Il post-teismo e l’idea di Dio
Entrare nel “post-teismo” e definirlo non è cosa semplice
di Umberto Berardo
3 Marzo 2023
Entrare nel “post-teismo” e definirlo non è cosa semplice.
Ha una matrice prevalentemente latino-americana che sviluppa una speculazione sul concetto di Dio e si anima con la pubblicazione di un volume di autori vari dal titolo “Oltre le religioni, una nuova epoca per la spiritualità umana” pubblicato da Gabrielli nel 2016 e seguito poi da “Il cosmo come rivelazione”, “Una spiritualità oltre il mito” e “Oltre Dio, in ascolto del mistero senza nome”.
In Italia le tesi espresse sono state portate all’attenzione dell’opinione pubblica grazie a nuove pubblicazioni e al convegno “Oltre le religioni” tenuto il 2 aprile 2022 su piattaforma Zoom Webinar e organizzato dalla casa editrice Gabrielli in collaborazione con il settimanale Adista.
Con attenta curiosità culturale ho cercato di entrare nei temi e nelle argomentazioni di tali pubblicazioni e confesso apertamente che ancora oggi non so se definire tale movimento di pensiero una corrente teologica, anti teologica o ateologica.
Già dalla metà del XX secolo molti protestanti avevano ripreso la prospettiva transeista di Friedrich Nietzsche che affermava la morte del Dio teologico come costruzione mentale elaborata dalle religioni per ricollocare l’essere umano con libertà nel cosmo infinito salvandolo dal male senza il soccorso di alcuna divinità avendo come unico fondamento etico la coscienza.
Nel 1999 il vescovo statunitense episcopaliano John Shelby Spong poco prima di andare in pensione formulò dodici tesi con cui si negava non solo ogni definizione di natura teistica legata al cristianesimo e alla tradizione sostenendo che occorreva giungere a una nuova concettualizzazione di Dio e asserendo la necessità di una radicale modifica della dottrina cristiana.
Su tale linea di pensiero si pone il post-teismo precisando che occorre superare l’immagine di una divinità nata per spiegare il mondo, organizzarne l’ordine e la convivenza tra gli esseri umani indirizzata al bene per giungere quindi a una teologia più coerente con l’indagine scientifica.
Tale movimento di ricerca, alquanto composito nelle idee, vede la presenza di studiosi che frequentano comunità di base o sono vicini a una sensibilità new age, ma soprattutto di intellettuali e sacerdoti anche cattolici.
Fra essi cito la giornalista Claudia Fanti e i teologi José María Vigil, José Arregi, Carmen Magallón, Mary Judith Ress, Vito Mancuso, Bruno Mori, Paolo Gamberini, Gilberto Squizzato e Santiago Villamayor.
In buona sostanza siamo davanti a una sfida culturale indirizzata ad abbandonare l’idea di un Dio con le stesse qualità di una persona umana spinte al massimo grado e ogni forma di dualismo tra il Cielo e la Terra, il naturale e il sovrannaturale, il clero e i laici o il bene e il male nella convinzione che tali nozioni siano costruzioni mentali con caratteristiche di contingenza e di storicità che non possono essere assolutizzate.
Poiché non saremmo in grado di definire il mistero, al di là di un Essere immortale, creatore e personale occorrerebbe per i post teisti analizzare la vita in modo nuovo secondo le indicazioni della fisica quantistica che pone a fondamento di ogni cosa l’energia che continuerebbe a vivere nel cosmo anche dopo la morte di ogni essere.
È la tesi definita panenteista da Vito Mancuso nel volume “Dio e il suo destino”, edito da Garzanti, nel quale l’autore non lo identifica nel mondo alla maniera di Spinoza, ma lo riconosce appunto in una forza animatrice come l’energia diffusa nell’intero universo.
Sarebbe così in tutto come essere e non come ente superiore separato.
Diversa l’idea di Dio nella teologia della liberazione che non si pone il problema della definizione della sua essenza, ma invita a cercare la strada della sua presenza nell’essere umano e soprattutto nel povero secondo i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Il post-teismo, dimenticando che i lemmi usati nel linguaggio sono concreti e astratti, riferiti i primi a ciò che constatiamo con i sensi e i secondi a idee, sensazioni, concetti che non sono tangibili ma non certo inesistenti, come ad esempio il diritto, la bellezza, l’amore, sostiene che ogni parola, costruita dai nostri neuroni, indica un referente reale mentre il significato della parola “Dio” esisterebbe solo nella nostra mente e non sarebbe riferibile a nulla di definito.
Un tale presupposto annullerebbe evidentemente anche la pratica della preghiera essendo noi già in un tutto dove si può operare in modo attivo per raggiungere la salvezza facendo il bene e praticando l’amore.
Anche la visione teocentrica o antropocentrica dell’universo andrebbe superata con un nuovo cosmo centrismo con il quale si dovrebbe raggiungere il rispetto di ogni essere vivente e quindi l’armonia in un processo di auto-organizzazione a partire dalla materia o energia primordiale dinamica e creativa.
Le tradizioni religiose sarebbero creazioni sociali, culturali e storiche da decostruire nei fondamenti epistemologici come nelle costruzioni simboliche appartenenti alle dottrine delle diverse religioni.
Alcuni esponenti del post-teismo ripropongono le tesi del teologo evangelico tedesco Rudolf Bultmann il quale nella sua opera “Nuovo Testamento e Mitologia” del 1941 sosteneva che la Bibbia non sarebbe il fondamento per la comprensione della realtà non essendo un libro sacro ma un insieme di miti e racconti con una funzione sapienziale, spirituale e socio-politica.
