I «Casini» a S. Massimo tenuti insieme dalla corte
La presenza del cortile è l’elemento unificante di questi fabbricati che per altri aspetti compositivi sono estremamente differenti fra loro
di Francesco Manfredi Selvaggi
14 novembre 2023
Come ha dimostrato l’indagine condotta alla fine degli anni ’70 dalla Soprintendenza ai Beni Culturali, tradottasi in una mostra esposta presso l’Archivio di Stato con la relativa pubblicazione di un catalogo, i casali rurali molisani si presentano diversissimi fra loro per dimensione e forma. Quelli più grandi hanno una struttura articolata nella quale trovano posto sia le residenze, del massaro e, a volte, del proprietario per la villeggiatura sia gli spazi per il lavoro. Vi è una varietà di locali, tanto di piccola dimensione come sono i vani di abitazione, quanto di maggiore ampiezza quali le stalle e i depositi collocati di solito al piano terraneo, di superfici aperte quali gli orti e i cortili e coperte, seppure non chiuse per intero, cioè i portici e i loggiati e gli elementi che permettono di collegare fra loro tutti i fatti edilizi o meno, tra i quali vi sono i ballatoi, gli androni e le scale.
Tale grande numero di componenti porta ad aggregazioni degli stessi che seguono modalità disparate, le quali vanno da quelle che puntano all’unitarietà architettonica, a quelle che, al contrario, rivelano spontaneismo nella distribuzione delle funzioni, a quelle che prevedono un solo livello o, viceversa, più piani a quelle in cui le scale sono esterne e non interne, a quelle che adottano il corpo semplice e non il doppio, a quelle dove gli accessori sono integrati nel corpo principale, a quelle che, invece, scelgono per loro posizioni a se stanti.
Tra i modi vi è, dunque, anche quello della composizione definita basata, magari, su uno schema a corte, una disposizione che risponde, per via della sua chiusura planimetrica, all’esigenza di protezione delle cose e delle persone poste internamente. Un’altra ragione dell’impianto a corte è quella della riduzione dei percorsi tra le varie funzioni dell’unità aziendale. L’aspetto negativo, qualora la corte fosse di estensione ristretta, sarebbe la carenza di aeroilluminazione e motivi di ordine igienico, a causa della presenza delle stalle, cosa, però, che non si verifica mai nei “casini” sanmassimesi in cui per il cortile si deve parlare di una “dimensione conforme” secondo la terminologia di Le Courbusier. La corte, comunque, non basta per affermare che si tratti di un sistema compositivo compiuto. Infatti, i volumi al contorno possono trovarsi su tutti i lati della corte, oppure solamente su alcuni di essi (due e fronteggianti fra loro), i volumi hanno la possibilità di essere di differente consistenza ed aspetto per rispettare la destinazione funzionale che sono chiamati ad assolvere. In definitiva se la corte garantisce l’unitarietà, non vi è l’uniformità delle tante parti che concorrono a definire l’edificio, o meglio il complesso edilizio. Va messo in evidenza che quelli in campagna sono manufatti che tendono ad essere più grandi di quelli urbani e, pure, meno compatti e la dimostrazione di ciò sono proprio i casini di S. Massimo. Essi hanno una maggiore ampiezza volumetrica rispetto alle dimore della medesima famiglia che li possedeva situate nel centro abitato. Sono, nel medesimo tempo, meno compatti di queste ultime e tale fatto è dovuto alla presenza di un’ampia area a disposizione.
Mancano le limitazioni imposte dalla morfologia insediativa alla quale i fabbricati devono adeguarsi (mettiamo alle strade, agli altri palazzi, ecc.) per cui nell’agro vi è maggiore libertà architettonica. Vi è la facoltà di disporre i corpi di fabbrica liberamente sul suolo, della quale i nostri «casini», ad ogni modo, non si avvalgono riconducendo ognuno di essi dentro un blocco prefissato; pure gli annessi agricoli che dovrebbero stare isolati, ad esempio il fienile in quanto la paglia è un materiale altamente infiammabile. Mentre nelle aziende contadine gli investimenti nelle strutture edilizie sono scarsi, dato che questo è un comparto povero, per cui quali depositi si utilizzavano tettoie, peraltro precarie, e per i depositi di fieno ciò è continuato ad avvenire fino a poco fa, nei «casini» si dispongono ambienti definiti e non provvisori per tale scopo. È uno dei tanti indizi che ci permette di affermare che vi è una componente nella ideazione dei «casini» che va al di là dell’ottimizzazione nella distribuzione degli spazi e che si spinge verso la ricerca architettonica pura. Vi è una forte originalità nella forma di ciascuno di essi, i quali hanno in comune solo la corte quadrata, il che li rende ascrivibili agli “edifici specialistici”, assimilabili nella realtà regionale alle chiese e ai castelli nei quali c’è una spinta eterogeneità, piuttosto che alle case rurali ordinarie.
Mentre queste ultime si basano sulla ripetitività, impiegando un unico modulo base, per i “casini” prevale la personalizzazione, dovuta forse anche alla difficoltà di schematizzazione di un “oggetto” così complesso. È sterile il tentativo di trovarne la discendenza da modelli rinascimentali (in cui sono presenti corti e porticati) o semplicemente, delle coeve “cascine” lombarde e “masserie” pugliesi. Unicamente per alcuni «pezzi» costruttivi si coglie l’importazione nel territorio agreste di «parole» del linguaggio architettonico urbano quali i loggiati, i portici e le torri usate come colombaie. Per movimentare l’immagine di costruzioni altrimenti troppo imponenti si creano logge al secondo livello, arcate al pianoterra, scale esterne, torrioni, portoni ad arco che introducono nel cortile. Vale la pena evidenziare che la torre, quando c’è, invece che conferire alla masseria l’aspetto di architettura fortificata serve ad alleggerirne la massa edilizia. Sono talmente innovativi i «casini» che neanche si può dire che costituiscano evoluzione di modelli precedenti e, tanto meno, ripetizione. Al medesimo tempo, a motivo della loro, per certi versi, eccessiva caratterizzazione essi non sono diventati dei «prototipi» da imitare in successive realizzazioni.
È la tipologia a corte in sé stessa che va in crisi sostituita da disposizioni lineari e non più circolari degli spazi per consentire i movimenti dei veicoli essendo giunti nell’era della meccanizzazione agricola con macchine di notevole ingombro; nel settore zootecnico si rileva che l’industrializzazione ornai raggiunta dall’allevamento richiede lunghi capannoni e non le stalle tradizionali, seppure ampie come quelle dei «casini». Il tipo edilizio a corte chiusa non consente, per la sua compiutezza, ampliamenti i quali, invece, sono all’ordine del giorno in agricoltura dove domina il non-finito per, purtroppo, la mancanza di una visione strategica dell’azienda, dell’assetto, pure architettonico, che dovrà acquistare.
(Foto: F. Morgillo- Corte del casino in località Masomartino a S. Massimo)
di Francesco Manfredi Selvaggi