L’idea ricorrente delle riforme costituzionali
La prima riforma finora approvata è stata quella del Titolo 5 della Parte Seconda
di Umberto Berardo
22 Maggio 2023
Dall’entrata in vigore della Costituzione Italiana la prima riforma finora approvata è stata quella del Titolo 5 della Parte Seconda con la legge costituzionale n. 3 del 2001 che di fatto ha dato piena autonomia statutaria alle regioni e dunque nella sostanza ha iniziato la trasformazione della forma dello Stato italiano.
Si è inteso allora definire per la Repubblica una nuova architettura orientata alla pari dignità istituzionale tra Stato, Regioni ed Enti Locali.
Dopo tale indirizzo nella direzione di un’idea federalista sono sorti conflitti tra revanches centraliste e spinte verso la devoluzione locale delle competenze legislative e amministrative.
La Lega sta cavalcando tale legge per giungere alla cosiddetta autonomia differenziata con un rischio davvero serio di differenziazione dei diritti e delle prestazioni a seconda delle regioni in cui si vive.
Nel 2016 la riforma costituzionale Renzi-Boschi, bocciata nel referendum confermativo, prevedeva il superamento del bicameralismo, ma anche alcune modifiche nei meccanismi istituzionali che dalla maggioranza dei cittadini furono giudicate negativamente per l’assetto democratico del Paese.
Nella campagna per le elezioni politiche dell’autunno 2022 la Destra ha avanzato l’idea di una riforma dello Stato in senso presidenzialista; quindi, dopo aver ottenuto il governo del Paese, Giorgia Meloni ha convocato il 9 maggio 2023 le forze dell’opposizione per un confronto su un possibile percorso condiviso su riforme per le quali tuttavia il Presidente del Consiglio dei Ministri non ha avanzato finora se non ipotesi vaghe sulle quali sono insorte subito difficoltà per possibili convergenze.
Mi pare si debba intanto sottolineare una palese contraddizione in un governo che vuole rafforzare i poteri dell’Esecutivo e allo stesso tempo avanza il progetto di un’autonomia regionale differenziata molto spinta.
Di fronte alla confusione determinata dagli evidenti contrasti interni alla maggioranza soprattutto tra Lega e Fratelli d’Italia il confronto con l’opposizione non poteva che essere puramente interlocutorio.
Intanto si registra l’apertura di Azione e Italia Viva sulla possibile elezione diretta del Presidente del Consiglio.
In generale le altre forze di opposizione si dicono contrarie a ogni forma di presidenzialismo, ma anche alla stessa elezione diretta del capo del governo che porterebbe tra l’altro a possibili conflitti determinati da un premier eletto direttamente dal popolo e quindi con più legittimazione del Presidente della Repubblica votato invece dal Parlamento e dai delegati regionali.
Durante i colloqui è emersa in parte delle opposizioni una qualche disponibilità a rafforzare la stabilità dei governi attraverso la creazione di una forma di cancellierato alla tedesca che possa prevedere la sfiducia costruttiva e la nomina e revoca dei ministri, ma mantenendo ferma la centralità del Parlamento chiaramente prevista nella Costituzione come garanzia massima della rappresentanza e della fiducia all’esecutivo; si esclude pertanto ogni forma di elezione diretta del premier lasciando intatti i poteri del Capo dello Stato.
La Meloni afferma che si faranno in ogni caso riforme istituzionali e regionalismo differenziato insieme sostenendo di avere in tale direzione il mandato degli elettori.
Dimentica al riguardo che la Costituzione non appartiene alla percentuale ora davvero ridotta di votanti che si recano alle urne, ma a tutti gli italiani che certo non saranno disponibili a colpi di mano che mettano in pericolo il sistema democratico come stava accadendo nel 2016.
Al di là di qualunque forma di commissione, dev’essere il Parlamento il luogo ove discutere e decidere su questioni di così rilevante interesse pubblico.
