27 gennaio: memoria storica e impegno civico
Il Giorno della Memoria, una grande utilità per una riflessione accurata sulla Shoah
di Umberto Berardo
27 Gennaio 2023
Istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Giorno della Memoria, fissato al 27 gennaio, ha una grande utilità per una riflessione accurata sulla Shoah, sicuramente un evento tra i più bui vissuti dall’umanità nel corso della storia.
Faremmo un grave errore di analisi storica se esaminassimo l’Olocausto solo nella sua unicità senza allargare l’orizzonte di osservazione sui tanti stermini che prevalentemente le dittature ma anche regimi pseudodemocratici hanno posto in essere calpestando il diritto fondamentale degli esseri umani che è quello alla vita.
La persecuzione degli ebrei, posta in essere da Hitler e dal suo regime per motivi di natura xenofoba, si è poi allargata a rom, omosessuali, disabili, oppositori politici, sinti, jenisch, testimoni di Geova, pentecostali, handicappati, malati mentali.
Lo sterminio di questi “indesiderabili” avrebbe portato all’annientamento di circa quindici milioni di esseri umani.
La scia di persecuzione e soprattutto le tecniche di esecuzione tenute nei diversi campi di concentramento hanno generato dolore e sollevato rabbia, ma allora come oggi vi è stata anche tanta indifferenza, manifestata con un silenzio assordante a livello istituzionale, ecclesiale e soprattutto in un’opinione pubblica incapace per anni di trovare strade adeguate al fine di opporsi ai crimini nazisti.
In tal senso dovrebbe farci riflettere molto l’amara dichiarazione di Liliana Segre qualche giorno fa a Milano alla presentazione di alcune iniziative per il Giorno della Memoria: “La shoah rischia l’oblio. Su di essa ci sarà una riga tra i libri di storia e poi più neanche quella”.
Certo la tragedia vissuta allora dal popolo ebraico è stata terribile, ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare che la storia è costellata di genocidi che ancora oggi sono perpetrati in diverse aree geografiche.
In una mia relazione di qualche anno fa proprio a un incontro culturale tenuto a Campobasso proprio il 27 gennaio così in forma di domande retoriche ne enumeravo i casi nel mondo.
“Non sono stati nella storia dei genocidi anche la crociata contro gli Albigesi nella Francia medioevale, la tratta atlantica degli schiavi africani con tantissimi morti fra il XVI e il XIX secolo, l’eliminazione degli Armeni in Turchia durante la prima guerra mondiale o quella dei Curdi da parte di diverse popolazioni mediorientali, la deportazione e gli stermini di intere popolazioni di contadini a opera di Stalin o quello della dittatura comunista in Cambogia tra il 1975 e il 1976 o ancora quello degli Stati Uniti d’America con la guerra in Vietnam e degli israeliani nei confronti dei palestinesi?
E oggi possiamo passare sotto silenzio le stragi e le violenze dell’odio interetnico tra Hutu e Tutsi in Ruanda, o quelle di Boko Haram in Nigeria, dell’Isis, del terrorismo o delle mafie diversamente chiamate o infine dei tanti immigrati annegati nel Mediterraneo o sulla rotta balcanica mentre cercavano una speranza per la loro angoscia esistenziale?”
Se l’indifferenza limita l’empatia e i crimini si ripetono in tal modo ovunque, probabilmente la nostra memoria storica è insufficiente a superarli, ma in particolar modo non abbiamo maturato un livello d’indignazione capace di spingerci a elaborare sistemi di opposizione non violenta alle logiche della xenofobia, del nazionalismo e dell’imperialismo che tanti danni hanno già prodotto e altri ne stanno disseminando anche in questi giorni soprattutto nelle aree geografiche in cui i conflitti generano guerre per le quali una politica ormai vuota e inefficiente non riesce più a trovare soluzioni diplomatiche perché anche organismi internazionali come l’ONU appaiono assenti, datati e frenati dalle logiche ormai non più accettabili dei diritti di veto concessi un tempo in maniera irrazionale e inspiegabile a taluni Paesi aderenti.
Rassegnarsi al male significherebbe dare ragione ai violenti mentre abbiamo bisogno di guardare agli orizzonti del bene, della vita e della felicità per tutti gli esseri umani.
C’è allora sicuramente la necessità di contestualizzare il fenomeno dell’olocausto, ma anche di capirne le ragioni, di studiarne gli aspetti antropologici e soprattutto di cercare l’antidoto per impedire che esso possa continuare a ripetersi ancora.
Il primo impegno civico credo sia quello di potenziare nei giovani il rispetto della dignità altrui partendo dall’educazione in famiglia, nella scuola e in tutte le organizzazioni sociali.
Poiché le persecuzioni e gli stermini sono in genere determinati da regimi autoritari o da organizzazioni terroristiche di diversa matrice ideologica, abbiamo poi il dovere di rafforzare i sistemi di convivenza pacifica e rispettosa dei diritti, ma in particolar modo quella democrazia che secondo il rapporto 2021 dell’Istituto Internazionale per la Democrazia e l’Assistenza elettorale (IDEA) di Stoccolma “è messa in pericolo da un insieme di minacce e da una marea crescente di autoritarismo”.
