• 10 Febbraio 2023

Stallo per il Parco Nazionale del Matese

Il limes del Parco e il solco tracciato dal vomere dell’aratro

di Francesco Manfredi Selvaggi

10 Febbraio 2023

È l’incertezza dei confini a determinare la fase di stallo in cui versa l’attivazione del Parco Nazionale del Matese. È una disputa tra ciò che è dentro e ciò che è fuori perché la perimetrazione non ha un valore sacrale, può modificarsi nel tempo, non ha, per intenderci, la stessa carica simbolica che ebbe la definizione del perimetro di Roma da parte di Romolo il quale arrivò ad uccidere il fratello per averlo varcato.

È di notevole interesse il tema della Perimetrazione (la “p” è in maiuscolo perché si tratta di un atto ufficiale) non è una cosa marginale, non consiste semplicemente nello stabilire dei margini, non è una mera disposizione amministrativa, è una faccenda centrale nella definizione dell’Area Protetta. Per capire bene la tematica è utile la comparazione con il Parco Nazionale d’Abruzzo così come era configurato nella sua versione originaria, cioè prima dell’Ampliamento (la lettera “a” è in carattere maiuscolo in quanto è un provvedimento di legge) del suo perimetro con l’inclusione della catena delle Mainarde (sia il versante laziale che quello molisano per cui è diventato Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise).

All’inizio il PNdA si estendeva su un areale più ristretto, lo si è detto, con una limitata escursione tra le quote massime e minime, i centri abitati che vi insistono sono già in altitudine. Il Matese ha una vocazione diversa in termini territoriali per il carsismo che lo connota il quale fa sì che i nuclei urbani stiano ai piedi della montagna, alle curve di livello in cui riemerge l’acqua accumulata all’interno delle viscere del nostro rilievo costituito dal punto di vista mineralogico da carbonato di calcio.

Il Matese altresì è un blocco calcareo morfologicamente unitario, un troncone dell’Appennino non preceduto da una corona collinare pre-appenninica, per intendersi, che si staglia, essendo emerso con veemenza in una lontana era geologica della crosta terrestre) sulla pianura sopra la quale poggia; lo rivela il suo fronte assai ripido e ciò fa sì che si passi in breve spazio da condizioni climatiche e, dunque, vegetazionali tipiche di zone pianeggianti a situazioni ambientali dovute anche al differente gradiente termico caratteristiche delle fasce altitudinali propriamente montane.

A tale variabilità accentuata nella geografia dei luoghi corrisponde una variabilità degli ecosistemi presenti e quindi, in definitiva, una ricchezza di biodiversità che è il suo carattere distintivo. È una peculiarità che rende il Parco Nazionale del Matese molto differente da quello d’Abruzzo per così dire prima maniera; ci sono circa 300 metri che li separano, il primo che ha il suo punto più basso a m. 500 e il più alto a m. 2050, il secondo che ha il territorio oscillante tra gli 800 e i 220 metri. C’è una cosa che li unisce, comunque, ed è il tratturo Pescasseroli-Candela il quale parte proprio dal capoluogo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e lambisce l’estremità inferiore del complesso montuoso matesino per tutta la sua lunghezza.

La pista tratturale funge da corridoio naturalistico che ricongiunge gli ambienti attraversati. Ne consegue che non è un problema, quello di estendere i confini del Parco fino alla piana sottostante al monte, di voler includere, chissà per quale mania di grandeur, nelle sue terminazioni una superficie più ampia possibile, bensì è una questione di salvaguardia del sistema ecologico connotato dall’interazione tra le componenti naturali che stanno a monte e quelle a valle. Come fosse una specie di slogan occorre che la Perimetrazione sia tale che venga salvata la natura da cima, le vette, a fondo, il piano.

Seppure è evidente che sia un obiettivo da raggiungere a scala globale quello del 30% di suolo da destinare ad Area Protetta, è importante innanzitutto, il conseguimento dell’integrità ecosistemica; sinteticamente occorre puntare alla quantità, ma soprattutto alla qualità. Appare illuminante a questo proposito il parallelo con i Sanniti i quali si preoccupavano per procacciarsi da vivere, invece di sfruttare a pieno le risorse delle lande che abitavano, di occupare per depredarle le vicine città della Magnagrecia; al posto di aspirare al possesso dei beni altrui sarebbe meglio mettere a valore casa propria e cosa analoga vale per i Parchi.

Allargare tanto per allargare i termini del Parco è meno significativo che l’impegnarsi per custodire al meglio il patrimonio floristico e faunistico concentrandosi su un sito meno vasto. Bisogna pure ammettere che se fosse per gli Habitat che il programma Natura 2000 richiede di proteggere a pena di sanzioni da parte dell’Unione Europea i quali sono gli ambiti di eccezionale valore per l’ecologia, il Parco non avrebbe bisogno di superare, territorialmente, la demarcazione del Sito di Importanza Comunitaria che qui coincide con la porzione medio-montana e montagna del massiccio.

Non ci sarebbe necessità di sopravanzarne il margine che ne fissa la superficie. La linea di delimitazione del SIC definisce l’areale che comprende tanto gli Habitat quanto la buffer zone ovvero la frangia al loro contorno che fa da scudo contro le azioni di manomissione di questi “santuari” della natura, non contano i metri quadri o ettari che occupano, l’essere puntuali o lineari o areali. Qualsiasi intervento proposto dentro il Sito dovrà essere sottoposto a Valutazione d’Incidenza per verificare l’assenza di impatti negativi che potrebbe produrre sugli Habitat inseriti all’interno di tale SIC.

Vi sono poi gli effetti cosiddetti indiretti dannosi per gli stessi Habitat che potrebbero essere causati da attività antropiche poste all’esterno del SIC quali, prendi la zona industriale di Campochiaro, le emissioni gassose e le polveri che le correnti d’aria potrebbero trasportare in alto e successivamente ricadere al suolo in corrispondenza degli Habitat e allora ben venga, è ben accetta, la creazione di una cintura che circonda il Parco, nella normativa in vigore è denominata Area Contigua, una sorta di cordone di sicurezza per tutelare l’Area Protetta.

S. Giuliano del S. ha fatto richiesta di poter aderire alla presente iniziativa protezionista, ma in verità, trovandosi troppo distante dal Matese, è sul lato opposto del fondovalle, non ha i requisiti neanche per rientrare nell’Area Contigua. Le terminazioni di un Parco non sono mai dei segni netti, esse seguono l’andamento delle componenti della struttura ecosistemica: un corso d’acqua, ad esempio il Quirino, è un canale di diffusione di specie animale e, per via dei semi che trasporta, di essere vegetali, un elemento di connessione tra gli ambienti al di là e al di qua del Parco. Il reticolo idrografico è una specie di ramificazione dell’Area Protetta così come lo sono le distese boschive che un tratto di penna non può dividere, metti il raro bosco planiziale di S. Maria del M. che è la prosecuzione della macchia boscosa sulla pendice del Matese. La Natura oggi piace considerarla come un sistema a rete e non una sommatoria, le riserve e le oasi, di episodi circoscritti.

(Foto: M. Martusciello – Veduta dal Monte Mutria)

di Francesco Manfredi Selvaggi

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