La cantata dei pastori muti
La cruda realtà di questo mondo in tempo natalizio come la vede in un racconto Donato Lagonigro, architetto e scrittore molisano
di Donato Lagonigro
18 Dicembre 2023
C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Luca (II, 8-14)
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Dorme Benino.
E sogna.
Sogna il presepe.
Che splendore!
Un cielo pieno di stelle. Una stella più luminosa, forse una stella cometa, va verso un punto preciso laggiù, al piede della collina su cui sorge il castello del perfido governatore calvo. Una montagna incantata con tante luci, i pastori con le pecore e gli agnelli, le case grandi e piccole, il ruscello e il laghetto con le anatre, gli alberelli e il prato dove pascolano le pecore. E poi il pescatore e la lavandaia e Tecla e l’oste e i giocatori di carte e il fabbro e il falegname e il calzolaio e il verduraio. Anche tre re a cavallo.
Tutti sono felici e cantano e vanno nella stessa direzione, laggiù.
Benino si avvicina ai giocatori di carte. Sta per chiedere loro il perché di tutto questo andare, ma, prima che gli arrivi vicino, quelli si alzano e vanno anch’essi con gli altri, con un sorriso luminoso sulla faccia.
Solo Tecla, seduta su una roccia, piange.
«Tecla, e tu, come mai sei triste e non vai con gli altri?»
«I soldati del perfido governatore calvo mi hanno fermata. Mi hanno detto che le donne non sposate non possono far visita alla Madonna.»
«Alla Madonna? E che ci fa la Madonna lì dove vanno tutti?»
«Non lo sai? ha dato alla luce il Salvatore. Anch’io volevo andare da lei per chiederle la grazia di avere un figlio, lo desidero tanto, anche se non sono sposata, ma i soldati mi hanno fermata. Vedi, vanno tutti laggiù, dove c’è tutta quella gente e tanta luce. Lì, in una grotta, ci sono la Madonna e San Giuseppe col loro figlioletto appena nato: dicono che ci salverà.»
«E che ci fai con quella grossa pietra tra le mani?»
«L’avevo nascosta sotto uno scialle per far credere ai soldati che fosse il mio bambino: non c’è stato niente da fare, non ci sono cascati.»
«Non piangere Tecla e vai tranquilla dalla Madonna.»
Nel dire questo un angelo scende dal cielo veloce, accarezza la donna sul viso e, come d’incanto, la pietra si trasforma in un delizioso bambinello.
Così anche Tecla è felice col suo bimbo, cui dà il nome di Stefano e si mette in cammino verso il luogo indicato dalla stella cometa.
*
Benino si sveglia.
Si guarda intorno.
Il cielo pieno di stelle è ancora lì, ma la montagna incantata non ha più luci. Il pescatore e la lavandaia e Tecla e l’oste e i giocatori e il fabbro e il falegname e il calzolaio e il verduraio, non vanno più laggiù, dove indicava la stella cometa, ma tornano indietro.
I pastori sono muti e attoniti. Tutti sono muti e attoniti.
Anche Tecla torna indietro, non più col bambino, ma con una grossa pietra tra le braccia.
«Tecla, e il tuo bambino?»
Tecla non risponde. Ha gli occhi gonfi di lacrime. Getta a terra la pietra e corre via singhiozzando.
Benino si avvicina ai due giocatori di carte che non giocano più, anch’essi sono muti e attoniti.
«Zi’ Vicienz’, zi’ Pascale, perché non andate lì dove la stella vi ha indicato? perché siete tutti muti?»
«Sapessi Benì, ci siamo stati laggiù, dove c’è tutta quella luce e invece che Maria, Giuseppe e il Bambinello… non ci crederai, ci stava un televisore! Un televisore, Beni’! un televisore enorme. La stella cometa che indicava il posto non era che la scia di un missile; gli angeli erano elicotteri lanciamissili; i tre re erano trafficanti che non portavano doni: il primo portava armi, il secondo portava droghe e il terzo aveva in mano una pompa di benzina! Nella televisione andavano programmi con gente che gridava invece di discutere e non si capiva cosa volessero, dicevano di essere giornalisti, esperti di guerre, generali razzisti, dottori, virologi, epidemiologi e di fronte a loro ci stavano quelli con la svastica e la mano sollevata che gridavano più di tutti. Poi è cominciato il telegiornale: guerre, delitti, sangue, politici che mangiano a quattro ganasce, impiegati che si fanno dare le mazzette… ma che razza di mondo è questo Benì? Ma quale Salvatore, qua non ci salva nessuno, c’hanno portato un televisore con tutte quelle schifezze…»
Un boato tremendo interrompe zi’ Vicienz’.
Poi una luce accecante.
Una polvere infinita cade come neve fatata.
La terra si tinge di grigio e il silenzio si impossessa dell’aria e della luce.
A questo prodigio assistono i pastori, il pescatore e la lavandaia e Tecla e l’oste e i giocatori e il fabbro e il falegname e il calzolaio e il verduraio.
Tutti muti e attoniti.
(Foto: un presepe artigianale realizzato nel 2010 da Michele Cianciullo)
di Donato Lagonigro