigere la scuola di ricamo e cucito per le giovanette del paese.
di Vincenzo Colledanchise