Sostenere e incentivare le “cure paesane”
Vivere in paesi confortevoli sarebbe da considerarsi una forma di terapia
di Piero Lacorazza (da civiltaappennino.it)
12 Luglio 2023
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le cure termali sono una delle più antiche forme di terapie dell’Occidente; non è un farmaco ma l’insieme di strutture e servizi integrati con risorse naturali.
Pensiamo e costruiamo paesi sicuri per qualità e velocità delle reti tempo-dipendenti (infarti, ictus e gravi traumi) e sistemi di emergenza-urgenza che raggiungano in poco tempo buoni pronto soccorso, con un’avanzata telemedicina, continuità assistenziale e una efficacia assistenza domiciliare integrata, paesi con zero barriere architettoniche e con mobilità a misura di anziano, aria e cibo buoni, boschi belli e vivibili e magari con qualche possibilità di ulteriori servizi per il benessere, etc.
Vivere in “questi” paesi confortevoli non sarebbe da considerarsi una forma di terapia?
Di questa idea di paese ne abbiamo già parlato https://www.civiltaappennino.it/2022/11/06/appennino-la-miglior-politica-per-i-giovani-e-investire-sulla-terza-e-quarta-eta/
E allora se le cure termali sono tra i LEA (i Livelli Essenziali di Prestazioni) erogati, con particolari diagnosi e prescrizioni, dal Sistema Sanitario Nazionale perché le “cure paesane”, determinando particolari condizioni e parametri, non potrebbero essere incentivate? Magari attraverso voucher o detrazioni sia alla persona che ai soggetti, enti del terzo settore, che si prendano in carico, a seconda del livello di intensità di cura e di assistenza, l’organizzazione ed erogazione del servizio.
Ricordo che per incentivare il turismo piegato dalla pandemia, forme e strumenti di sostegno sono stati promossi. Il turismo è un modo per parlarne in maniera diretta e immediatamente percepibile ma paesi sicuri e confortevoli sono una battaglia d civiltà, direi quasi patriottica, per chi vive tutto l’anno; sarebbero posti eccellenti per i “restanti”, ospitali ed attrattivi per i migranti climatici che dalle città, e non solo, guarderanno la montagna così come in un deserto si ricerca un’oasi per godere del fresco di un albero e dissetarsi. Questa impostazione non sarebbe un miraggio per riabitare l’Italia interna, di montagna ed appenninica. È possibile migliorare i contesti, qualificare e certificare servizi e strutture, incentivare la scelta e sostenere in particolare gli enti del terzo settore.
Nei giorni scorsi su repubblica.it è uscito un articolo dal titolo “Cosa sono le isole di calore e come cambia la vita in città” https://www.repubblica.it/green-and-blue/2023/07/03/news/clima_isole_di_calore_urbano_effetto_soluzioni-405821799/?ref=RHRM-BG-P2-S1-T1
È il contesto, e la sua evoluzione, che conferma il ragionamento su esposto e che da tempo Fondazione Appennino porta avanti: basta con la retorica sui borghi e sui paesi, o si incentiva l’interesse a restare e a non partire, o si differenziano politiche e si creano condizioni di vantaggio – o minor svantaggio -, o altrimenti il destino è segnato. O comunque nel processo storico di spostamento dalle aree rurali alle città e di denatalità, in particolare per il continente europeo, almeno non si sconquassano equilibri ed ecosistemi con il troppo pieno e il troppo vuoto; almeno l’adattamento a scelte e fenomeni è più graduale e sostenibile. E forse parole come “ripopolamento” andrebbero maneggiate con cura, forse il termine non è adeguato per gli esseri viventi.
L’Ufficio di Valutazione d’Impatto del Senato della Repubblica, nel valutare la SNAI (Strategia Nazionale per le Aree Interne) ha scritto: “Esaminando (ndr fino al 2020) la percentuale di popolazione over 65 – è il fattore demografico che spiega la sopravvivenza o l’estinzione di una comunità – non sono stati registrati cambiamenti significativi. Ciò può essere dovuto al breve periodo di implementazione della Strategia”. Lo studio ovviamente segnala anche cose positive ma tuttavia è chiaro ciò che da tempo si osserva: è necessario ragionare sul lungo periodo cogliendo i rischi e le opportunità delle transizioni ecologica e digitale, rimuovendo gli ostacoli (art. 3 della Costituzione) che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, partendo dalla diversità di luoghi che richiederebbero politiche differenziate (art. 5 della Costituzione).