In ogni caso vorrei solo sottolineare che prima di ogni riforma istituzionale noi abbiamo in Italia il bisogno impellente di eliminare l’involuzione democratica creata dalle diverse leggi elettorali compresa l’ultima che in pratica hanno tolto ai cittadini un reale potere decisionale con un voto che è diventato una finzione di scelta, fatta quest’ultima in realtà dalle segreterie dei partiti con le liste bloccate.
Rafforziamo allora la democrazia partecipata dando ai cittadini un reale potere decisionale con una legge elettorale decente, eliminando l’abuso nella decretazione e incentivando l’elaborazione delle leggi di iniziativa popolare.
Sicuramente in tal modo si ridurrebbe il pesante astensionismo registrato nelle diverse tornate elettorali.
Il governo ha attualmente una maggioranza sicura; dunque non mi pare che le riforme istituzionali per rafforzarne la stabilità siano la priorità del Paese.
Ci si occupi piuttosto con immediatezza della ricerca di una soluzione per i problemi esistenziali delle popolazioni colpite in questi giorni dalle alluvioni e dei cinque milioni di italiani in povertà assoluta e si finanzi adeguatamente la garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini quali quelli al lavoro, alla casa, alla sanità e all’istruzione.
Si valutino ancora attentamente e con prontezza le proposte che la Caritas Italiana ha presentato alla commissione Affari sociali del Senato per superare le carenze del decreto legge 48 del 2023 inserendo intanto tutti i poveri nell’assegno d’inclusione finché persiste lo stato di bisogno.
Nei giorni scorsi il Servizio Bilancio del Senato ha sottolineato come il progetto di legge targato Roberto Calderoli non solo introduce nuovi costi per lo Stato nella garanzia perequativa per i Livelli Essenziali di Prestazioni, ma crea squilibri, indebolimento dei servizi fondamentali nelle regioni meno ricche e disuguaglianze tra i cittadini.
Il documento relativo, titolato “Il costo dell’Autonomia differenziata”, è stato diffuso martedì scorso da Linkedin, poi rimosso dal Web per un’ora e mezza in quanto sarebbe finito in rete per errore e infine di nuovo reso pubblico con l’aggiunta del termine “bozza da verificare”.
Nonostante la toppa, l’onda d’urto di questa posizione del Senato sull’autonomia differenziata ha creato seri problemi soprattutto in alcuni membri del governo a partire ovviamente da Calderoli.
Si capisce che davvero non è peregrina l’ipotesi di chi vede nelle consultazioni della Meloni sulle riforme istituzionali una nuova via di uscita dalle difficoltà tra le forze che compongono l’esecutivo o l’ennesimo escamotage di distrazione di massa rispetto ai conflitti intercorsi nelle nomine per il controllo degli apparati di Stato, della RAI e delle aziende partecipate.
Ciò che sta avvenendo in particolare nel servizio pubblico d’informazione mi lascia pensare che il percorso della privatizzazione di prestazioni come quella sanitaria, postale, telefonica ed energetica proseguirà probabilmente in altri settori creando problemi seri soprattutto a quanti non possono permettersi i costi fissati da aziende private.
Su tali questioni sarebbe quanto mai opportuno che forze politiche veramente democratiche smettessero di operare in ordine sparso talora ammiccando al governo in cambio di briciole di potere e creassero le condizioni di un lavoro comune anzitutto per attuare i principi della Costituzione Italiana e per rendere la nostra Repubblica veramente democratica e garante dei diritti di tutti i cittadini.
I Costituenti hanno avuto grande attenzione a bilanciare i poteri delle diverse istituzioni dello Stato.
Il rischio che non possiamo assolutamente permetterci è quello di rompere un tale equilibrio e di dare poteri eccessivi a talune figure quali il Presidente della Repubblica o il Presidente del Consiglio dei Ministri perché in tal modo potremmo far nascere quella che viene definita la possibile dittatura della maggioranza.
Nessuno può e deve dimenticare che questa Repubblica è nata sulla centralità del Parlamento e soprattutto sulla sovranità popolare!
di Umberto Berardo