Nel 1812 il primo piano urbanistico per il Capoluogo
E se fosse stato il progetto di Van Rescant e non di Musenga a vincere il concorso per l’ampliamento di Campobasso?
di Francesco Manfredi-Selvaggi
12 Aprile 2023
Due concezioni urbanistiche completamente diverse quelle dell’architetto olandese e dell’architetto campobassano, la prima di matrice barocco la seconda impregnata dell’illuminismo. Se nel 1812 avesse prevalso il progettista forestiero oggi avremmo una città completamente diversa e però la storia non la si fa con i «se».
La forma urbis campobassana è, in verità, un insieme di forme urbane. Ci limitiamo a vedere quelle del centro della città composto da 2 zone distinte, il centro storico e il centro murattiano. Sono zone morfologicamente assai differenti fra loro, il primo in collina, il secondo in pianura da cui ne discende, evidentemente, un diverso assetto urbanistico. Non è questa, però, la sola ragione, quella della morfologia del suolo, a determinare una distinta organizzazione urbana, c’è dell’altro. Il borgo voluto da Murat ha una pianta a scacchiera la quale di sicuro è il più elementare schema di distribuzione dei lotti edificabili e degli spazi pubblici, un disegno dell’insediamento umano che sembra privo di valenze semantiche, qualcosa di impossibile perché l’uomo necessita pure nella dimensione abitativa di riferimenti simbolici.
La planimetria a scacchi è un modello di organismo urbano utilizzato nelle età più varie, dall’antichità ai nostri giorni, dai castrum romani alle cittadine coloniali nordamericane agli aggregati fondati ex novo come il Nuovo Borgo di Campobasso fino a tanti piani di lottizzazione odierni. È solo un sito pianeggiante che consente tale disposizione dell’impianto urbanistico la quale, in effetti, permette una spesa realizzativa ridotta, tanto delle strade quanto delle case, quasi vi fosse un rapporto biunivoco tra terreno in piano e maglia insediativa a griglia, una scelta funzionalistica in fin dei conti (talvolta speculativa garantendo il massimo sfruttamento fondiario).
Non è, però, così e lo dimostra proprio la vicenda che ha portato il capoluogo di regione, all’epoca della neonata provincia di Molise, a dotarsi dello strumento di pianificazione per l’ampliamento dell’abitato. Il progetto antagonista a quello poi vincitore del concorso indetto a inizio ‘800 redatto da Vincent Van Rescant era impostato sulla creazione di 3 aste viarie convergenti in un fulcro al posto del reticolo viario ortogonale pensato da Bernardino Musenga, una duplicità di visioni sul futuro del nostro agglomerato, più di una soluzione architettonica per ampliare la città.
Non c’è niente, pertanto, di univocamente determinato. Neanche era così indispensabile la presenza nelle vicinanze del vecchio borgo di un appezzamento di terra piatto, scherzosamente non terra piatta, per impiantare un nuovo borgo ed è ancora la proposta del progettista olandese a provarlo con le sue direttrici stradali che non rispondono a nessun’altra regola se non a concorrere a formare il cosiddetto trianon per cui possono allungarsi in modo indefinito anche su un territorio ondulato e con esse l’ambito urbanizzato, mentre il grigliato delle percorrenze disegnato dall’architetto campobassano ha una sua validità fin quando il sedime viene a coincidere con il Piano, piano appunto, delle Campere, non può estendersi oltre.
In definitiva, per chiuderla qui per quanto riguarda questo confronto, risulta evidente che l’idea progettuale del Musenga è valida per l’aggiunta di un quartiere alla città preesistente, invece quella del Van Rescant, poco dettagliata invero tecnicamente, ha valore perché costituisce la matrice su cui impostare l’espansione cittadina successiva, fornendo le linee, gli assi del tridente viario, per lo sviluppo urbanistico del futuro, non si vuole dire, comunque, fino all’attualità. Se, dunque, non è la funzionalità esclusivamente a imporre quella specifica configurazione del Borgo che adesso, per cambiare, chiamiamo Gioacchino (il nome del generale napoleonico) e da presupporre che un contributo alla sua definizione formale lo abbia dato anche la congerie culturale del periodo.
La simmetria, la regolarità, le lunghe prospettive che si aprono lungo i suoi larghi corsi, l’ampiezza delle piazze ci stanno a dire che non siamo solamente in un nuovo borgo, bensì in un vero e proprio nuovo mondo. Si coglie una ricerca di razionalità la quale è, poi, lo “Spirito del secolo”, l’impronta illuminista pure nell’urbanistica, cosa che è all’opposto, siamo ricaduti nella comparazione, della concezione barocca che forma il piano del Van Rescant in cui i percorsi sono incentrati sul palazzo del potere e il barocco, infatti, si afferma nell’età dell’Assolutismo.
La luce pervade il borgo musenghiano la quale si contrappone al buio che connota le vie del nucleo antico il quale ha la sua origine nei, per l’appunto, “secoli bui” del medioevo. Anche a proposito della conformazione dell’aggregato più remoto, è venuto il momento di trattare questo tema, si potrebbero mettere in campo argomentazioni di tipo funzionalistico per via della stretta dipendenza qui della forma della città con la fisiografia ovvero la forma, adesso, del luogo. La perfetta aderenza del costruito al versante collinare su cui il centro medioevale è disposto potrebbe indurci ad una visione meramente deterministica, ad una lettura materialistica dell’agglomerazione formatasi nell’ “età di mezzo”.
Le sue strade strette e tortuose, lo scalettamento dei corpi di fabbrica ad assecondare il pendio e così via rappresentano un esempio di adattamento dell’uomo all’ambiente il quale è un atteggiamento che appartiene all’universo valoriale della comunità insediata, un fattore identitario. Per quanto riguarda il sentimento del rispetto della natura va precisato che esso va inteso esteso dalle cose animate, flora e fauna, alle cose inanimate, la geologia. Tale modo di sentire il rapporto con i fatti naturali è introiettato nella coscienza individuale collettiva.
Non si esaurisce l’interpretazione della forma del centro storico così come del borgo murattiano con la funzionalità, sono faccende di ordine spirituale più che materiale, per il primo il legame profondo con la terra, Terra, per il secondo una sorta di idolatria per la Ragione. È incluso inoltre nella sfera dell’immateriale il piacere estetico che nel quartiere ottocentesco è dato da una spazialità dilatata cui si associa una luminosità diffusa, prolungata nel corso della giornata, le quali ci trasmettono sensazioni simili a quelle che proviamo, per capirci, di fronte alle piazze “metafisiche” di De Chirico, in una parola il gusto per la grande scala viceversa nel nucleo dell’età feudale c’è l’apprezzamento estetico per la piccola scala, le emozioni sono prodotte dai continui, più o meno improvvisi, cambi di vedute, da un contesto ambientale caratterizzato dal chiaro-scuro, ecc. Esperienze contrapposte in distretti urbani così vicini e nello stesso tempo così lontani.
(Foto: Cartolina anni ’60-’70 della piazza del Borgo Murattiano)
di Francesco Manfredi-Selvaggi