• 14 Febbraio 2023

Monteroduni e il suo castello

Una storia infinita!

di Franco Valente – fb

14 Febbraio 2023

Fino alla fine del secolo scorso il Castello di Monteroduni era appartenuto alla famiglia Pignatelli della Leonessa che in esso ha avuto la propria residenza. 
Grazie all’intuizione di un gruppo di amministratori e di cittadini illuminati, guidati dal sindaco Domenico De Giacomo, il Comune di Monteroduni acquistò il castello per restaurarlo e sistemare al suo interno una serie di funzioni finalizzate allo sviluppo culturale e turistico del paese. 
L’acquisto del Castello fu impresa non facile per la quantità di implicazioni sulla proprietà. Per Domenico Di Giacomo e i suoi amministratori l’obiettivo assunse il significato di una sfida che alla fine si risolse anche per la disponibilità del principe Giovanni Pignatelli che sigillò l’accordo donando al Comune, dopo la vendita, l’archivio di famiglia che oggi è a disposizione degli studiosi con tutte le difficoltà di accesso.
Agli inizi degli anni Novanta ho avuto il privilegio di curare il restauro generale dopo aver provveduto recupero dei faldoni per il momentaneo trasferimento e l’inventario all’Archivio di Stato di Campobasso.
Negli anni successivi non solo vi è stato sistemato l’arredo antico superstite e un’esposizione di strumenti di lavoro della tradizione popolare, ma ha pure continuato ad essere la sede del tradizionale Festival Jazz dedicato a Eddie Lang, al secolo Salvatore Massaro, originario di Monteroduni.

In assenza di notizie esplicite, la circostanza che la comunità di Monteroduni invochi S. Michele Arcangelo come suo protettore ci aiuta a comprendere che le origini del suo insediamento debbano essere ricondotte all’epoca longobarda, quando il principe degli Angeli veniva considerato come il protettore delle postazioni fortificate di nuovo o antico impianto.
Tutta la valle del Volturno, da Venafro ad Isernia, alle terre di S. Vincenzo, sistematicamente vede coincidere il culto per S. Michele (o più semplicemente per S. Angelo) con le parti apicali dei colli dove si impiantano rocche e castelli longobardi a difesa del territorio o dei primi nuclei urbani.
Certamente anche il Monte di Roduni, forse dal nome di qualche longobardo che l’ebbe in possesso, fu abitato già prima del Mille ed il suo nucleo originario era di dimensioni ridottissime rispetto a quelle attuali. Si ha una prima notizia della fortificazione di Monteroduni all’epoca di Enrico VI quando Bertoldo di Kunsberg, alla testa di soldati tedeschi e fiorentini, assalì nel 1193 il castello che era tenuto dai fedeli di Tancredi e dove, come racconta il Ciarlanti, “mentre accomodar faceva le sue machine presso le mura, li fu da quei di dentro scagliata una pietra con un manganella, ch’era machina per tirar sassi, per la cui percossa ne venne miseramente a morire”. La notizia, che ci proviene dalla cronaca di Riccardo di S. Germano, se non ci dice nulla sulla struttura urbana di Monteroduni, ci è utile per comprendere come fosse importante il sito nell’ambito dell’organizzazione castellana della fascia mediana del Matese.
L’attuale castello certamente non ha nulla a che vedere con l’originaria fortificazione longobarda, anche se con assoluta sicurezza ne occupa una parte fondamentale. Dall’esame dell’attuale impianto murario, infatti, si può ritenere che il nucleo più antico della rocca di Monteroduni corrisponda a quel complesso di costruzioni che sovrastano la cosiddetta porta falsa dove ancora si ritrovano i segni di una torre dall’impianto quadrangolare sicuramente di epoca anteriore a quella angioina.
Da tale torre, che forse costituiva l’elemento difensivo più qualificante del primo nucleo urbano (poco più di un agglomerato di case di legno), si sviluppava una cinta muraria di una certa consistenza e che oggi potrebbe corrispondere all’attuale murazione del giardino del Castello. Tale struttura difensiva, che doveva inizialmente essere molto semplice, in epoca angioina, intorno al XIV secolo, venne dotata di tutte quelle torrette a scarpa che, prima della loro riduzione in altezza, costituivano il sistema puntuale di difesa radente della cinta muraria. Con l’introduzione delle armi da fuoco tutta l’originaria cittadella assunse un aspetto diverso anche per il fatto che il nucleo urbano si era notevolmente esteso fuori dell’originario limite e le torrette angioine furono spianate per essere adeguate a formare piccoli baluardi adatti ad ospitare macchine detonanti.
Queste trasformazioni avvennero, presumibilmente, dopo il 1503, quando il feudo di Monteroduni passò a Ludovico d’Afflitto, i cui discendenti lo tennero fino al 1668. 
Non si hanno notizie epigrafiche, ma dai caratteri dell’architettura e dell’impianto generale del castello, possiamo ragionevolmente ritenere che con i d’Afflitto l’edificio assunse sostanzialmente la forma attuale, anche se di altezza ridotta rispetto a quella che oggi si vede.
Cessata definitivamente la sua funzione difensiva, furono i Pignatelli della Leonessa, ed in particolare il principe Giovanni, a cominciarne una sostanziale trasformazione per adattarlo esclusivamente a residenza. 
L’archivio domestico dei Pignatelli è particolarmente utile per comprendere le condizioni disastrose in cui i Pignatelli trovarono l’edificio e quali opere siano state effettuate per restaurarlo ed adattarlo alle esigenze dell’epoca. Ai primi del XVIII secolo risale il rifacimento del grande salone con il soffitto ligneo formato da 190 tavole di querciolo dipinte a tempera. Oggi il restauro ci consente di vederlo quasi integralmente e di cogliere di esso i caratteri decorativi e celebrativi.

Trasformato più volte nel tempo, il castello assunse la forma attuale intorno ai primi di questo secolo quando, seguendo la moda delle libere ricostruzioni medioevali, furono realizzate le quinte merlate del coronamento apicale. Durante i lavori di restauro si sono evidenziate le fasi principali delle trasformazioni e si sono adottate conseguentemente tutte le precauzioni per garantire non solo un consolidamento statico di tutto il complesso, ma anche una lettura degli elementi tipologici recuperati.
Di particolare pregio i portali in breccia rossa del Matese la cui esecuzione può essere ricondotta al XVIII secolo. Non è da escludere che il documentato trasferimento da Roma a Monteroduni dei fratelli Geremia e Domenico Ferretti, abili marmorari ai quali appartiene il battistero interno della locale chiesa di S. Michele, sia stato determinato proprio dalla commissione di tali portali da parte dei Pignatelli. Più antico, sicuramente del XVI secolo e quindi dell’epoca dei d’Afflitto, è il notevole scalone che collega la piccola corte interna al piano nobile. Del 1752 è la grande tavola lapidea con la pandetta dei pedaggi che si pagavano per passare la Lorda, murata dal 1890 all’ingresso principale del giardino, subito dopo il portale sormontato dallo stemma settecentesco dei Pignatelli.

di Franco Valente – fb

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