Storie di cammini e camminatori
«Un passo dopo l’altro per essere consapevoli, guardando ai territori senza voltarsi dall’altra parte»
di Maria Fioretti (da orticalab.it)
9 febbraio 2022
Il nostro Paese visto da quota zero nel libro “L’Italia è un sentiero” – edito da Laterza – di Natalino Russo: fotografo e narratore, si dedica al trekking, alla montagna e alla speleologia, sua grande passione da quasi trent’anni. Tra le pagine ritroveremo uno sguardo nuovo, dai passi di Giustino Fortunato sui monti Lattari, al cammino degli anarchici nel Matese, attraversando molti altri luoghi con un gesto semplice, umano e pure rivoluzionario
In cammino entrare nella natura e camminando concepire i più grandi pensieri, guardando sempre avanti. Lentamente lasciar sciogliere le emozioni insieme ai crampi alle gambe, stampando a terra un pezzo del proprio cuore. Così cambia il mondo e cambiamo noi, con un gesto umano, lento, di continua ricerca.
Per centinaia di migliaia di anni noi umani abbiamo conosciuto solo un modo per muoverci: mettere un passo davanti all’altro. In qualche caso muli e cavalli hanno aiutato, ma per spostarci abbiamo sempre dovuto affrontare lunghe scarpinate.
Agli inizi del secolo scorso automobili, treni e aerei hanno sconvolto quest’abitudine, condizionando il nostro corpo e anche il nostro modo di pensare. Camminando ci accorgiamo di riuscire a osservare i luoghi sotto una prospettiva diversa, ci sembra di entrarci meglio, di viverli più in profondità. In queste pagine ritroveremo il piacere di uno sguardo nuovo a partire da luoghi vicini e accessibili: ripercorreremo i passi di Giustino Fortunato sui monti Lattari, quelli dell’inglese Edward Lear in Aspromonte e il cammino degli anarchici nei monti del Matese. Andremo sulla via Vandelli in Toscana e nelle trincee della Grande Guerra. Senza trascurare gli itinerari religiosi, dalle vie francigene ai cammini di Francesco d’Assisi. E ancora, i percorsi classici di escursionismo e trekking, fino al grande sogno del Sentiero Italia: seimila chilometri e più di 380 tappe attraverso tutta la penisola.
Storie di cammini e camminatori raccolti tra le pagine del libro L’Italia è un sentiero, edito da Laterza: il nostro Paese visto da quota zero tra incantevoli sentieri di montagna e tratturi che rievocano pratiche antichissime, tra vie sacre di pellegrinaggio e percorsi che conservano memoria di scenari di guerra, questo libro è un invito irresistibile a uscire di casa e mettersi in cammino.
Un racconto appassionato che ci fa Natalino Russo: nato nel 1972, campano, vive a Roma. Ama da sempre viaggiare, scrivere e scattare fotografie. Dopo la laurea in Scienze Naturali all’Università di Napoli, si specializza in reportage di viaggio e montagna, e nella redazione di guide. Ha lavorato con National Geographic, PleinAir, Dove, Itinerari e luoghi, Qui Touring, Internazionale, Le Scienze, Meridiani, Bell’Italia, e con diverse case editrici tra cui Laterza, Touring Club Italiano, Skira, Vivalda, Carsa, Ediciclo.
Ha collaborato con ESA, BBC, Rai e Sky tv, tenuto seminari e consulenze per parchi e aree protette. È membro della Neos, giornalisti di viaggio associati ed è rappresentato dall’agenzia fotografica Simephoto. I suoi scatti sono stati ospitati in mostre in Italia e all’estero.
