• 21 Febbraio 2023

Dalla boscaglia al bosco

Ognuna delle multiformi configurazioni degli ambienti boschivi presenta caratteri differenti

di Francesco Manfredi Selvaggi

21 Febbraio 2023

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Le multiformi configurazioni degli ambienti boschivi: foreste, boschi, boschetti, boscaglia, riforestazioni. Ognuna di tali forme di superfici boscate presenta caratteri differenti, da piantumazione fitta, rada, ad alto fusto, ceduo, in formazione, reinselvatichito. Anche i colori sono differenti da quelli degli alberi sempreverdi a quelli delle piante soggette a cadute delle foglie, spoglie in autunno.

I Borboni se non hanno lasciato opere pubbliche (salvo il ponte dei “25 archi” sul Volturno, davvero strategico) e neanche monumenti (la statua a Ferdinando II nel Borgo Murattiano a Campobasso pur prevista non venne realizzata e non per mancanza di tempo) nella nostra regione, un merito lo hanno avuto, quello di salvaguardare il bosco di Montedimezzo, oggi Riserva Unesco. Non era una cosa scontata perché stavamo in un’epoca in cui i privati procedevano alla deforestazione a tutto spiano in ogni angolo del Molise per quella fame di terra dovuta alla crescita impetuosa della popolazione, fenomeno che ha riguardato gran parte dell’Europa tra ‘700 e ‘800; c’è un passo di Vincenzo Cuoco nel suo Viaggio in Molise dove egli ammonisce a non dissodare i terreni per il rischio di innesco di movimenti franosi che nel paese in cui nacque, Civitacampomarano, si sono regolarmente registrati.

In verità il monarca borbonico non fu mosso dalla volontà di salvaguardare il territorio, di fare qualcosa a beneficio della collettività, bensì da un interesse personale, quello di poter cacciare, la grande passione dei re. Montedimezzo, dunque, divenne una riserva di caccia reale insieme a Torcino che sta a confine tra noi e la Campania nella valle del Volturno, dove i regnanti avevano il diritto esclusivo di esercitare l’attività venatoria. L’immancabile casino di caccia è costituito dal soppresso, e incamerato dallo Stato, monastero benedettino, un presidio antropico fondamentale in un ambiente ostile per l’uomo qual’ è questa immensa foresta in cui solo i monaci, mossi dal desiderio di allontanarsi dal mondo, erano disposti a stabilirsi.

Bisogna pure dire che le superfici forestali non sono quelle predilette dai cacciatori per la monospecificità delle specie arboree che le contraddistinguono, preferendo al posto di boschi puri, con essenze coetanee, i luoghi dove vi è una compresenza di biotopi; la loro varietà è garanzia di una varietà di animali selvatici ognuno dei quali ha proprie nicchie ecologiche. In definitiva, sono migliori dal punto di vista faunistico le situazioni ambientali caratterizzate da una diversità di habitat, la boscaglia intercalata con alberi di alto fusto, distese boscose fitte frammiste a quelle rade.

È assai apprezzata dai seguaci di Diana la presenza di radure, spazi liberi da piante che permettono di avere una visuale libera in modo da poter avvistare prontamente la selvaggina. In sintesi, appezzamenti aperti insieme a quelli chiusi. Purtroppo ormai, il rammarico non è per la caccia bensì per il paesaggio, vanno sparendo, richiudendosi i boschi, quelle “lacune” all’interno degli ambiti boschivi denominate cese, parola che viene etimologicamente dal verbo recidere, perché erano frutto di tagli per destinare la particella a coltivazioni agrarie.

I vuoti nelle aree a copertura boschiva costituivano una caratteristica forte di tanti contesti paesaggistici molisani. Vi sono tantissimi toponimi che rimandano a tale pratica agricola, solo a S. Massimo Cesa Martello, Cesa Salomone, ecc.  Oggi le cese vanno sparendo per il processo in corso di reinselvatichimento dei campi in abbandono, fenomeno grave a sua volta conseguenza del calo di residenti qui di 1/3 dal dopoguerra ad oggi.

La faccenda delle cese è, comunque, una faccenda particolare, ma d’altro canto in relazione al patrimonio boschivo non si possono avere che sguardi parziali tanto ampie sono le questioni che lo riguardano così come tanto ampia è l’estensione delle aree boschive nel Molise. Un’altra tematica, anch’essa non paradigmatica in quanto coinvolgente una quota tutto sommato ridotta di soprassuolo forestale oggigiorno è quella dei rimboschimenti. Gli svariati Boschi dell’Impero, uno sta tra Macchiagodena e S. Angelo in Grotte, sono stati impiantati in “era” fascista.

Devono aver pesato nella decisione di procedere alla creazione di tali boschi anche i rimandi culturali che ad essi si associano. Tra questi vi è il primato della forza con gli esemplari ad alto fusto che si ergono diritti e, in aggiunta, disposti in maniera ordinata similmente ad un reggimento di soldatini indomiti. Vi è, poi, il mito della natura primigenia nonostante siano entità boscate artificiali, diventando un fattore identitario della nazione sul modello dell’alleata Germania con la quale nel periodo del regime nazista si condivide gran parte dell’apparato ideologico e nella quale, prendi la Foresta Nera, la foresta assume addirittura un valore sacrale.

In tali autentici sacrari non è ammessa la presenza umana, a controllare c’è la Milizia Forestale. La monumentalità si impone sia nelle architetture sia nelle componenti naturali.  Per costruire l’ “uomo nuovo” mussoliniano occorrono simboli forti capaci di conferire identità. In seguito si comincia a guardare al bosco in modo più prosaico, si continua a piantumare, ma adesso per prevenire il dissesto idrogeologico. Non si disbosca più come all’epoca di Cuoco non perché si nutra un sentimento di pietas verso gli alberi, piuttosto per evitare l’innesco di frane.

Si sono rimboschiti i versanti sovrastanti l’invaso del Liscione per impedire lo scivolamento di particelle terrose a valle le quali depositandosi nel fondo del bacino idrico avrebbero provocato l’innalzamento del lago con il rischio di tracimazione delle acque dalla diga di sbarramento, una pineta artificiale per un bacino artificiale. Sempre per eliminare il pericolo di scoscendimenti, ora colate di neve, cioè slavine e non colate di fango, a Campitello vi è una pinetina in località, appunto, La Pinetina.

C’è da vedere, poi, un aspetto abbastanza contraddittorio riguardante il materiale legnoso il quale è quello che se da un lato è diminuito il taglio dei boschi essendo venuta a cadere la domanda di legno da ardere, dall’altro lato stanno facendo la loro apparizione anche qui da noi le casette in legno. I cottage sono di moda oltre che perché evocano le dimore rustiche alpine pure per la carica semantica che si porta il legno quale materia prima ecologica. Alla scomparsa nell’edilizia corrente dell’uso del legname per le travi sostituito prima dai travetti in ferro e poi dagli impalcati in calcestruzzo fa da contrappunto la comparsa di abitazioni completamente in legno. Tale tipologia costruttiva nel nostro territorio è una novità assoluta, nella tradizione edificatoria nostrana non ve ne sono esempi se si esclude, è però posticcio, il graticciato del Casino di Don Stefano, Jadopi, a Isernia che ricorda la tecnica costruttiva delle dimore di campagna mitteleuropee.

(Foto: F. Morgillo) 

di Francesco Manfredi Selvaggi

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