Facendo riferimento alla rappresentatività del governo, ai diritti fondamentali, ai controlli sul potere esecutivo, alla partecipazione, al ruolo della società civile, all’imparzialità e alla trasparenza dell’amministrazione pubblica, l’Istituto sopra menzionato ha diviso i centosessanta Stati esaminati in democratici, comprese le democrazie in decadenza, ibridi e autoritari.
Questi ultimi secondo il rapporto sarebbero nel mondo ben cinquantanove.
L’assalto violento dei dimostranti alla sede del Congresso a Washington e quella più recente di gruppi parafascisti a Brasilia, il calo generalizzato del numero dei votanti, la corruzione dilagante, la marginalità del potere del Parlamento rispetto a quello del Governo, un aggressivo integralismo religioso, le tendenze crescenti di forme di nazionalismo e imperialismo, la compressione di molti diritti particolarmente negli Stati teocratici, i populismi sovranisti sempre meno liberali e i tentativi di eversione di governi votati in libere elezioni ci dicono che la democrazia non vive solo forme talora regressive o illiberali come in molti Stati europei, ma è a rischio soprattutto nell’America Latina ad opera di poteri parafascisti facenti capo ai militari, ai proprietari terrieri, al mondo finanziario e ai produttori di armi.
L’attenzione sull’involuzione e l’erosione democratica è particolarmente concentrata su Stati Uniti d’America, India, Brasile, Perù, Cile, ma anche in Ungheria, Polonia e Slovenia.
In questi Stati una frettolosa normalizzazione di partiti di estrema destra, ancora legati palesemente a logiche neofasciste, porta ai tentativi recenti di destabilizzare governi eletti liberamente dal popolo con qualche maldestro ma pericoloso tentativo di colpo di Stato.
In Iran, Afganistan, Myanmar, Palestina, Ucraina, solo per fare degli esempi, ci sono popolazioni che, a rischio della propria vita, stanno chiedendo diritti di libertà e uguaglianza.
Di fronte a queste difficoltà nella convivenza, determinate dalla follia umana nella ricerca del potere da parte di dittature, teocrazie, oligarchie e plutocrazie della peggiore specie, non possiamo abbassare l’indignazione e votarci all’indifferenza per quieto vivere.
Abbiamo il dovere di un impegno civico forte e tenace perché nel mondo si affermi una piena democrazia partecipata, si elimini ogni forma di violenza, si garantiscano i diritti e si rispetti l’ambiente e la dignità di ogni essere vivente.
Tornare alla responsabilità di cittadini attivi significa essere presenti nelle decisioni che contano senza rifugiarsi nell’astensionismo elettorale che fa il gioco del potere, ma vuol dire soprattutto lavorare alla soluzione condivisa dei problemi della collettività.
Sulla difesa della sovranità popolare nel mondo abbiamo credo tutti apprezzato molto la chiarezza delle posizioni di Ursula von der Leyen come di papa Francesco e del presidente Mattarella, mentre dobbiamo rimarcare la vaghezza e l’ambiguità delle dichiarazioni provenienti da altri soggetti politici o religiosi come il silenzio addirittura di intere popolazioni.
Di fronte ad attacchi come quelli di Capitol Hill o di Brasilia a governi liberamente espressi dal popolo come davanti alle palesi negazioni dei diritti umani nel mondo la trasparenza di pensiero e la sua espressione chiara è di una necessità assoluta non dimenticando che proprio la tolleranza iniziale sui comportamenti nazisti in Europa ha determinato poi quell’orribile pagina di storia che è stato l’Olocausto.
Sostenere realmente la democrazia significa anzitutto cercare le ragioni della crisi profonda del sistema originata dai tanti che scelgono di fare politica non come servizio alla collettività, ma solo perché devono allargare ciò che hanno posto a fondamento della propria esistenza ovvero la ricchezza ricercata sempre più con lo strumento della corruzione.
Rispetto alle diseguaglianze crescenti e alla negazione dei diritti riconosciuti alla persona le forze politiche hanno bisogno di un’identità di rappresentanza chiara rispetto ai gruppi sociali e non possono limitarsi a essere veicoli di carriere privilegiate senza limiti di tempo; hanno dunque la necessità di superare l’ipocrisia di chi, incapace di proposte radicali per il cambiamento, sceglie il moderatismo funzionale al potere spacciandolo per riformismo.
L’incapacità della sinistra di offrire risposte credibili a chi vive le difficoltà derivanti dalla crisi economica di un neoliberismo che ha portato gran parte della popolazione a diventare vittima di una globalizzazione incontrollata sta dando il pretesto a molti elettori delusi di rifugiarsi nell’astensionismo o peggio ancora verso il voto a una destra populista.
Difendere i diritti civili non basta; per rafforzare le strutture democratiche dei diversi Paesi abbiamo anche la necessità di porre mano alla difesa di quelli sociali con la costruzione di un adeguato welfare e di un’equa redistribuzione della ricchezza come pure con il rafforzamento del sistema scolastico e dei servizi sanitari.
La mancata risposta in termini legislativi a questi problemi fondamentali delle popolazioni rischia di condurci a forme ibride di populismo autoritario che molti definiscono con un brutto neologismo “democrature”, ma che altro non sono se non inizi di tentativi eversivi del sistema democratico che dovremmo impedire ad ogni costo.
di Umberto Berardo