• 3 Ottobre 2023

Che faceva il “pinciaiolo”?

I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

3 Ottobre 2023

Back

La passeggiata nel parco vicino casa mi ha permesso stamani di fare del moto salutare per poi riposarmi su una panchina, anche per far compagnia ad un anziano solo, ma soprattutto carpire da lui, testimone diretto, le vicende legate al suo antico mestiere, quello di far mattoni con l’argilla negli anni Cinquanta, nella sua “pincera” nel paese fortorino.
Approfittando della presenza di una cava di argilla nel suo podere, decise di sfruttarla per produrre mattoni. Creò un rudimentale capannone dentro il quale costruì una fornace capace di cuocere più di diecimila coppi, tegole e mattoni: a due, a tre e a sei fori, oltre a quelli vuoti adatti per la costruzione di volte.
L’anziano racconta che al mattino presto, coi muli, si recava a prelevare la paglia per il forno e ad attingere l’acqua nei pozzi vicini, trasportata coi barili sul basto, necessaria per impastare a piedi nudi l’argilla. Ottenuti questi due necessari elementi, procedeva con la carriola ad ammucchiare l’argilla nel capannone e pressarla con le mani negli stampi in legno per ricavare il prodotto quasi finito, quantunque per i “pinci” (coppi) erano necessarie solo le mani per plasmare la loro semplice forma.
Il materiale veniva accumulato e poi essiccato sul prato per una decina di giorni, badando di non esporlo al vento e al sole affinchè asciugasse bene. Infine veniva cotto alla fornace per un giorno e una notte.
Si recavano i clienti coi muli dai paesi limitrofi a prelevare i laterizi, non essendoci strade in quella sua emarginata contrada. Alla mia domanda se il suo mestiere fruttasse buoni guadagni, ha replicato che si guadagnava bene, ma solo con l’ausilio di tutti i suoi familiari; ragazzi e ragazze, compresa la moglie.
Ma la durezza del lavoro, gli orari infiniti, instillò l’idea nei figli che anch’essi dovessero emigrare, come tanti, per poter vivere non da “bestie” e fuori dal mondo, e per non dover stare per sempre con le mani e piedi nella creta.
La sua “pincera” durò fino agli anni Settanta, poi fu abbandonata.

di Vincenzo Colledanchise

Back