Molise, ultima chiamata
In vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale del Molise, pubblichiamo l’intervento del direttore de “Il Bene Comune” che per correttezza nei confronti di chi leggerà, dichiara che voterà per la lista “Alternativa progressista”, compresa nello schieramento di centrosinistra
di APS La Terra
15 Giugno 2023
Una regione de-futurizzata
Il 25 e 26 giugno nel piccolo, tenero, marginale e poco comunicativo Molise, si vota per il rinnovo del Consiglio regionale. Da più parti si sente dire che questa, per le ansie di rinnovamento della nostra regione e in definitiva per la coltivazione della sua idea di futuro, è l’ultima chiamata. Negli ultimi dieci anni, prima un centrosinistra pastrocchiato, rappresentato da Paolo di Laura Frattura e da un PD legato mani e piedi ai voleri e agli interessi di Patriciello, poi un centrodestra acefalo, appaltato rocambolescamente e senza costrutto a Donato Toma e alla sua boria inconcludente, fra il Trigno e il Fortore hanno radicato una crisi avvilente e funerea che si alimenta delle altre che imperversano in tutti gli ambiti della nostra vita associata (sanità, trasporti, disoccupazione, condizione giovanile, servizi sociali, agricoltura, spopolamento…), ma le racconta con una locuzione sintetica e perentoria: abbiamo smarrito il senso e la speranza per il futuro della nostra comunità.
Siamo assediati da un presente triste e degradato, che insieme alla popolazione ci sottrae lo Spirito Pubblico e la sua cultura civile; i nostri giovani si allontanano da una regione senile, della quale non hanno mai potuto essere cittadini sovrani, nell’accezione alta e nobile che don Milani ha insegnato ai suoi ragazzi a Barbiana, dichiarata e tutelata dalla Carta costituzionale.
Nel nostro Molise siamo oppressi da una mediocrità invereconda, che ormai s’è fatta profilo antropologico e sceglie accuratamente i più fedeli e disponibili fra i residenti superstiti, per occupare ogni ambito e per assegnare ogni compito, in uno spazio sociale rattrappito e conservatore, patetico territorio di caccia al consenso, per una classe dirigente inadeguata e senza progetto.
La de-futurizzazione è il baratro in fondo al quale siamo precipitati mesti e disillusi, eppure la narrativa che precede e accompagna le prossime elezioni regionali del Molise si accanisce su una stolida questione campanilistica che contrapporrebbe il sindaco di Termoli Francesco Roberti candidato per il centrodestra, a Roberto Gravina, sindaco di Campobasso, candidato per il centrosinistra; come fosse una contrapposizione campanilistica fra Campobasso e Termoli.
Riduciamo la “posta in gioco” a una modesta e circoscritta questione di spazio (Campobasso contro Termoli), tralasciando di valutare come invece essa rappresenti una profonda e definitiva questione di tempo: presente (incerto e claudicante) contro futuro. Quando il saggio indica la luna, si dice che lo stolto ferma la sua attenzione baldanzosamente sull’indice proteso, perdendo di vista il nostro satellite; ma noi, in questa nostra povera terra allo stremo, generalmente siamo attratti dal cinturino dell’orologio al polso del saggio, che da tempo ha gettato la spugna e ha cambiato residenza in attesa di tempi migliori.
Centrodestra
Il centrodestra si presenta ai cittadini molisani senza vergogna; con la protervia di chi esercita il potere autocraticamente su una comunità debole, ricattabile e sottomessa.
Alle ultime politiche ha portato in Parlamento a nome e per conto dei molisani zittiti e imbarazzati Lorenzo Cesa e Claudio Lotito ( …e ho detto tutto, avrebbe sentenziato l’indimenticabile Peppino De Filippo) e per la consigliatura regionale in scadenza s’è inventato come presidente della Regione Donato Toma, dottore commercialista (il bilancio regionale è stato osservato ogni anno negli ultimi cinque dalla Consulta, ed è accaduto clamorosamente anche qualche giorno fa per quello del 2022), entrato nel pantheon molisano con uno strascico di macerie e una conflittualità strisciante che ha minato la coesione interna dello schieramento che lo ha sostenuto tappandosi il naso più di una volta e ha funestato l’operato delle nostre istituzioni innanzitutto durante l’emergenza covid, per la quale la Regione non è stata in grado nemmeno di attrezzare una struttura dedicata al contrasto della pandemia che imperversava.
