Agricoltura naturale o “del non fare”
L’agricoltura del non fare si affida alla Natura, riduce al minimo gli interventi umani, è ecologica ed economica
di Ezio Maisto (da italiachecambia.org)
22 Settembre 2023
L’agricoltura del non fare si affida alla Natura, riduce al minimo gli interventi umani, è ecologica ed economica. Come? Ce lo spiega Kutluhan Özdemir, giovane di origini turche che dopo aver girato il mondo si è stabilito in Italia per praticare e divulgare questo approccio alla terra. Questo “contadino viaggiatore” è infatti fra coloro che stanno contribuendo maggiormente alla diffusione delle rivoluzionarie possibilità offerte dagli studi del botanico giapponese Masanobu Fukuoka.
Conoscete un metodo di coltivazione in grado di produrre cibo di altissima qualità, in abbondanza, con una quantità minima di lavoro, senza trattori, sostanze chimiche, investimenti, incentivi pubblici, con la sola acqua proveniente dalle piogge, nutrendo non solo gli umani ma anche altri esseri viventi, che anno dopo anno aumenta la fertilità dei terreni e diminuisce il rischio di alluvioni e di dissesto idrogeologico?
FUKUOKA…
Riflettete bene prima di rispondere. Poi, se nemmeno dopo aver ripassato tutti i tipi di agricoltura che conoscete avete trovato una soluzione valida, saltate direttamente alla prossima riga, nella quale scoprirete la risposta del botanico e filosofo giapponese Masanobu Fukuoka (1913-2008): la Natura! Già, proprio la Natura. Un concetto così semplice che non poteva lasciare indifferenti quel milione e passa di persone che dal 1975 a oggi hanno acquistato e letto il più celebre, diffuso e venduto saggio sull’agricoltura mai pubblicato nella storia: La Rivoluzione del Filo di Paglia.
Fra questo milione e passa, nel 2014 c’è anche un 24enne di nazionalità turca – ma per metà curdo – da poco laureato e destinato a una brillante carriera di ricercatore in matematica all’Università di Istanbul. Subito dopo aver letto il libro di Fukuoka, decide di mollare tutto e di partire in autostop per visitare uno ad uno tutti gli allievi ancora in attività del maestro, deceduto 6 anni prima a 95 anni. Quel giovane si chiamava Kutluhan Özdemir. Per gli amici Kut.
…E KUTLUHAN
Kut ha ora 33 anni e vive in Italia, in una piccola “fattoria naturale” nel cuore delle Marche. Di com’è finito quel viaggio, ammesso che sia mai finito, e di quali incredibili risultati abbia prodotto, ne abbiamo parlato un paio di settimane fa, in parte in questo articolo tutto dedicato alla sua storia, e per il resto in questo video, che ripercorre le tappe che hanno portato alla nascita della RAN-Rete per l’Agricoltura Naturale, fondata in Italia dallo stesso Kut – assieme al sottoscritto – con lo scopo di diffondere il più possibile nel mondo la rivoluzionaria possibilità dell’Agricoltura del Non Fare.
Eh sì, perché l’Agricoltura del Non Fare – genitore della permacultura e ancor più conosciuta con il termine meno esplicativo di Agricoltura Naturale – esiste davvero e funziona, nonostante gli attacchi che spesso è costretta a subire dai sostenitori dello status quo nella produzione agroalimentare, immensamente più potenti.
La verità incontrovertibile è però che le piante, anche quelle edibili, esistevano già prima che gli umani comparissero sul pianeta. E, udite udite, si riproducevano da sole, ossia senza l’intervento dell’uomo. Ecco, da questa semplice osservazione parte l’approccio di Fukuoka, che consiste nel lasciare che ogni cosa, nel sistema agricolo-ambientale, vada secondo natura. Cosa comporti questo approccio è facile immaginarlo: la drastica riduzione dell’intervento umano, la garanzia di risultati di coltivazione senza impatto sugli ecosistemi, l’utilizzo della stessa biodiversità presente naturalmente su un suolo per tenere a bada malattie e piante infestanti.
AGRICOLTURA NATURALE E AGRICOLTURA CONVENZIONALE
L’agricoltura naturale pertanto non richiede arature, potature, concimazioni, irrigazioni, cure colturali, lotte antiparassitarie e altre lavorazioni del terreno. Requisito fondamentale per creare questa abbondanza è tuttavia il risveglio del suolo, ovvero la garanzia di una quantità di materia organica nel terreno superiore a quella che mediamente abbiamo oggi nei terreni coltivati col metodo convenzionale. «I miei laboratori – dice Kutluhan – iniziano sempre con ciò che Fukuoka disse quando venne in Europa all’inizio degli anni ’80. E cioè che l’agricoltura convenzionale che si pratica oggi sta distruggendo la terra».
