Un presepe per contestare
Lettera aperta a quanti sta stretta la realtà
di Antonio Di Lalla (da La Fonte Dic 23)
18 Dicembre 2023
Per cristiani e diversamente credenti dire dicembre è dire addobbi, giochi di luce, recite scolastiche, lettere a Babbo Natale, regali, calore di una famiglia. Per gli adulti è nostalgia di un mondo ai limiti del fiabesco, per i piccoli l’attesa delle lunghe vacanze, magari innevate così da fare pupazzi all’aperto, sprofondare nella neve, sciare. Ma c’è anche posto, attenzione, accoglienza anzitutto per il festeggiato?
Diciamo subito che di Gesù di Nazareth non si conosce né il giorno, né il mese, né l’anno, né tantomeno l’ora della nascita. La data del 25 dicembre è simbolica e tardiva. Quando i cristiani divennero numerosi e cominciarono a soppiantare le feste romane (IV secolo) pensarono bene di sostituire la festa della nascita del dio sole, che si celebrava nel solstizio d’inverno, con la venuta del loro Salvatore, nato come tutti i bimbi e le bimbe del mondo. E venne il Natale, la festa del Dio-bambino, principe della pace, ponte tra cielo e terra per ristabilire un’armonia che stenta ancora oggi ad affermarsi.
Intorno al IX secolo dell’era cristiana i missionari andarono ad evangelizzare i popoli del Nord e trovarono, nel pieno dell’inverno, quando la natura è brulla, morta, magari coperta di neve, la festa intorno a un albero sempreverde, che stava ad indicare la vita che sarebbe tornata a germogliare in primavera. Anziché bollarlo come pagano, pensarono bene di farne il simbolo del Dio portatore di vita. E iniziò la diffusione dell’albero di natale.
All’inizio del secondo millennio, i cristiani, vedendo la Terrasanta occupata dai musulmani, cominciarono ad allestire le crociate: con il pretesto religioso di liberare la Palestina, si andava lì per coprirsi di onore e di denaro, con la benedizione dei papi. Nel 1219 anche san Francesco di Assisi si accodò alle crociate con l’intento di parlare al sultano e ci riuscì ma, da meraviglioso artigiano di pace, si rese conto delle nefandezze che una guerra porta con sé e che quindi non è mai giustificabile. Come contestare le crociate senza finire al rogo come eretico, disfattista, nemico del papa e del pensiero dominante? Nel 1223, cioè giusto 800 anni fa, ebbe una grande intuizione. Recatosi a Greccio, in prossimità del Natale, decise, insieme con il suo amico Giovanni Velita, signore della città, di rappresentare la natività di Gesù in una stalla. Non c’era bisogno di andare a Betlemme, né tantomeno di conquistarla, perché il Dio-bambino era lì in quel tugurio. Vi fece portare anche un bue e un asinello, non per intiepidire il “freddo e il gelo” della stagione, né perché fossero presenti nella stalla dove nacque Gesù. Da profondo conoscitore delle Scritture, da leggere e accogliere sine glossa, alla lettera, voleva dare risonanza a quanto aveva proclamato il profeta Isaia: “ogni bue riconosce il suo padrone e ogni asino chi gli dà da mangiare: Israele, mio popolo, non comprende, non mi riconosce come suo Signore” (1,3). Altro che scena idilliaca, con il presepe contestava non solo le crociate ma anche la vita dissoluta dei suoi compaesani! Alla luce di questa profetica “invenzione”, è possibile usare oggi il presepe come fattore identitario da sbattere in faccia ai credenti di altre religioni? Prima di realizzarlo non dovremmo chiederci con San Francesco: su cosa vogliamo richiamare l’attenzione? Che cosa vogliamo contestare della nostra società?
E da contestare c’è una società che non è capace di mettere fine alla produzione e al commercio delle armi, che alimenta le guerre, sempre assassine. È ingiustificata l’invasione dell’Ucraina ma non trova spiegazioni il suicidio di un intero popolo al seguito di un presidente burattino in tenuta militare permanente; è assurdo il massacro compiuto da Hamas in Palestina ma ancora di più lo è la vendetta di Israele che sta sterminando gli abitanti della striscia di Gaza, per lo più donne e bambini indifesi. Gira sul web una frase attribuita ad Einstein: “l’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi”. Come dargli torto! La belva umana non è mai sazia di sangue e così, anziché progettare un mondo più umano, mette alla guida delle Nazioni persone che pensano che il loro valore si affermi attraverso le distruzioni.
E da contestare c’è la nostra regione che ostinatamente vuole distruggere la natura, l’ambiente, l’habitat, con torri eoliche sempre più impattanti e distese di pannelli solari su terreni fertili. Un giorno, anziché di cibo, ci alimenteremo come le vetture elettriche: ci attaccheremo… alla spina! L’11novembre alla conferenza stampa indetta, a Termoli, per confrontarci con il presidente della giunta regionale sul futuro energetico del Molise, così come lo aveva sottoscritto in campagna elettorale, lo abbiamo atteso invano. Preferisce i giochi di palazzo al confronto con i cittadini. E quello che accade nel palazzo è semplicemente penoso, grazie anche all’opposizione che non è da meno. “Salvatori della patria” vengono designati coloro che hanno provveduto a ridurci in queste condizioni, a cominciare dalla sanità nelle mani del duo Iorio-Di Giacomo, esattamente come venti anni fa, quando cominciarono le disgrazie!
E da contestare ci sarebbe il governo nazionale in mano a figuranti poco rassicuranti, la cultura patriarcale che finisce per legittimare i femminicidi, il razzismo che impedisce accoglienza e integrazione dei migranti, un mondo che va sempre più a destra, una chiesa che ha troppa paura della sinodalità… la lista potrebbe continuare all’infinito.
Dal sovversivo di Nazareth, nato in una stalla e morto su una croce, possiamo imparare ad amare e lavorare per un mondo dove le persone si riconoscano fratelli e il presepe tornerà ad essere la pietra tombale dell’egoismo.
di Antonio Di Lalla (da La Fonte Dic 23)