Con resilienza patetica e preterintenzionale, contro il morbo, abbiamo fatto valere un vantaggio paradossale, mettendo in campo i nostri ritardi e la nostra condizione marginale: il distanziamento sociale da noi non ha avuto bisogno di limitazioni prescrittive. Nei nostri paesi spopolati, soprattutto d’inverno, si fa fatica a trovare un’anima viva addirittura in piazza e pure le chiese sono diventate smisurate, se rapportate al numero esiguo e in decremento dei fedeli che debbono accogliere. Per il 25 e 26 di giugno, presidente designato del centrodestra è il sindaco di Termoli Francesco Roberti, in quota Forza Italia, sostenuto da sette lista zeppe di nomi e di storie responsabili della condizione di marginalità negletta alla quale siamo condannati.
Coordinatore regionale della coalizione è stato nominato Claudio Lotito che non ha mancato, già in diverse circostanze, di tracciare la fisionomia della proposta politica del centrodestra per la nostra regione: “noi siamo gente d’esperienza da molti anni in politica; ascolteremo i problemi e le richieste dei molisani e le porteremo sui tavoli che contano, mettendo in gioco la nostra capacità di farci valere”. Ha anche sottolineato come in tutta Italia il centrodestra vince e che se sarà riconfermato anche nel Molise, la coalizione di Roberti si avvantaggerà di una filiera favorevole, potendo contare sull’omogeneità politica col Governo nazionale.
Il centrodestra che già viaggia col vento in poppa, con la scomparsa di Berlusconi si avvantaggerà plausibilmente anche di un “effetto cordoglio” sostenuto e propalato a reti unificate dal mainstream nazionale che oltre ai funerali di Stato, inopinatamente, esige per il fondatore di Forza Italia (insieme a Marcello Dell’Utri) il lutto nazionale. Francesco Roberti ha fatto intendere in più di un’occasione di prendere le distanze da Toma e dal suo operato, esprimendo apprezzamento e vicinanza per Michele Iorio che ha avversato platealmente il presidente uscente fin dall’esordio di questa consigliatura all’epilogo. Ciò nondimeno, ai molisani più attenti e informati, non potrà sfuggire il fatto che l’intera Giunta Toma, quella che ne ha spalleggiato e condiviso il disastro legislativo e amministrativo quinquennale, è stata ricandidata.
In conclusione, per definire irrefutabilmente la sensibilità e il piglio progettuale per il futuro della nostra regione, va sottolineato che l’attuale assessore regionale alle infrastrutture Vincenzo Niro, sul tracciato della Bifernina vuole realizzare una strada a quattro corsie simile alla E45 che attraversa l’Umbria longitudinalmente con complanari d’accesso e d’uscita, mentre l’ex presidente regionale Iorio, spalleggiato da Roberti, vorrebbe un’autostrada regolamentare, con tanto di pedaggio e di caselli.
Chissà chi e come, per parte loro, rappresenterà la questione (ammesso che lo ritengano opportuno) ai molisani sempre più spaesati e disaffezionati alla politica.
Centrosinistra
Il centrosinistra molisano alle elezioni di fine giugno si presenta col “campo largo” che è riuscito a mettere insieme a sostegno del candidato presidente Roberto Gravina, sindaco di Campobasso, e dopo un lavoro estenuante del “tavolo” di concertazione (troppo) bonariamente coordinato da Antonio Federico, referente regionale anche del Movimento Cinque Stelle, risultato il primo partito per consensi nella coalizione progressista molisana alle recenti elezioni politiche.
Alla designazione di Gravina, sostenuto da sei liste di schieramento, si è arrivati dopo un estenuante lavoro di concertazione (intorno al famigerato “tavolo”) che ha girato a vuoto per decine di riunioni inconcludenti. All’epilogo degli incontri molisani sembrava la dovesse spuntare Domenico Iannacone, giornalista caro ai molisani, originario di Torella, dove torna sovente per coltivare relazioni amicali e parentali.