Nel 2004 ha pubblicato il libro di racconti Fratture (Imago Media); nel 2006 è uscito La via di Santiago (Vivalda). Per Carsa edizioni: Guida alla Val d’Agri, Guida al Vulcano Laziale, Guida al Parco dei Monti Lattari, Meraviglie sconosciute della Campania. Nel 2010 è uscito Nel mezzo del Cammino di Santiago, nel 2013 Il respiro delle grotte, entrambi per l’editore Ediciclo. Per il Touring Club Italiano ha curato molte pubblicazioni, tra cui le guide di Berlino, Spagna Sud, Austria, Norvegia, Barcellona, Campania, Calabria e numerosi volumi illustrati. Nel 2017 è uscito Cammini di Calabria, nel 2019 Lazio Active, entrambi anche in inglese.
Per Autostrade per l’Italia ha realizzato il progetto Sei in un paese meraviglioso. Per Skira ha curato i volumi Nel cuore della Terra (2017) e Una grotta fra terra e mare (2018). I suoi ultimi libri sono 111 luoghi di Napoli che devi proprio scoprire (Emons 2018, anche in tedesco) e L’Italia è un sentiero (Laterza, 2019). All’inizio del 2021 è uscito Matese, libro fotografico a tiratura limitata.
Nel tempo libero si dedica al trekking, alla montagna e alla speleologia, sua grande passione da quasi trent’anni. Ha partecipato a spedizioni speleologiche in Messico, Brasile, Cuba, Venezuela, Brasile, Filippine, Iran e vari paesi europei. Dal 2010 fa parte dell’associazione geografica La Venta, di cui è vicepresidente.
Camminare, scrivere, fotografare: da quale esigenza nasce questa pubblicazione?
«Come spesso succede un libro viene fuori da un bisogno, in questo caso volevo capire di più. In qualche modo mettere in ordine le idee su qualcosa che mi appassiona e per cui mi sono impegnato molto negli ultimi anni. La scrittura è un esercizio molto utile, così come mettersi in cammino. Ho raccolto diversi appunti durante le mie escursioni su itinerari diversi in giro per il mondo, mettendo insieme anche riflessioni sul senso del camminare. Più che un testo definitivo la considero una ricerca».
Qual è il capitolo che le sta più a cuore?
«Direi l’introduzione, in cui si parla proprio dal semplice gesto del camminare piuttosto che di sentieri particolari, affrontati da un punto di vista tecnico. Non è una guida, i luoghi che racconto sono in fondo un pretesto per affrontare emozioni, ricordi, suggestioni. Per questo il titolo è Pensare coi piedi, un’indagine sul perché si sceglie di attraversare l’Italia camminando tra storia, fede, natura, guerre e mutamenti».
Senza ragionarci troppo, d’istinto, c’è – o ci sono – delle tappe evocative di questo viaggio? Posti in cui tornerebbe, a cui resta particolarmente legato…
«Me ne vengono in mente due, per ragioni differenti. Il primo è legato alla mia infanzia, si trova proprio nel primo capitolo dove descrivo le Ciampate del Diavolo che si trovano alle pendici del Vulcano di Roccamonfina – in provincia di Caserta – e sono le impronte di un gruppo di tre Homo heidelbergensis, uomini preistorici che 350mila anni fa abitavano quella zona. Camminarono su un suolo non ancora solidificato che trasformandosi poi in roccia ha lasciato impresse le forme di questi piedi. È molto suggestivo, tre le impronte più antiche mai ritrovate, testimoniano il primo cammino in Italia, un luogo simbolo. Il secondo è invece il Sentiero di Capo d’Otranto che conduce al Faro di Palascia, nel Salento. Un percorso breve ma significativo, siamo nel punto più ad est della nostra Penisola, con la tramontana e l’aria limpida in inverno si possono vedere le coste dell’Albania, le montagne innevate della dorsale balcanica. Si cammina sul mare e dall’altra parte si può ammirare una terra di confine, proprio questa sua posizione ha fatto in modo che durante la guerra fredda diventasse una zona vulnerabile, tanto da mantenere attive le postazioni militari di difesa che furono realizzate dopo la fine della seconda guerra mondiale che ancora si vedono. Ho intervistato anche i figli dell’ultimo custode del Faro, il loro è un racconto di bambini che trascorrevano là le estati».