Aggiungo una considerazione politica. Siamo di fronte ad una sfida che riguarda la sinistra, che rischia tra briglie novecentesche e tendenze anticonservatrici di non entrare nella profondità delle province; è una sfida che riguarda la destra, che appare come garante di identità e tradizione ma che lasciando fare mercato rischia di consegnare questi luoghi al folklore.
Conservazione e modernizzazione non sono lineari e per sempre. È la continua ricerca di adattamenti, visioni, avanguardie e nuovi punti di equilibri, l’unica strada percorribile: se l’uomo è di fatto lo stesso, si conserva, la scienza va avanti e cambia, modernizza.
Forse anche di questo dibattito le culture politiche dovrebbero nutrirsi. E forse anche da questo punto di osservazione i “margini”, per l’interesse generale del nostro Paese, potrebbero beneficiarne.
Queste considerazioni offrirebbero un’ulteriore lente attraverso la quale rileggere l’articolo a cui ho fatto riferimento in precedente: “Cosa sono le isole di calore e come cambia la vita in città”.
Come risulta evidente anche dal titolo, nell’articolo si prova una scalata sugli specchi ma evidentemente non ci si riesce: nel breve (20/30 anni) le città non cambiano. Sarebbe come chiedere ad una classe politica di autoriformarsi. Anche in politica, i cambiamenti, salvo rarissime eccezioni, provengono da spinte e fenomeni esterni.
Le città per cambiare in un tempo medio devono trovare un nuovo equilibrio con l’Italia interna: serve una terapia d’urto per gli spazi troppo pieni e un laccio emostatico per bloccare l’emorragia negli spazi troppo vuoti. Non so se chiamarla una “convenienza (de)localizzativa” ma spero di essermi spiegato. Questa scelta ha un costo, o meglio è un investimento che “classici” parametri di mercato consiglierebbero di non realizzare; non ci sono abbastanza numeri. E invece, come ormai sembra evidente, la remunerazione di capitali impiegati per i riequilibri e per combattere le “policrisi” sarebbe molto elevata se evitasse di farsi risucchiare dalle sabbie mobili del presente.
Vado al dunque. Nell’articolo su repubblica.it, lo riporto testualmente, è scritto: “L’alterazione termica nelle diverse zone urbane incide sulla vivibilità. E con l’incremento atteso in termini di intensità, frequenza e durata delle ondate di calore, il fenomeno è destinato ad aumentare con conseguenze per la nostra salute”.
Non credo sia necessario aggiungere altro per dire che le “cure paesane” potrebbero determinare condizioni di benessere come le “cure termali”. Con tutte le attenzioni, le implicazioni e la complessità del caso, la politica è chiamata a compiere delle scelte stando dentro un conflitto tra interessi, perché riequilibrare significa, appunto, guardare oltre un mercato eccessivamente presente ed invadente; avere la lungimiranza e il coraggio di non distribuire i soldi in maniera pro capite o proporzionale al corpo elettorale. Non si tratta di costruire contrapposizioni tra luoghi ma scambiare benefici, riabilitare il valore delle connessioni, ripensare vettori tra geografie, persone e tecnologie.
Il 31 marzo scorso è entrata in vigore la legge-delega per la non autosufficienza (legge 33/2023) che mira a coordinare e semplificare le attuali politiche per anziani cercando di ridurre la frammentazione che caratterizza il settore. Non c’è un euro. Potrebbe essere questa legge-delega l’occasione affinché si compiano scelte, si diano indirizzi da trasformare in quattrini nelle leggi di bilancio?
Al 31 gennaio 2024 scade la delega al governo per i decreti legislativi.
Partiamo da qui per fare sul serio?
Ma se proprio non vogliamo mettere sin da subito le “cure paesane” nei LEA o nei LEPS partiamo dall’ articolo 3 comma 9 della legge 33/2023: “promozione di programmi e percorsi volti a favorire il turismo del benessere e il turismo lento come attività che agevolano la ricerca di tranquillità fisiologica e mentale per il raggiungimento e il mantenimento di uno stato di benessere psico-fisico, mentale e sociale, come obiettivo ulteriore rispetto a quello della cura delle malattie ovvero delle infermità”.
Una indagine recente di Airbnb ci dice che “complice lo smart working crescono i soggiorni lunghi in località del Sud e delle isole, meglio se in luoghi non troppo inflazionati”. Noi, Fondazione Appennino ETS, parliamo ed operiamo spesso per “luoghi non comuni”.
Cominciamo una sperimentazione, consapevoli che possiamo chiudere una porta in faccia alla retorica ed iniziare ad aprirne una per riabitare davvero l’Italia che serve all’Italia, quella interne, di montagna ed appenninica.
di Piero Lacorazza (da civiltaappennino.it)