Pace e giustizia per il Medio Oriente
Appello per una giornata di mobilitazione che si terrà il prossimo venerdì 27 ottobre a Campobasso
di APS La Terra
27 ottobre 2023
L’Archivio di Stato di Isernia, in occasione dell’ottantesimo anniversario dei tragici eventi che nel 1943 sconvolsero la città, ha realizzato la mostra documentaria “L’autunno del ’43 a Isernia“.
Nell’ambito del piano di valorizzazione promosso dal Ministero della Cultura, l’Archivio di Stato di Isernia propone un’apertura straordinaria della sede nelle giornate del 28 e 29 ottobre 2023, con orario 16-20.
La mostra offre una campionatura della documentazione conservata presso l’Istituto che permette di ricostruire tutti gli avvenimenti – vittime, distruzione e cambiamenti radicali che influirono sulla vita della comunità locale in ogni aspetto.
I documenti esposti appartengono ai fondi archivistici Tribunale di Isernia, ex Genio Civile di Isernia, e Archivio di famiglia Vincenzo e Angelo Viti.
Con la mostra l’Archivio di Stato di Isernia intende valorizzare il proprio patrimonio archivistico, potenziare la propria offerta culturale confermandosi come presidio culturale del territorio e arricchire di contenuti la storia del territorio attraverso la lettura consapevole della documentazione storica e documentale.
L’esposizione offre una campionatura della documentazione conservata presso l’Istituto che permette di ricostruire il dramma umano vissuto dalla comunità, le distruzioni e i cambiamenti epocali che quegli avvenimenti determinarono sulla vita della collettività locale in ogni ambito.
Ingresso libero.
LA CITTÀ MARTORIATA
Isernia, questa povera città tanto duramente provata e martoriata, appena due giorni dopo la proclamazione dell’Armistizio divenne l’obiettivo di spietati bombardamenti aerei eseguiti, tutti, da numerose formazioni di fortezze volanti, che sganciarono molte centinaia di bombe da altissima quota. Il primo bombardamento, effettuato alle ore 10.23 di venerdì 10 settembre 1943, fu quello che causò la più grande perdita di vite umane.
Molti popolosi rioni della città vennero colpiti in pieno nel momento di maggior traffico: Mercato, Mercatello, Santa Chiara, Santa Lucia, Concezione, San Rocco, San Domenico e altri siti. Con i bombardamenti che seguirono nei giorni 12, 13, 14, 16 e in molti altri successivi dello stesso mese di settembre, e anche di ottobre, oltre ai rioni predetti, sui quali si riversarono ancora bombe di medio e grosso calibro, furono colpiti il rione dei Cappuccini, quello della stazione ferroviaria, l’altro della Fiera, via Lorusso, via Roma, via Vittorio Emanuele, alcuni tratti del corso Marcelli, nonché l’ospedale circondariale, le carceri giudiziarie, la chiesa di San Domenico, quella della Immacolata Concezione, il lato nord-ovest della cattedrale, il vescovado e il cimitero. E da notare che fino al giorno 24 settembre nessun soldato germanico dimorava nella nostra città e nei territori limitrofi e che il transito di tali soldati ebbe inizio solo dopo il quarto bombardamento. Poiché le strade della città erano ostruite dalle macerie e quelle esterne di circumvallazione risultavano in parte ingombre e in alcuni tratti interrotte dalle frane, per le bombe esplosevi, i nemici si videro costretti, per transitarvi con i loro autocarri, a sgombrare il materiale che le aveva ostruite e ad improvvisare con lunghe travi di legno, dei ponti di fortuna.