È nato a Caserta, ha vissuto e studiato a Napoli: quanta Campania c’è nei suoi sentieri italiani?
«Il mio percorso comincia da Sud, un inizio insolito perché si tende a partire dall’alto, dal Nord, per un ordine quasi logico a cui siamo abituati, come per la lettura. Ma essendo meridionale ho preferito fare all’inverso per approfondire maggiormente alcuni temi a cui tengo. Dai Monti del Matese, alla Costiera Amalfitana, un quarto del libro parla campano».
E si va anche sui Monti Lattari ripercorrendo i passi di Giustino Fortunato…
«Una figura fondamentale, dimenticata e ingiustamente sottovalutata. Da grande appassionato di montagna e di cammini decise di esplorare a piedi l’Appennino, curioso di conoscerne le comunità. Era già a lavoro sulla “questione meridionale” e questi territori sono parte della sua riflessione. Ripeteva spesso ai suoi allievi di studiare non soltanto sui libri, ma di mettere le scarpe ai piedi, per andare ad incontrare i contadini e i pastori di cui parlavano. C’è un suo bellissimo resoconto di viaggio proprio dai Monti Lattari, ho voluto percorrere la stessa strada nella contemporaneità».
L’Italia dei Cammini sembra aver retto l’urto della pandemia, quello del trekking o dell’esperienza escursionistica in natura è diventato un trend negli ultimi due anni: più un rischio di turistificazione o una nuova possibilità di scoperta?
«Noi esseri umani siamo mediamente pigri, gli italiani ancora di più. Camminare richiede impegno, fatica, costanza, tutte cose a cui lentamente ci siamo disabituati, sembra però che i cammini siano diventati mainstream nell’ultimo periodo. Il rischio di grosse criticità personalmente non lo vedo, i sentieri si autotutelano, nel senso che sono pesanti da percorrere, le grandi masse sono perciò escluse. Da camminatore e da professionista credo che uno dei pericoli possa essere quello di mettere in piedi opere costose per valorizzare un cammino, disperdendo le risorse e non lasciando nulla sul territorio, perché dove si cammina davvero si tende a guardare all’osso. Non c’è bisogno di grandi cartelli o installazioni futuristiche, basta un segno di vernice su una roccia. Certo non eravamo abituati a vedere tanti camminatori sulle montagne dell’Irpinia oppure sui Monti del Matese, rispetto a chi normalmente attraversa le Alpi, ma in realtà sono pochi, soprattutto al Sud. Più del rischio mi preoccupa l’occasione mancata. Se dovesse passare questa tendenza e nessuno intanto si fosse occupato di intercettare un nuovo bisogno, si rischierebbe di disperdere una fetta rilevante del mercato turistico. Invece nei luoghi in cui sono nate associazioni o ci sono amministrazioni lungimiranti, i cammini possono diventare progetti strutturati, muovendo anche l’economia locale in una direzione di sostenibilità».
Quanto ancora c’è da fare – in modo particolare nel Mezzogiorno – per far rientrare i cammini e il turismo lento tra gli asset strategici su cui puntare per il rilancio?
«Bisogna investire su progetti concreti che richiedono poche risorse economiche, con persone capaci e oneste ad occuparsene. Camminare permette di vedere tutto, anche le storture, perché voltarsi dall’altra parte è impossibile. È un gesto rivoluzionario che ci impedisce di ignorare la realtà che abbiamo intorno, rendendoci più consapevoli. Nei luoghi in cui si cammina di più ogni cosa funziona meglio, soprattutto se pensiamo al fatto che quella di mettersi in cammino oggi è una scelta».
Tutte le foto per gentile concessione di Natalino Russo. In copertina, l’Alta Via dei Monti Lattari
di Maria Fioretti (da orticalab.it)