Rimarginare le ferite del paesaggio
È una cura che riguarda sia le vecchie cave che i luoghi di abbandono dei rifiuti e, pure, gli spazi a verde degradati e il patrimonio culturale minore. Occorrono anche interventi di restauro dei sistemi naturalistici
di Francesco Manfredi Selvaggi
25 Settembre 2023
Spesso non si conoscono nemmeno i nomi dei proprietari delle vecchie cave, specie di quelle piccole, e pure quando è possibile risalire ad essi si tratta spesso di persone che non esistono più. Il più delle volte si tratta di minuscole cave di prestito dove le imprese impegnate a realizzare quella fitta rete di strade che ha innervato il Molise negli anni 70 e 80 del novecento estraevano il brecciolino impiegato quale sottofondo viario. Il pericolo è che questi siti estrattivi diventino delle discariche come è successo nelle escavazioni a fossa nella piana di Campochiaro.
Non è detto che si debba intervenire in tutte le situazioni perché ci sono casi nei quali nei luoghi di estrazione ormai esauriti si è avuto uno spontaneo processo di ricolonizzazione da parte della vegetazione, di un assestamento del terreno smosso e di una regolazione delle acque superficiali tale da non provocare l’erosione del suolo; è evidente che ciò è avvenuto nelle cave più antiche in quanto la ripresa dell’ambiente è graduale. Altrimenti, occorrono investimenti consistenti per il gradonamento artificiale del fronte di cava il quale permette di ridurre le pendenze (e ciò va a favore della stabilità del versante) e il successivo attecchimento di specie vegetali sulle scarpate, oltre che fornire una immagine quasi naturale al sito in cui è stato prelevato materiale inerte.
I casi di recupero più complicati sono quelli di costoni calcarei sventrati dalle mine, ferite difficili da rimarginare. Rimanendo al tema del suolo, alle minacce della sua integrità, vi è anche la questione dell’abbandono dei rifiuti, non solo nelle cave dismesse. Si hanno tanto delle vere e proprie aree di stoccaggio di rifiuti, alla stregua di piccole discariche, quanto dei fatti puntuali, anch’essi fonte di forte preoccupazione se si tratta di fusti, bidoni o cisterne fuori uso, magari contenenti un tempo oli o altri prodotti chimici.
Seppure per essi non è corretto adottare la dizione di «sito inquinato» ai sensi della normativa ambientale è necessario, comunque, provvedere alla loro bonifica se non si vuole che vi sia la migrazione degli agenti contaminanti dalla “sorgente”, il posto in cui sono stati depositati abusivamente i rifiuti speciali, ai «bersagli», cioè la flora, la fauna e l’uomo. Quest’ultimo viene colpito dall’inquinamento pure ingerendo i prodotti agricoli derivanti da coltivazioni interessate dal trasferimento della contaminazione dalla sorgente mediante i «vettori» che sono l’aria, il terreno, l’acqua, superficiale e sotterranea.
Anche se siamo di fronte ad un rischio marginale perché investe il ciclo alimentare va effettuata con urgenza la rimozione dei rifiuti incustoditi. Ciò giova anche all’immagine paesaggistica dell’intorno. Oggetti a fine vita si trovano frequentemente nel greto dei torrenti e questa osservazione ci introduce ad un’ulteriore problematica, quella della salvaguardia della natura. Gli interventi in tale campo vanno, per citarne alcuni, dalla rinaturalizzazione delle sponde cementate dei fiumi alla creazione di rampe di risalita dei pesci in presenza di briglie troppo alte.
Nella scala delle priorità sono da mettere al primo posto quelli che mirano alla valorizzazione degli habitat presenti nei nostri circa 90 Siti di Importanza Comunitaria. Se è vero che lo stato di conservazione è soddisfacente per la gran parte degli habitat, «di interesse comunitario» e «di interesse prioritario», sono, ad ogni modo, utili misure quali la predisposizione di carnoè per i rapaci, limitate zone umide, box per pipistrelli come si è fatto nel progetto Life Fortore; a questo proposito va precisato che bisognerà attenersi a quanto disporranno i Piani di Gestione dei SIC in corso di predisposizione a cura dell’Assessorato regionale all’Ambiente.
Tornando ai torrenti con i quali si è introdotta la tematica del restauro naturalistico occorre dire che essendo i corsi d’acqua riconosciuti come corridoi ecologici, quindi come fondamentali elementi di connessione della Rete Natura 2000, va rivolta particolare cura nell’eliminazione dei fattori di disturbo, iniziando dai rifiuti. Vale la pena spendere ancora una parola sulla imprescindibilità dei corridoi ecologici: in presenza di una certa frammentazione, che non va confusa con eterogeneità, dell’ecosistema in alcuni comprensori del Molise con maggiore antropizzazione si devono individuare i varchi per superare le barriere costituite da insediamenti e infrastrutture e le fasce di collegamento ecologico.
Un accorgimento alla portata delle amministrazioni locali per ridurre i disturbi agli uccelli è un’opportuna regolazione dell’illuminazione pubblica, delle insegne commerciali e delle torri-faro (negli stadi). I rimboschimenti che incrementano i valori naturalistici, insieme a dare un contributo al raggiungimento dell’obiettivo del 20-20-20, servono pure per riqualificare le nostre campagne nelle quali si è avuta una ritrazione delle attività agricole che produce un paesaggio inselvatichito. I Comuni possono agire per trasformare l’agricoltura “d’attesa”, quella che si pratica sulle superfici edificabili previste negli strumenti urbanistici, in coltivazioni stabili ridimensionando le Zone di Espansione dei PRG, visto anche la crisi immobiliare.
Adesso passiamo agli ambiti urbani che richiedono una pluralità di interventi di riordino estetico, pur nella consapevolezza che è una strategia minimale: il rivestimento dei muri stradali in cemento, l’abbellimento dei sottopassi e dei cavalcavia, l’interramento di linee elettriche o lo spostamento dei fili che rovinano le facciate, il mascheramento, almeno alla loro base, dei piloni e dei tralicci. In più, è auspicabile il migliorare dal punto di vista architettonico gli svincoli viari, comprese le rotonde, così come riqualificare i relitti stradali, potenziare l’arredo urbano e curare il verde pubblico. Un campo a sé è quello dei lotti industriali non più utilizzati.
Le tecniche produttive diventano rapidamente obsolete e, di conseguenza, gli impianti industriali hanno, in genere, vita abbastanza breve. Gli edifici per l’industria, si pensi allo stabilimento per la fabbricazione di laterizi a Cantalupo, sono di regola di grandi dimensioni per cui l’impegno per la loro «rigenerazione» è particolarmente complesso. Il riconoscimento di archeologia industriale per una fabbrica garantisce la sua tutela conferendole un nuovo senso nel contesto territoriale. Vi sono poi, specie nei centri maggiori, attrezzature cittadine in via di dismissione tra le quali vi sono i mattatoi e i gasometri, che richiedono una rivitalizzazione. Nel settore del patrimonio culturale gli enti locali possono procedere, li si elenca velocemente, al restauro dei terrazzamenti e dei muri a secco, alla riapertura dei sentieri, alla manutenzione delle architetture di proprietà comunale dichiarate di interesse storico e così via (all’infinito pressoché).
(Foto: F. Morgillo-Sistemazione idraulica del torrente Ravone a Boiano)
di Francesco Manfredi Selvaggi