Iannacone sembrava il nome di caduta dell’accordo romano fra Elly Schlein e Giuseppe Conte, che però avevano fatto sapere che avrebbero fatto valere le loro proposte, solo se i progressisti molisani non fossero riusciti ad accordarsi per una candidatura locale condivisa. In zona cesarini, proprio sul filo di lana dell’annuncio della designazione del protagonista de “I dieci comandamenti” a presidente del centrosinistra molisano, per iniziativa dei Cinque Stelle che fin da subito avevano preteso che il presidente fosse designato da loro, viene nominato il primo cittadino di Campobasso che in numerose altre occasioni aveva dichiarato di volersi candidare nuovamente a sindaco del capoluogo di regione, per portare a compimento i progetti avviati nella consigliatura in corso dal 2019.
Nell’agone politico Gravina entra in punta di piedi, con un garbo e una modestia, merce tutt’altro che reperibile nelle sedi istituzionali della nostra Regione e che dopo cinque anni di governo Toma costituisce una ventata d’aria fresca per un dibattito politico generalmente di basso profilo. “O si cambia o si chiude” è lo slogan ultimativo con cui i pentastellati hanno marchiato la loro campagna elettorale e, anche se con toni ed espressioni più misurate, questo è l’orientamento delle prime uscite pubbliche di Gravina che, oltretutto, ha avuto modo di rendersi conto delle enormi difficoltà in cui si arrabatta la nostra regione, dall’osservatorio privilegiato dello scanno più alto di Palazzo San Giorgio.
Ai partiti d’impianto del fronte progressista, M5S e PD, a sostegno di Gravina si sono aggiunte altre quattro liste di ambito culturale e politico differente: “Molise democratico e socialista”, frutto della collaborazione del PSI e del suo segretario regionale Marcello Miniscalco con movimenti civici coordinati e rappresentati da Antonio D’Ambrosio; “Costruire democrazia”, il movimento fondato da Massimo Romano che si ripresenta, fra gli altri, con Antonio Tedeschi che era stato eletto nelle file del centrodestra nella consigliatura all’epilogo, Giulio Pastore, primario del Veneziale d’Isernia, protagonista di innumerevoli battaglie in favore della sanità pubblica, contro l’ingerenza sempre più ingombrante del privato accreditato, Enzo Iacovino, avvocato che ha difeso i familiari delle vittime dalla cattiva gestione della pandemia, Rosalba Testamento eletta nella passata legislatura in Parlamento con il M5S.
La lista “Gravina presidente-progresso popolare”, nella quale spiccano due sindaci giovani e apprezzati: quello di Civitacampomarano Paolo Manuele e quello di San Pietro Avellana Francesco Lombardi; infine la lista “Alternativa progressista”, frutto dell’unione dei Verdi con Sinistra italiana e col movimento per l’equità territoriale, ispirato a un meridionalismo critico e al lavoro di ricerca e di divulgazione di Pino Aprile, rappresentato fra gli altri da Vincenzo Greco, già sindaco di Termoli. In questa lista è compreso il nome di Dino Campolieti, storico e apprezzato direttore della Confederazione Italiana Agricoltori del Molise, che proprio sull’agricoltura come settore strategico per il Molise degli anni venturi ha focalizzato la sua personale proposta programmatica; quello di Bartolomeo Terzano, presidente regionale dell’associazione dei medici per l’ambiente, che in questi anni ha condotto innumerevoli interventi contro l’inquinamento e il degrado ambientale; Marco Giampaolo, Felice Ciccone e Gino Mascia Donnino, sindaci rispettivamente di Ripalimosani, Macchiagodena e Cercemaggiore.
In questa lista composta da professionisti e da attivisti impegnati nel sociale e nella politica, per la prima volta nella sua vita si presenta Giovanni Germano, ideatore e coordinatore dell’APS la Terra, che da trent’anni organizza “cammina, Molise!” nella nostra regione, col risultato di farla conoscere a migliaia di persone provenienti da tutto il mondo; Germano, unitamente ai suoi collaboratori, già da sei anni organizza un cammino in diverse città dell’Argentina, col coinvolgimento attivo di numerose associazioni di nostri corregionali emigrati in quel Paese.