Alla data predetta cominciarono ad affluire in Isernia le batterie contraeree germaniche, che si istallarono nei villaggi situati a nord-ovest della città, e vari comandi di compagnie e di gruppi, cui erano assegnate attribuzioni specifiche: essi, infatti, avevano alle loro dipendenze specializzati rapinatori, razziatori, guastatori, dinamitardi etc. Fu dato subito inizio al saccheggio del deposito delle pelli, dei magazzini del Consorzio agrario, dell’agenzia del Banco di Napoli, degli uffici postali, e telegrafici, dell’esattoria e tesoreria comunale; tutti i magazzini di ferramenta, di indumenti vari, di tessuti e biancheria, di materiale elettrico, quelli di ottica fotografia e radio, i pastifici, le farmacie, le oreficerie e orologerie, il deposito di ge- neri di monopolio, le tabaccherie, le cartolerie, i caffè, le pasticcerie, gli alberghi, le trattorie, le mescite di vino e altri locali subirono la stessa sorte. Gli edifici pubblici (palazzo di città, tribunale, altri uffici giudiziari, uffici finanziari, ospedale, preventorio antitubercolare, scuole etc.) e tutte le abitazioni private furono a loro volta saccheggiate mediante l’asportazione di quanto contenevano di più prezioso e di più utile: macchine da scrivere, calcolatrici, apparecchi radio, stufe, quadri, tele e arazzi di pregio, materiale elettrico, oggetti di cancelleria, apparecchi e materiali sanitari, orologi, armi, tendaggi, materassi, reti metalliche, lenzuola e biancheria, indumenti di lana, macchine per cucire, motori elettrici, soprammobili, argenterie, stoviglie, vini, olio, liquori ed altro. Si procedette alla razzia di tutti gli animali da cortile, da macello e da trazione; così degli autocarri, automobili, moto, biciclette, motori vari. I magazzini ferroviari della piccola e della grande velocità furono vuotati del loro prezioso contenuto e tutti i carri e vagoni ferroviari, che sostavano sui binari, convogliati e portati in altre località in potere degli stessi germanici.
Fin dal primo bombardamento la popolazione, terrorizzata, abbandonò quasi totalmente la città cercando rifugio nelle campagne, nelle grotte di Sant’Eramo, nei villaggi e nei Comuni circostanti. Nei giorni successivi le autorità provinciali organizzarono alcuni treni-soccorso con i quali fecero affluire in Isernia squadre di sterratori, infermieri, materiale sanitario e generi alimentari; però l’incalzare di altri bombardamenti rese impossibile ogni ulteriore aiuto: i feriti rimasero sepolti vivi sotto le macerie e la città, perché incustodita, divenne facile preda degli sciacalli nemici. Essa, specie di sera, offriva allo sguardo uno spettacolo terrificante per le montagne di macerie, le mura pericolanti e i cadaveri disseminati dappertutto, i quali, non potendo avere sepoltura, per il pericolo che incombeva, venivano in parte dilaniati da bestie randagie e per altra parte versavano in istato di più o meno avanzata putrefazione. Le case rimaste in piedi denunziavano, con le loro porte spalancate, le recenti visite di militari nemici di transito e molte chiese risultavano profanate dal tallone teutonico.
E per noi pochissimi testimoni oculari (sei persone in tutto: i tre componenti della nostra famiglia, a villa Turco: i coniugi Cercone, nella loro casa in prossimità del Liceo; la vedova Grande, suocera del prof. Giacinto Manuppella, al vico Belvedere; che preferimmo rimanere nelle nostre abitazioni, pur con grave pericolo, anziché trasferirci in località necessariamente inospitali) era quanto mai snervante sapersi attorniati da soldati nemici, dover subire le loro imposizioni ed essere angariati in vari modi. Questo perché la città – divenuta terra di nessuno per la totale assenza della popolazione e di autorità legalmente costituite – li aveva resi arbitri assoluti delle loro nefaste azioni. Ma come poteva, Isernia, nelle condizioni in cui versava dopo i primi bombardamenti, essere abitata e governata se vi mancavano l’acqua e l’energia elettrica, aveva le strade ingombre di macerie, dalle quali non era possibile estrarre i cadaveri né si potevano tumulare quelli che affioravano da esse perché i bombardamenti aerei si susseguivano con crescente intensità? Molti degli abitanti che, per varie cause, non furono in grado, al primo bombardamento, di sfollare in località meno insicure, perirono al secondo e al terzo bombardamento, portando il numero complessivo delle vittime ad oltre quattromila persone.
