Dall’edilizia popolare all’edilizia sociale
Il Piano Casa introduce una nuova tipologia abitativa per favorire l’accesso alla casa, questa volta da realizzarsi con fondi privati e non pubblici
di Francesco Manfredi Selvaggi
18 Dicembre 2023
La promozione dell’edilizia sociale per come è collocata all’interno di una normativa che punta innanzitutto al rilancio del settore delle costruzioni non può essere intesa come una misura esclusivamente di welfare. Neanche essa è collocabile solo all’interno delle politiche abitative seppure ne fa parte di certo se si tiene conto che la previsione di edilizia sociale è in qualche modo in rapporto con il fabbisogno di edilizia residenziale pubblica; infatti l’art. 6 della L.R. 30/2009 inizia recitando che si può dar corso ad iniziative di edilizia sociale qualora risultino esaurite le aree PEEP.
Va constatato che per quest’ultimo aspetto la disposizione in questione assomiglia a quella inserita nella legge 865 del ’71 all’art. 51 salvo che qui si parla di edilizia sociale. Riprendendo per un momento una considerazione precedente relativa alle finalità della norma che incentiva la realizzazione di edilizia sociale è interessante osservare che non è una cosa nuova nel panorama italiano attribuire una pluralità di significati al sostegno delle attività costruttive in genere e, in particolare, per la produzione di residenze: c’è un precedente illustre che è il «piano Fanfani» finalizzato oltre che alla costruzione di case alla crescita dell’economia e all’incremento dell’occupazione, obiettivo questo dichiarato in modo esplicito, mentre nel Piano Casa seppur scontato è solo implicito.
La prima versione della legge regionale n. 30, in vigore fino all’aprile 2017, aggiunge in maniera neanche tanto sottintesa tra i suoi scopi per quanto riguarda l’edilizia sociale quello della riqualificazione urbana imponendo che i progetti di architettura sociale debbano essere inseriti in un Programma Integrato d’Intervento. Ciò appare in linea con quanto si sta facendo a livello nazionale nel campo dell’edilizia residenziale pubblica (ancora una volta c’è un parallelo con la nostra edilizia sociale) in cui si è avuto, ormai da tempo, un riorientamento delle strategie. I fondi per l’ERP a partire dalla legge 179 che è del 1992 «norme per l’edilizia residenziale pubblica» indirizza gli investimenti, adesso anche privati, destinati prima direttamente alle «case popolari» verso il recupero della qualità urbana.
Nascono così i Programmi di Recupero Urbano, i Contratti di Quartiere, i PRUSST (Programmi di Sviluppo Sostenibile del Territorio), Urban I e Urban Italia i quali trovano attuazione anche qui da noi, a cominciare dal capoluogo regionale. Nel testo originario del Piano Casa era consentito fra l’altro localizzare edifici «sociali» pure nell’ambito agricolo purché in vicinanza con le zone urbanizzate: la modifica del 2015 della legge 30/2009 sopprime tale possibilità e con essa pure l’obbligo di predisposizione dei Programmi Integrati d’Intervento essenziali per garantire adeguati servizi, qualora non fossero stati abbastanza vicini, al territorio rurale interessato dall’ubicazione di abitazioni di edilizia sociale.
Si ritiene, per inciso, che non vada dimostrata unicamente la facile accessibilità alle attrezzature collettive e la presenza di reti idriche, fognarie, ecc., bensì che occorra valutare la necessità di prevedere nell’area, poiché periferica, dotazioni infrastrutturali di tipo identitario, capaci di conferire al luogo valenze qualitative che consentano di amalgamarlo all’agglomerato urbanistico, di rispondere all’«idea di città» che conforma quell’insediamento. I Programmi Integrati d’Intervento, trattandosi di dover individuare le azioni appropriate per integrare la nuova opera con il contesto urbanistico, richiedono un pieno coinvolgimento del Comune nelle scelte. Riprendiamo il filo che è, in qualche modo, il parallelo tra edilizia popolare e edilizia sociale mettendo in evidenza che sia l’art.6 della L.R. 30 sia alcuni degli ultimi programmi di finanziamento ERP, anche nel Molise, sono orientati a dare risposta a specifici fabbisogni abitativi, i quali nel Piano Casa sono le giovani coppie e le persone svantaggiate, e non a fornire l’alloggio a chiunque sia in difficoltà.
Negli anni l’Amministrazione regionale molisana ha sperimentato più strategie di sostegno tra le quali quella di assegnare il contributo direttamente alle famiglie, nel caso delle «giovani coppie», nella logica della formazione di un portafoglio-casa che permetta ai nuclei familiari titolari di esso di acquisire la residenza non necessariamente in immobili per così dire dedicati, favorendo così la mescolanza delle classi. È ovvio che non è legittimo nessun confronto su tale punto con il Piano Casa che si basa su fondi privati e non pubblici, mentre lo è su un altro piano: i finanziamenti regionali sono stati concessi con procedure concorsuali le quali non sono previste nell’art. 6 citato, nonostante che si sarebbero potute rivelare di una qualche utilità per selezionare le proposte progettuali migliori.
C’è una difficoltà oggettiva per una simile operazione in quanto nel settore edilizia sociale è da aspettarsi una grande varietà di soluzioni, fatto che la rende davvero complessa. Non essendosi maturate esperienze in un numero sufficiente, in Italia e tanto più nel Molise, non è applicabile neanche la tecnica del benchmark. In verità, se nella nostra nazione si registra un grande ritardo coprendo il social housing meno del 6% del patrimonio edilizio la media europea è ben più alta raggiungendo il 15% con punte del 30% in Stati all’avanguardia come quello tedesco; i dati dell’Unione Europea ci dicono anche altro e cioè che il social housing non è un vuoto slogan, bensì una realtà concreta.
La carenza di sperimentazioni, siamo di nuovo al paragone con l’edilizia residenziale pubblica, non ha consentito ancora la predisposizione di schemi distributivi tipo e di definire convenzioni standard nelle quali fissare il costo a metro quadro dell’alloggio; a quest’ultimo proposito si sottolinea che l’edilizia sociale si caratterizza pure per un’elevata qualità ambientale e allora il calcolo del costo deve tener conto del risparmio che scaturisce dalla diminuzione dei consumi energetici. Il privato a seguito della riduzione delle risorse disponibili per la casa che si è accentuata progressivamente dopo la fine del Piano Decennale per l’Edilizia è ormai un soggetto fondamentale in questo comparto ed ha un ruolo sempre maggiore per colmare la importante domanda dell’affitto, specie di alloggi sociali, terminate le fasi dell’Equo Canone (che è del 1978), dei Patti in Deroga (del 1992) e delle misure della legge 431 del ’98; imprenditori e non benefattori tout-court per cui bisogna riconoscere loro un giusto profitto dalle iniziative economiche.
(Foto: F. Morgillo-Casa popolare a Boiano)
di Francesco Manfredi Selvaggi