E badate bene, non sarà certo la tanto decantata – e finanziata – agricoltura biologica a salvarla, visto che, proprio come l’agricoltura convenzionale, anche quella biologica prevede l’utilizzo di sostanze esterne al terreno, peraltro spesso considerate naturali dalle leggi di un Paese e proibite da quelle di un altro. «L’unica differenza fra l’agricoltura biologica è quella convenzionale è che nella prima c’è un cartello con la scritta biologico», sentenzia Kutluhan nei suoi laboratori.
In agricoltura del non fare, dopo alcuni anni dedicati al risveglio, il lavoro dell’agricoltore si limita alle semine, allo sfalcio, alla pacciamatura e al raccolto. Il risveglio, in particolare, si ottiene attraverso semine ripetute, generalmente col metodo delle palline di svariati semi e argilla da lanciare sul terreno prima di una pioggia. Il vantaggio del risveglio è evidente: «In Italia, nei terreni coltivati con l’agricoltura convenzionale, la quota di sostanza organica presente nel suolo varia tra l’1,2 e l’1,7%», ci informa Kut. «In agricoltura naturale, invece, un terreno risvegliato può raggiungere anche il 25% di sostanza organica; ma già quando si trova al 5% è fertile e al 3% è già in grado di tenere a bada la gramigna».
Gli argomenti più utilizzati dai detrattori di Fukuoka sono tre: l’aratura, la potatura e la resa, produttiva ed economica. Sul primo, Kutluhan risponde che «l’aratura porta in superficie i microrganismi anaerobici che abitano il suolo, uccidendoli e quindi riducendone la fertilità». La potatura invece «è un sistema che spinge l’albero a produrre di più nell’immediato, ma a vivere di meno e quindi a produrre di meno alla fine del suo ciclo naturale».
Per quanto riguarda la terza obiezione, si dice spesso che le pratiche agro-ecologiche non potrebbero mai sfamare il mondo. A questo proposito, Kutluhan è molto chiaro. Se una parte consistente del lavoro e dei terreni sono impiegati per produrre cibo che per più di un terzo viene gettato, come accade con l’agricoltura convenzionale, vuol dire che il reale fabbisogno di cibo è nettamente inferiore e può essere soddisfatto anche da tecniche che hanno rese per ettaro inferiori.
ECONOMICA ED ECOLOGICA
Sempre ammesso che l’agricoltura convenzionale sia davvero in grado di sfamare davvero il mondo e di non creare – come in realtà accade – da un lato una forte polarizzazione fra scarsità ed eccessi a seconda delle aree geografiche e dall’altro povertà per le future generazioni, che si ritroveranno con terreni sempre più aridi, sfruttati, desertificati. Ma ciò che più colpisce è la risposta che Kutluhan ci dà sulla resa economica. Grazie al poco lavoro necessario e alla biodiversità del raccolto infatti, il contadino naturale è totalmente autosufficiente.
Un concetto che ci trascina nel cuore di ciò che di più rivoluzionario c’è nell’agricoltura del non fare: il costo di produzione vicino allo zero. «L’agricoltura naturale ha solo bisogno di semi, piantine per i trapianti, qualche utensile, paglia e fieno. Spese molto piccole, che non variano qualunque prodotto si scelga di coltivare». Al punto che un contadino naturale è in grado di vendere tutta la sua produzione allo stesso prezzo, a prescindere dalla tipologia. Nel caso di Kutluhan, «2 euro al chilo, ma di puro guadagno».
«L’agricoltura convenzionale – continua – ha invece bisogno di trattori, petrolio, fertilizzanti, pesticidi, diserbanti, fungicidi, finanziamenti pubblici, consulenze, banche, braccianti a pochi euro l’ora e, più recentemente, laboratori di ingegneria genetica». E nonostante tutto ciò, sono rarissimi i produttori in monocultura che con decine di ettari di proprietà non possono fare a meno del supermercato per nutrire la propria famiglia.
Soprattutto, l’agricoltura naturale aumenta la qualità della vita dei contadini proporzionalmente al tempo libero derivato dalla riduzione della quantità di lavoro. «Se non fosse così come potrei allontanarmi così spesso dalla mia fattoria e viaggiare per il mondo per offrire i Laboratori gratuiti della RAN?». Ecco, di fronte alla tentazione della domanda su quanto possa valere tutto questo tempo libero guadagnato dalla pratica del Non Fare, abbiamo alzato bandiera bianca. Il suo sorriso sereno di ex matematico ci aveva già risposto senza alcun bisogno di citare numeri.
(Foto: La fattoria naturale di Kutluhan, nelle Marche)
di Ezio Maisto (da italiachecambia.org)