L’imbroglio della transizione
Nella transizione ci può stare di tutto, con il risultato che prevalgono i più forti e i più ricchi
di Rossano Pazzagli [da La Fonte, giugno 2023]
12 Giugno 2023
La transizione ecologica non potrà avvenire a modello invariato. Se non si cambia radicalmente il sistema economico dominante, essa sarà soltanto un’illusione per molti e un affare pochi, come già sta avvenendo. Sarebbe stato meglio parlare fin da subito di conversione, anziché di transizione. Invece ha prevalso l’idea di una transizione alla Cingolani, fatta propria dai governi Draghi e Meloni in una palese continuità di intenti: una visione sostanzialmente industrialista e tecnocratica, ispirata ai principi della crescita, della competizione e della finanza, cioè agli stessi fattori che sotto l’egida del capitalismo e del neoliberismo sono stati i principali responsabili della crisi ambientale.
La condizione dell’antropocene è sotto gli occhi di tutti. Siamo assediati dalle disuguaglianze e dai rifiuti, la natura si sta ribellando al dominio umano che si è affermato perlomeno dalla rivoluzione scientifica in poi, reso operante e sempre più esteso dalla rivoluzione industriale, aggravato dalla bomba demografica novecentesca e che adesso si va infrangendo contro il muro del cambiamento climatico e dell’esaurimento delle risorse naturali, alcune delle quale hanno bisogno di tempi geologici per ricostituirsi, mentre noi le abbiamo consumate in tempi storici, quindi molto molto più brevi. Abbiamo privilegiato lo sviluppo di settori produttivi e stili di vita a forte consumo energetico e trasformato quelli che producevano energia (come l’agricoltura) in settori energivori. Adesso si spacciano come novità le cosiddette fonti rinnovabili (il sole, il vento, l’acqua…), trascurando il fatto che nella storia sono sempre state utilizzate, almeno fino al saccheggio capitalistico della natura. Si predica bene e si razzola male, come dimostra l’assurda vicenda dei rigassificatori, che propongono una fonte fossile come il gas per accompagnare la transizione energetica. Perfino la riutilizzazione delle fonti energetiche rinnovabili sta seguendo la logica del profitto e della speculazione, divenendo così essa stessa uno strumento di ulteriore riduzione delle risorse fondamentali come il suolo, il paesaggio, il cibo, come testimonia lo sterminio dei campi ad opera di imprenditori senza scrupoli che con la connivenza delle istituzioni stanno ferendo a morte tante campagne, già sfinite e provate dalla marginalizzazione dell’agricoltura contadina che per secoli aveva alimentato le città e tenuto i piedi le colline d’Italia. Da ultimo è arrivato il cosiddetto agri-fotovoltaico, una tecnica che somiglia più a un bluff, alzando solo di qualche metro l’altezza delle distese di pannelli, aumentando l’impatto paesaggistico senza alcuna garanzia per le coltivazioni che dovrebbero crescervi sotto, in suolo senza luce e destinato a perdere fertilità.
Nella transizione ci può stare di tutto, con il risultato che prevalgono i più forti e i più ricchi. Ci fa sentire tutti responsabili, ma è un inganno, perché non siamo tutti egualmente responsabili; e bisogna cominciare a distinguere tra il cittadino e la multinazionale, tra la grande finanza e i bisogni quotidiani della gente comune. Non è bastato l’ossimoro (Maurizio Pallante dice l’imbroglio) dello sviluppo sostenibile. Ora ci stiamo impiccando a una transizione ecologica che in realtà è molto economica e poco ecologica, affidata alla tecnologia, senza toccare la filosofia della crescita e dello sviluppo, senza intaccare il modello capitalistico che sta guidando il pianeta verso la catastrofe. Intanto sarebbe bene partire dalle cause della crisi ambientale e ammettere che non siamo tutti colpevoli nella stessa misura, come suggerisce lo storico Marco Armiero nel recente libro L’era degli scarti (Einaudi), e che le soluzioni non possono essere solo tecnico-scientifiche, ma filosofiche, concernenti cioè la dimensione umanistica della storia, la presa d’atto che non si può continuare sulla via tracciata negli ultimi due secoli. Sarebbe necessario bloccare gli ingranaggi del sistema – resistere e sabotare, dice Armiero – anziché puntellarlo e alimentarlo con il business dell’economia green. Gli scarti accumulati dal sistema riguardano i rifiuti, ma anche le persone e i territori. E’ qui, dalle società e dai territori scartati (dai paesaggi scartati, per riprendere il titolo di un bel libro del territorialista Carmelo Nigrelli edito da Manifestolibri) che si può ripartire per proporre comportamenti e stili di vita alternativi a quelli metropolitani, finanziari e consumistici. La specie umana è al bivio, come ci dice un altro libro recente curato dalla grecista Tiziana Drago e dall’urbanista Enzo Scandurra per l’Officina dei saperi (Castelvecchi editore) dal titolo inequivocabile: Cambiamento o catastrofe? Uscire dalla logica distruttiva del capitalismo e dall’antropocentrismo, altrimenti la discarica globale di cui parla Armiero, si trasformerà nell’estinzione, non tanto del pianeta, ma dell’uomo. La questione non è ovviamente locale, ma mondiale. Però le strategie per un orizzonte diverso, più solidale e pulito, posso cominciare dai territori, “a partire da dove ci si trova”, anche da una piccola regione come il Molise. In questo mese di giugno si vota per rinnovare il governo regionale: riuscirà qualcuno dei candidati a tenere alto, in questo territorio scartato, l’obiettivo di sperimentare un nuovo modello sociale, economico e dunque ambientale?
di Rossano Pazzagli [da La Fonte, giugno 2023]