Si tratta a mio avviso di tesi che non chiedono solo una riflessione sull’idea di Dio liberata da tante equivoche costruzioni dottrinali né una nuova ontologia capace di rendere più razionale e matura la ricerca della conoscenza del fondamento della realtà, ma sfociano in forme di agnosticismo assolutamente lontane dalla Sacra Scrittura e dal Kerigma.
Tra l’altro voglio sottolineare che, al di là delle riflessioni sul piano per così dire destruens, non si è fin qui elaborata una convincente pars costruens capace, almeno all’interno del cristianesimo, di sostituire quella che si sostiene sia un’immagine inadeguata di Dio.
Anche in Italia la realtà del post-teismo, che comunque rimane ancora un movimento decisamente di nicchia, ha aperto un dibattito largo e articolato che appare di estremo interesse soprattutto nelle posizioni di Enrico Peyretti, filosofo, teologo e grande punto di riferimento del Movimento Nonviolento come del Movimento Internazionale di Riconciliazione.
Egli sostiene che certamente esiste la necessità di superare le tante definizioni metafisiche di Dio talora fuori della Scrittura, ma avere fede in Lui significa in ogni caso “sentire che un Vivente più vivo di noi ci ama, è Vita che dà vita, che siamo vivificati e amati, che un Bene Vivente precede e accompagna la nostra vita, il nostro bisogno e il bel desiderio di vivere.”
“Se Dio è solo una energia, una forza, argomenta ancora Peyretti, io sono più di lui, perché ho coscienza di persona. Se Dio ha coscienza, se è persona, se è un Tu degno di sguardo e di comunicazione, se è lui che viene e mi sollecita e non io che ipotizzo lui, allora è Dio, è vita che salva le vite. Gesù di Nazareth lo ha “spiegato” così. Altrimenti la morte è più forte di lui”.
Per tale ragione allora, se ricusassimo il concetto di Dio come persona, rinunceremmo alla stessa idea di Dio che, porgendoci vita e coscienza, ci dà la speranza che esse persistano anche dopo la morte lasciandoci la percezione di sapere che continueremo ad esserci.
Raniero La Valle, giornalista, politico e scrittore, nel suo volume “No, non è la fine” (Edizioni Dehoniane 2021) è ancora più radicale nella riflessione sulle tesi del post-teismo.
Secondo lui tale movimento non mette in discussione alcune esplicitazioni dottrinarie dell’idea di Dio, ma la sua stessa esistenza trasmessa dalla Bibbia e la nostra relazione con Lui ridimensionando a miti la creazione, il peccato, il messia, la redenzione.
La sua conclusione è la seguente: “Alla domanda sull’identità di Dio la risposta è quella di Gesù alla Samaritana, Dio non va cercato su questo monte o su quell’altro, ma in Spirito e verità; la questione invece è quella del rapporto umano con lui, è la fede che lo coinvolge nella storia, è della fede che si può identificare un prima e un dopo («il Figlio dell’uomo quando verrà troverà la fede sulla Terra?»); la domanda è sul senso e le implicazioni della fede di quanti credono in lui, è questo che appicca il fuoco alla storia”.
È questo Dio che secondo Raniero La Valle riuscirà a trasformare gli uomini da nemici in fratelli e a salvare il mondo liberandolo dal dominio perverso dell’economia e della finanza.
Chi ha fede nel Dio testimoniato da Gesù di Nazareth fa fatica ad aprirsi alle ragioni del post-teismo perché esse minano nel fondamento la Scrittura, la relazione con lo stesso Dio nella preghiera, la vita comunitaria spiritualmente vivificata, la liturgia e la stessa storicizzazione di ciò in cui si crede.
La teologa Lilia Sebastiani puntualizza al riguardo che il rischio che si corre è duplice e cioè la creazione teologica di un Dio che non esiste, ma anche che ci manchi proprio la fede in quel Dio che esiste ed è presenza vivente.
Negare un Dio persona significa a mio avviso rifiutare la sua incarnazione nella storia in Gesù Cristo come atto di amore per gli esseri umani e leggere il Vangelo unicamente in termini filosofici.
Il coinvolgimento di Dio nel mondo ha per me un’importanza fondamentale nel generare la fede perché iscrive nella coscienza il percorso della nostra vita verso il bene.
Su tali temi credo non possa esserci assenza di posizioni precise da parte delle chiese ufficiali per evitare che elaborazioni teologiche, non solo lontane dalla tradizione ecclesiale ma proprio dal messaggio evangelico, generino perplessità e confusione.
Penso che il Dio al quale non si possa rinunciare, ma sul quale nemmeno è accettabile il silenzio è quello che ci viene dal kèrygma con l’annuncio dell’amore, della libertà e della fratellanza tra gli esseri umani così chiaramente sottolineati nel Discorso della Montagna o nel Magnificat.
Come ci ricorda il teologo e biblista Alberto Maggi, l’unico che ha rivelato Dio è Gesù, il suo Figlio.
A questa verità del Vangelo che testimonia un Dio che guarda al bene dell’umanità occorre che i credenti guardino rispondendo con uno stile di vita conseguente a una chiamata di amore ed evitando di manipolare il messaggio evangelico a fini dottrinali dentro le chiese o di pura speculazione filosofica a livello culturale.
Ciò che in realtà occorre mettere al centro della riflessione è l’allontanamento della nostra epoca dal divino che viene rimosso non solo dall’indagine riflessiva, ma perfino dalla vita sempre più orientata all’individualismo, all’arricchimento, al prestigio e al potere.
È duro constatare che essi rappresentino ormai gli obiettivi prevalenti di un’umanità incapace di costruire relazioni positive di amore e di rispetto della dignità di tutti.
La fede per me è questo: innamorarsi del messaggio evangelico e viverlo con la più grande coerenza possibile.
di Umberto Berardo