Due dicembre
La Notte dei Defunti a Rocca Pia (Aq)
di Danilo Borri (da goticoabruzzese.it)
2 novembre 2023
La Notte dei Defunti a Rocca Pia (AQ), raccontata da Orazio Leone.
Una descrizione che rimanda alle molte affinità di questo rito con quelli del Capotempo (Capetièmpe – Culto dei morti in Abruzzo) peligno, e in particolare con il mito della Scurnacchièra introdacquese, la processione di morti che, secondo la leggenda, attraverserebbe le strade di Introdacqua (AQ) alla vigilia del 2 novembre.
LA MESSA DEI MORTI A ROCCA PIA (ABRUZZO)
Pure di notte si canta l’Ufficio dei Morti e il sacerdote celebra la prima Messa per i Confratelli defunti iscritti alla Congrega del Rosario. In quella notte, dice il popolino, le anime dei defunti girano per le strade del paese ed è pericoloso uscire perché ci si può imbattere nella processione che gli spiriti fanno dal Cimitero alla Chiesa madre, dove lo spirito di un sacerdote celebra la Messa.
LA PROCESSIONE DEI MORTI A ROCCA PIA (ABRUZZO)
Era una credenza dei tempi passati, ma che, anche oggi esalta la fantasia dei più semplici.
A mezzanotte tra il 1° e il 2 novembre, dal cimitero, partivano, in fila per due, tutti i morti, avvolti in lenzuoli bianchi, lenti e silenziosi, al chiarore dei ceri che le mani stecchite portavano stretti. Scendevano ondeggianti per il lavatoio e imboccavano la Via Nazionale, bianca e spaziosa.
Intano, per la via principale del paese, alle finestre delle case, ardevano lucerne e candele che la pietà dei superstiti aveva acceso per illuminare il funereo corteo. Salivano alla piazzetta della Chiesa e, d’incanto, la porta del tempio si spalancava.
Uno dei sacerdoti morti (e ve n’erano tanti in processione) si vestiva dei paramenti sacri e saliva l’altare per celebrare, mentre per le navate si spandeva un pianto di lacrime e sospiri, rimpianti ed aspirazioni.
Era la notte della liberazione dalle pene, e si protraeva sino all’Epifania. E in questo periodo quelle anime avrebbero ripetuto: «Tutte le feste che vadano e vengano, ma Pasqua d’Epifania che mai non venga». La Messa è terminata, ma i morti non si muovono.
Aspettano i parenti vivi che tra poco verranno alla Messa del Rosario. Vogliono rivederli e se non vengono, saranno loro ad andarli a svegliare nelle case, mettendo, se necessario, anche le “paure”.
Già le campane suonano a stormo e nella Chiesa c’è brusio, un muoversi ordinato per fare posto ai vivi che incominciano ad entrare. Suona pure a distesa il campanone per ricordare i sacerdoti trapassati, e in quel suono c’è tanto pianto di uomini e cose!
La Chiesa è piena di popolo e dal coro s’inizia l’Uffizio che sembra una nenia orientale, intrisa di speranze spezzate e di ricordi dolci che straziano l’anima. Ecco le “lezioni” che esprimono a voce di profezia le miserie della natura umana e lo sfacelo della morte.
Intanto ricade il silenzio che rivela singhiozzi trattenuti ed asciuga lacrime che scesero senza sforzo durante il canto.
Il “Kirie” della Mesa risuona mesto ed appena sillabato tra le arcate sonore. Ma al “Dies irae” la Chiesa trema sotto lo schianto delle note accorate e sembra che anche i fantasmi dei morti abbiano fuse le loro voci a quelle dei vivi, perché non ne potevano più, perché volevano piangere tra i vivi per sentirsi vivi: vivi come il sole che da tanti anni non vedevano sotto quella terra fredda e schifosa, vivi come le voci della natura che non potevano sentire, perché seppelliti a sette palmi dalla superficie della terra.
La funzione volge al termine: l’arciprete muove da dietro l’altar maggiore, cantando il “Libera”… e rinfrescando le ossa ammonticchiate sotto il pavimento della Chiesa, con l’acqua benedetta.
Una credenza fantasiosa? Sì; ma più che credenza potrebbe chiamarsi desiderio di sopravvivere, perché è tanto triste e sconsolato dover lasciare la terra che ci vide nascere e quelli che ci vollero bene.
di Danilo Borri (da goticoabruzzese.it)