Anche buon numero di coloro che si rifugiarono in case rurali prossime alla città (Ferlinghino e qualche altra località) venne raggiunto dalle bombe nei luoghi di sfollamento trovandovi la morte. Queste sono le ragioni che resero inevitabile l’esodo precipitoso dell’intera popolazione! Tutti gli isernini, tormentati nello spirito e nella carne, erano obbligati, ovunque rifugiatisi, ad una alimentazione insufficiente e del tutto irrispondente alle più elementari norme igienico-sanitarie. Le nostre scarse provviste familiari divennero facile preda degli oppressori e per salvarne una minima parte dovemmo far ricorso ai comandanti della compagnia di stanza nella villa. Già dal 20 settembre era cessato il transito dei treni viaggiatori per la nostra stazione ferroviaria, pur essendo ancora efficiente la linea Isernia-Sulmona, la quale veniva completamente controllata e usata dai nemici. Vari treni viaggiatori, nei giorni che precedettero, furono sorpresi dai bombardamenti proprio nella stazione di Isernia. Il viadotto Santo Spirito, malgrado tutti i bombardamenti, si ergeva ancora maestoso e intatto nella sua imponente mole architettonica.
Ai primi di ottobre ebbe inizio, mediante mine, la distruzione di tutto l’armamento ferroviario, cui seguì quella dei binari della nostra stazione. Si fece sconquassare, per gradi, il bellissimo viadotto con le sue venticinque superbe arcate; anche le gallerie ed altri viadotti meno importanti vennero fatti saltare in aria. Così l’edificio della stazione, il Dopolavoro ferroviario, i magazzini della piccola velocità, i magazzini del materiale, il deposito locomotive e la casa dei ferrovieri. Era preordinato tutto un piano diabolico di distruzione di quanto rimaneva ancora in piedi della nostra città, e sovente i dinamitardi ci ripetevano che anche la nostra villa doveva subire la stessa sorte: «caput», dicevano alzando e abbassando le mani. In quegli stessi giorni vedemmo, con terrore, scaricare da molti autocarri una grande quantità di casse di mine e sistemarle sul marciapiedi antistante alla villa e nell’atrio della scala principale.
Tali preparativi ci misero in uno stato di enorme esagitazione. Fummo informati da un loro sottufficiale che il ponte Cardarelli, altra superba opera di magistrale architettura, era stato distrutto con le mine e allo stesso modo gli impianti generatori di energia elettrica di quattro centrali, la chiesa di Santa Maria, il palazzo di città, il palazzo Cimorelli, alla rampa omonima, vari altri fabbricati, che poi apprendemmo appartenevano ai signori De Baggis, D’Alessandro, De Matteis, De Santis, Pittore, Laposta, etc. Non ebbero tempo, tuttavia, di completare la loro esecranda opera di distruzione.
Nella notte tra il 2 e il 3 novembre avvertimmo un forte tramestio, cui seguì il rumore degli autocarri caricati e messi affrettatamente in moto. Il mattino successivo costatammo, con immenso sollievo, che i nostri oppressori erano partiti e che la villa era stata lasciata quasi intatta. In una delle camere del primo piano trovammo il filo del loro telefono riversato sul tavolo, l’apparecchio asportato e al posto di esso un cartoncino su cui era scritto a matita la parola “Bratke”, forse come avviso a qualche loro ritardatario. Alle ore 9 di quello stesso giorno le prime pattuglie inglesi giunsero nella nostra città. Dopo una breve sosta, ripresero il loro servizio di perlustrazione ripartendosi per la campagna: era il primo avviso della definitiva liberazione di Isernia da quegli odiosi ed implacabili nemici. (di Ermanno Turco [tratto da: «10 Settembre 1943 – Aesernia», a cura di S. d’Acunto, Tip. Sammartino, Agnone 1947, pp. 23-27])
di APS La Terra