Io non voto (i soliti noti)
È una lista sostenuta anche da Azione civile, il movimento politico fondato da Antonio Ingroia, che presenta candidato alla presidenza della Regione Emilio Izzo, da anni in piazza, con alcune associazioni di base di cittadini molisani, a sostenere le ragioni della sanità pubblica contro lo strapotere affaristico di quella privata, i diritti sociali tagliati negli anni mano a mano che il welfare è stato lasciato senza fondi e senza progetti, la tutela ambientale insidiata sempre più subdolamente dalla proliferazione delle energie rinnovabili – l’eolico e il fotovoltaico a terra innanzitutto – che avanzano in maniera capotica e disordinata, approfittando delle falle esistenti nella legislazione di settore, a livello nazionale e regionale.
A queste battaglie storiche, che hanno caratterizzato l’impegno del suo movimento in questi anni, Izzo, con la solita veemente determinazione, ne ha aggiunto un’altra riguardante la riduzione dei costi della politica, a partire da quelli particolarmente odiosi e improbabili degli emolumenti dei Consiglieri regionali molisani, i quali percepiscono a fine mese cifre superiori a quelle di colleghi di altre Regioni, molto più grandi e complesse da amministrare.
Da ultimo, meritoriamente, la lista “io non voto (i soliti noti)” ha acceso i riflettori sulla situazione del trasporto ferroviario molisano che ha superato da tempo la soglia del ridicolo. Ha denunciato i ritardi dei lavori dell’elettrificazione della linea fra Isernia e Campobasso, oltre alla voragine della “metropolitana leggera” che continua a richiedere investimenti pubblici pesanti, pesantissimi, con esiti ancora tutti da dimostrare ai molisani abituati ormai a qualsiasi esperienza, anche la più imbarazzante.
Insieme a Izzo, in lista alcuni dei cittadini che hanno sostenuto negli anni le battaglie del suo movimento.
La debolezza endemica del civismo molisano
Alle elezioni di fine giugno si registra un’assenza clamorosa: quella della parte civile; dei numerosi cittadini che, superando l’avversione per una politica che nella generalità dei casi si è fatta dichiarazione proterva di espliciti interessi personali, avevano provato a seguire un percorso virtuoso, di partecipazione attiva alla vita della comunità, unendosi in raggruppamenti con programmi e rappresentanti in aperta discontinuità con il nefasto e recente passato della nostra istituzione più rappresentativa. È un’assenza che si avverte più grave e marcata nelle file del centrosinistra, in considerazione del fatto che il centrodestra ha capi/padroni mai messi in discussione; tuttalpiù talvolta in dissidio fra loro, come è capitato a Patriciello e Iorio in più di un’occasione.
Lo scenario cambia del tutto se si considera l’assunzione di responsabilità politica del civismo all’interno del fronte progressista, che non manca di appellarsi alla partecipazione dei cittadini con tanto di forum, di agorà, fino alle primarie, invocate e/o organizzate a seconda delle convenienze. Alcune iniziative più platealmente hanno provato nei mesi passati a seguire questo percorso con l’intenzione dichiarata di esigere dal fronte del centrosinistra discontinuità con le scelte, con gli uomini e con le donne che con di Laura Frattura si sono resi corresponsabili di un accordo sottobanco (e manco tanto) con Patriciello, minando le basi del sistema sanitario regionale, proponendo una nuova e radicale inversione di tendenza per la definizione del modello di sviluppo da adottare nella nostra piccola regione, priva di programmazione e di visione strategica.
A “Molise domani” hanno dato un fattivo contributo Giovanni Di Stasi, Famiano Crucianelli, Mario Ialenti, Lorenzo Cancellario e Sergio Pastò, col sostegno di nomi noti della scena politica molisana come Giuseppe Astore e Antonio Chieffo. Il raggruppamento civico ha preso parte anche al “tavolo” per la ricerca e la designazione del candidato presidente del centrosinistra e sul filo di lana, proprio nelle ore in cui il fronte progressista stava decidendo quale nome fare per la presidenza dello schieramento, “Molise domani” è uscito con un documento che auspicava la designazione di Domenico Iannacone, il cui impegno professionale in favore degli ultimi e la cui popolarità, dal punto di vista del movimento civico, avrebbero rappresentato una garanzia per evitare inciuci e compromissioni da una parte, e dall’altra per assicurare la necessaria discontinuità con le politiche deteriori del passato recente.
