• 10 Gennaio 2023

Cambiare rotta

Il Molise aveva circa 400.000 abitanti nel 1950, ora ne ha 290.000

di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)

10 Gennaio 2023

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Il Molise attuale è figlio di politiche sbagliate o mancate, di un modello di sviluppo da cambiare radicalmente. È l’emblema delle aree interne italiane, lo specchio dei processi di spopolamento e di abbandono che nella seconda metà del ‘900 hanno investito le campagne e i paesi dell’Italia rurale. Processi che hanno determinato il formarsi di un’Italia di seconda o di terza serie: un insieme di territori marginalizzati che ormai siamo abituati a classificare come “aree interne”. “Aree interne” vuol dire margine, periferia. Ma periferia non si nasce, si diventa. Dunque la rotta non è ineluttabile e si può invertire. Per farlo è necessario capire le cause del declino, individuare le responsabilità, ripartire dal territorio e dalle comunità, cambiare modello di sviluppo.

Questa regione aveva circa 400.000 abitanti nel 1950, ora ne ha 290.000. Uno spopolamento pauroso, particolarmente forte negli anni ’50 e ’70 (- 87.000 residenti nel ventennio 1951-71), ma che purtroppo sta proseguendo anche oggi: 28.000 residenti in meno solo negli ultimi vent’anni (2001-21). È il segno di politiche sbagliate a livello nazionale e regionale, frutto di un modello di sviluppo che ha privilegiato i grandi centri e le coste, marginalizzando i paesi e le zone rurali. Segno che i tentativi fatti (es. nuclei industriali) sul lungo periodo non hanno funzionato. Non ha funzionato, né può funzionare, l’applicazione in questa regione dello stesso modello che l’ha marginalizzata, cioè quello della crescita e della competizione economica, dell’aumento dei consumi, della grande impresa, degli investimenti esogeni, della polarizzazione dei servizi.

Ridare voce al Molise salvaguardando i beni comuni e riportando i servizi essenziali, a partire dalla sanità, dall’ istruzione e dalla mobilità, dare valore al territorio e al paesaggio, rimettere al centro le risorse ambientali e le vocazioni territoriali sulle quali costruire un modello endogeno di produzione e di consumo, assumere la cultura come elemento trasformativo della società e dell’economia, attivare la partecipazione sociale. Dovrebbero essere questi gli assi di un nuovo programma regionale orientato ai bisogni e ai diritti, un programma che compia una netta scelta di campo, radicale e credibile. Solo una vera sinistra potrebbe farlo. Una sinistra nel senso storico del termine, cioè quella nata per cambiare sistema, non per puntellarlo, quella ispirata ai princìpi di uguaglianza e di solidarietà, non alla competizione, al merito, alla logica distorta delle eccellenze. Ma la sinistra non c’è, va cercata col lanternino, dispersa e delusa oppure integrata e perduta in un centrosinistra che finora non ha saputo distinguersi per una rottura programmatica e di metodo. Si pensi agli ultimi vent’anni dei governi regionali: l’alternanza di centrodestra e centrosinistra, spesso legata al trasformismo individuale o di gruppo, ha perpetuato un modello senza produrre cambiamento, ha seguito personalismi e logiche di potere centralizzando le scelte e mortificando la partecipazione.

Nel 2021 fu pubblicato un libro (ancora attualissimo) ad impostazione programmatica intitolato Un altro Molise è possibile: venti contributi per un progetto comune che spaziano dall’ambiente alla sanità, dall’urbanistica alle infrastrutture, dalle reti di innovazione alla cultura, dall’agricoltura all’artigianato e all’industria, dal lavoro alla cooperazione, dal turismo all’energia. Poi quel titolo è diventato anche il nome di un’associazione, prevalentemente giovanile, che ha organizzato di recente il primo Festival della Resistenza Molisana come espressione di una società in movimento, di una realtà che non cede ai sentimenti di sfiducia e rassegnazione, ma li trasforma in indignazione e lotta. Una rassegna di esperienze che dimostrano come il territorio sia più avanti della politica. Potremmo fare esempi di imprese giovani agricole o artigianali, di qualche cooperativa di comunità, di alcuni comuni che hanno saputo impostare strategie di rinascita territoriale e sociale, di nuovi turismi, di innovazioni e di retroinnovazioni.
Intanto altre iniziative sono state avviate percorrendo le vie di un civismo di sinistra che riattivi la partecipazione e costringa i soggetti politici tradizionali a fare scelte di campo per invertire la rotta, entro una visione radicale del cambiamento, lontana dalle mediazioni, dalle logiche di potere e degli affari, che rompa con il clientelismo e l’assistenzialismo.

Il Molise è una regione piccola e bella che merita di più: più lavoro, più servizi, più cura. Con politiche adatte potremmo dare a tanti giovani buoni motivi per restare, a qualcun altro per tornare, ad altri per arrivare. Per farlo occorre uscire dalla logica dei numeri e della competizione, cioè dobbiamo impostare un nuovo modello di sviluppo cooperativo e solidaristico, accompagnando il processo con una cultura e una scuola diffuse. È necessario investire sui paesi, nei servizi e sulle infrastrutture, incentivare attività produttive in ambito agricolo e turistico e offrire opportunità ai giovani. Al Molise servono politiche di autonomie territoriali e di prossimità: non più potere alla regione, ma più potere ai territori e al popolo, fuori dalla colonizzazione politica che l’ha contraddistinta anche nelle recenti elezioni nazionali.

Ci vorrebbe un nuovo fronte popolare, composto da una pluralità di soggetti e guidato da figure nuove e espressione della società civile, per rispondere a chi nel tempo ha sottratto a questa terra opportunità, servizi, speranze. È questo il tempo di cambiare rotta, di rimettere al centro il territorio, le sue risorse, il suo patrimonio per generare opportunità di lavoro, assicurare i servizi e quindi i diritti essenziali, curare le infrastrutture, promuovere la cultura, l’agricoltura, il turismo sostenibile; investire sui prodotti, i paesi, il paesaggio. Il tutto promuovendo uguaglianza e giustizia sociale e ambientale. Così con nuove strategie e un nuovo immaginario tornerebbe l’entusiasmo di vivere in Molise. Sarebbe un esempio anche per l’Italia intera.

di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)

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