Sentirsi matesini più che campani o molisani
L’incidenza di gravitazioni intorno a centri urbani di un certo peso
di Francesco Manfredi Selvaggi
31 Gennaio 2023
È diventata un po’ una mania quella di immaginare suddivisioni regionali diverse da quella attuale. Le proposte sono numerose e coinvolgono alcune anche il comprensorio del Matese lato molisano. Qualunque sia la futura delimitazione dei confini delle regioni è da essere sicuri che essa non intaccherà l’attaccamento a questa montagna da parte della gente che vi vive ai bordi.
Ogni tanto, comunque con una certa frequenza, si ripresenta, il dibattito sull’aggregazione, disgregazione, delle attuali regioni in altre unità territoriali scomponendo, ricomponendo, quelle oggi esistenti in nuove realtà regionali. La tendenza più marcata è quella verso la creazione di macroregioni a differenza di quanto è avvenuto mezzo secolo fa in riguardo al Molise con la sua separazione dall’Abruzzo la quale ha portato alla nascita di una microregione, la nostra, per superficie e per numero di abitanti la penultima d’Italia.
Oltre ad accorpamenti, disaccorpamenti, proposte che si affacciano periodicamente nelle discussioni politiche a scala nazionale sono in campo altresì ipotesi di ridefinizione dei confini che investono le aree perimetrali molisane. I beneventani caldeggiano da tempo la formazione del Molisannio, idea che prevede la fusione delle province di Benevento, appunto, Campobasso e Isernia. Esaminata dal punto di vista del Matese esso, certo, porterebbe all’unificazione di un’ampia porzione del complesso montuoso dentro la medesima istituzione amministrativa, ricomprendendo al suo interno la propaggine orientale che si conclude a Pontelandolfo, ma non tutto il massiccio.
Solamente aggiungendo alle precedenti la ripartizione provinciale di Caserta si avrebbe l’inclusione dell’intera montagna nello stesso organismo istituzionale, come era nell’epoca dell’antico Sannio in cui la federazione delle tribù sannitiche controllava ambedue i versanti del rilievo montano e per tutta la sua lunghezza. Con la dominazione romana il Samnium, siamo in età augustea, venne a far parte della Regio IV insieme alla Sabina che era una parte del territorio abruzzese.
Con Diocleziano, finalmente, sempre in riguardo all’angolo di osservazione che interessa il Matese, quest’ultimo risultò condiviso tra Campania e Molise, fatto che, del resto, corrispondeva ad un’aspirazione profonda di questo popolo italico il quale nel 470 a.C. aveva occupato le città campane della Magnagrecia tra cui Napoli. Lasciando l’antichità e passando ora ad una fase recente si rileva che al Contado di Molise non apparteneva interamente tale emergenza montuosa non rientrando nei suoi limiti Piedimonte e Alife.
Con la costruzione della Provincia di Molise non venne ad essa assegnata l’area precedentemente ricompresa nel Contado che va da Morcone a S. Lupo a Pontelandolfo quindi il lato est del Matese, mentre durante il Fascismo si tolsero alla Provincia 5 comuni matesini che stanno ad ovest (Capriati, Prata, ecc.). Oggigiorno si manifestano spinte alla configurazione di comprensori interregionali che investono fette di suolo molisano, le quali sono fenomeni spontanei e non pianificati, cioè di tipo naturale, non ufficiale.
Si tratta di gravitazioni intorno a centri urbani di un certo peso, uno posto dentro il Molise e perciò a nostro vantaggio e uno fuori e perciò a nostro discapito e sono, rispettivamente Venafro che attrae l’Altocasertano e Castel di Sangro che attira i paesi altomolisani prossimi. Non è dato nessun altro caso, Boiano un altro grosso agglomerato posto lungo un’estremità della regione non è in grado di calamitare su di sé le comunità situate al di là del Matese il quale viene a fungere da barriera insormontabile.
Non era così al tempo dei Sanniti quando questi monti erano sentiti dalle popolazioni che vivevano al contorno invece che come fattore di divisione come luogo in con-divisione. Intorno alle “terre alte” si coagulano gli interessi delle genti dislocate sui 2 distinti fronti del monte dedite alla pastorizia attività che in estate si pratica alle quote altimetriche superiori ancora oggi seppure sia diventato un settore economico residuale, specie l’allevamento zootecnico legato all’alpeggio.
Si è escluso dalla elencazione delle realtà cittadine sui bordi del Molise Trivento il quale, per un verso, può essere definito un polo urbanistico al confino poiché collocato in un lembo, in qualche modo marginale della regione, per un verso diverso, al confine, quest’ultimo è segnato dal Trigno per cui è isolato non unicamente dalla zona centrale del Molise, ma pure dagli abitati della sponda chietina del fiume nonostante che essi facciano capo in quanto a Diocesi alla sede vescovile triventina; è solo che il ruolo del Vescovo quale autorità “temporale” non è affatto pregnante come una volta, anzi ormai inesistente.
Comunque, occorre sottolineare che l’asta fluviale trignina e la catena appenninica, la quale comprende il Matese e le Mainarde, sono gli unici tratti in cui le terminazioni regionali sono ben individuabili, non sono frutto di scelte arbitrarie, si direbbe termini univocamente determinati. Le emergenze montuose, una puntualizzazione dovuta al fatto che sullo sfondo del dis-corso in corso vi è la montagna matesina, anche quando non se ne parla essa è all’orizzonte, sono vocate ad essere fattori geografici di distanziamento tra i circondari che si trovano alle loro spalle, una destra e una sinistra, con l’eccezione, giustificata per la sua limitata altitudine, della Montagnola il cui nome rimanda ad una piccola montagna; è interessante notare che per il rilievo appena evocato l’episodio montagnoso fa da collante tra i borghi situati intorno ad esso appartenenti alla medesima Comunità Montana, cosa che non succede allorché l’elemento montagna è di grande spessore, beninteso in altezza e non in larghezza.
Non vale per le circoscrizioni provinciali quanto è valido per una Comunità Montana: quella isernina e quella campobassana si spartiscono la vallata ai piedi del Matese che ha quale baricentro Boiano, pur presentandosi questa morfologicamente unitaria. Un pezzo di qua (Cantalupo, Roccamandolfi, ecc.) e il resto di là. Il distretto matesino, ad ogni modo, non sembra temere alcuna formula di ridisegno della configurazione degli enti territoriali talmente forte è il senso di appartenenza ai borghi, talmente è prevalente nella coscienza collettiva l’essere matesini al posto di essere molisani oppure campani, all’essere pentri (la provincia di Isernia) o sanniti (quella di Campobasso che tiene in seno pure i frentani).
L’identità locale prevale su quella regionale o provinciale. Il Parco Nazionale può diventare la sede per sperimentare attraverso le tecniche dell’ingegneria istituzionale soluzioni innovative di gestione di questa montagna a cavallo di 2 regioni che presta il fianco, se così si può dire, alternativamente al Tirreno e all’Adriatico funzionando da collante tra le rispettive coste.
(Foto: M. Martusciello – Il Fondacone)
di Francesco Manfredi Selvaggi