Proprio quando sembrava che il pluripremiato giornalista di Torella dovesse essere scelto a rappresentare il centrosinistra nella nostra regione in base all’accordo romano fra PD e M5S, con un’alzata di testa, i 5 Stelle molisani rivendicano la potestà che gli era stata riconosciuta fin da subito e cioè che, come componente di maggioranza relativa dello schieramento, avessero il diritto di designarne il presidente. La scelta cade su Roberto Gravina che con garbo e osservanza istituzionale accetta l’incarico, anche se in prima battuta aveva palesato l’intenzione di ricandidarsi a sindaco di Campobasso.
All’annuncio della candidatura di Gravina, “Molise domani” risponde con un ulteriore documento nel quale dice che, caduto il nome di Iannacone, non prenderà parte alla competizione elettorale, rinunciando a presentare un sua lista. Questo è pure l’epilogo di “Un altro Molise è possibile”, associazione politico-culturale nata con l’intenzione di riavvicinare i cittadini sfiduciati (i giovani innanzitutto) alla politica, rivolgendosi in via preferenziale ai tanti che non vanno più a votare. Dopo un lungo periodo di gestazione e un dibattito interno approfondito, il sodalizio, valutando come un intollerabile compromesso l’accordo del M5S con il PD, sceglie di non prendere parte alle elezioni, rinunciando a presentare una propria lista sia con uno degli schieramenti in competizione, sia come formazione autonoma.
Insomma, sia “Molise domani” che “Un altro Molise è possibile” hanno dato prova della debolezza endemica e della sostanziale immaturità del civismo molisano, che non riesce a liberarsi di una sostanziale subalternità nei confronti della politica politicante. Il civismo, anche quello più consapevole, nella nostra regione si ferma sul limite dell’impegno sociale, di quello culturale, esasperando un elitarismo autolesionista riferibile a un’etica pubblica e una prospettiva distante e alternativa a quella della politica, sottomessa a dinamiche e interessi particolari e riconoscibili.
Spaccare il capello in quattro con l’intento di affermare la propria diversità morale e la propria purezza identitaria, disprezzando quelle degli altri nonostante militino dalla stessa parte, con la legge elettorale vigente, è una pratica che ha balcanizzato e balcanizza la sinistra, incapace di comprendere che cos’è, e a che serve la politica.
Essa ha un compito fondamentale, generatore del processo storico: quello di cambiare il mondo; d’incidere sulla realtà effettuale delle cose per mutarla a seconda del punto di vista dal quale si agisce. E’ questo innanzitutto che differenzia la politica dalla letteratura e da altre forme d’arte che pur contribuendo a loro volta a cambiare il mondo, lo fanno senza l’intenzione programmatica e collettivistica della politica. Se si scrive un romanzo davanti ad esso si è soli, e ogni lettore lo sarà altrettanto, libero di esprimere legittimamente gradimento o repulsione per l’opera. Non così per la politica; se essa non è in grado di cambiare il mondo e se addirittura non si rende conto di come e di quanto è riuscita a cambiarlo, rivelerà la sua natura ideologica, patetica e inconcludente.
Se questo diventasse l’impianto di ragionamento per una strategia delle alleanze, nelle posizioni dell’interlocutore non si evidenzierebbero le cose che dividono ma quelle che uniscono, nel perseguimento di finalità e scopi che dovrebbero essere stabiliti in via preliminare (l’annosa questione del “programma”). Naturalmente, l’intero percorso di relazione fra soggetti differenti che tuttavia appartengono allo stesso schieramento, dovrà essere condotto e presidiato da capacità dialettica e rigore analitico, fondati sulla realtà dei fatti.
Regole semplici e di buon senso, come si vede, ma assai distanti dalla pratica politica di una sinistra che insieme alla cultura dell’organizzazione collettiva (il partito), ha smarrito l’orizzonte di una visione condivisa ed è rimasta ostaggio dei suoi numerosi caporali, che hanno organizzato le loro truppe a tutela dei loro interessi, addirittura dichiarati.
di Antonio Ruggieri (Direttore de “Il Bene Comune”)