Piccolo “borgo antico”
È così denominato il nucleo storico di Termoli. Ne vediamo alcune caratteristiche che lo rendono speciale
di Francesco Manfredi-Selvaggi
9 settebre 2022
Da 800 anni il castello Svevo sorveglia la costa molisana. È quasi un monumento per il suo carattere monumentale eretto a Federico Secondo, il grande imperatore-riformatore chiamato dai suoi contemporanei Stupor Mundi. Nel celebrare la struttura castellana di Termoli, meritevole di celebrazione, indubbiamente, per la sua qualità architettonica, ci si dimentica spesso tanto che non è un’opera isolata quanto che la creazione della struttura difensivo costiero non va attribuita in modo esclusivo agli Svevi.
Partiamo da questo punto: accanto al maniero voluto da Federico vi sono le poderose mura aragonesi alte 20 metri che cingono il Borgo Antico così come la teoria di torrette di avvistamento lungo l’intero litorale del Molise oggetto di cura anche da parte dei dominatori di questa terra successivi, compresi gli Spagnoli. Un ruolo decisivo nella difesa della frontiera marina lo hanno avuto pure i Benedettini con il loro convento nell’isola di San Nicola, la cui presenza lì serviva ad evitare che i pirati saraceni facessero delle Tremiti il loro covo da dove partire per le incursioni sulla terraferma.
Per quanto riguarda il primo punto sostanzialmente abbiamo già detto tutto: il fortilizio termolese non sta tutto solo a proteggere la costa perché a coadiuvarlo in tale compito vi è la serie continua delle torri di scolta le quali rivestono un ruolo, seppure sussidiario, importantissimo, complementare al castello. Si viene a configurare un sistema organico di contrasto alla pirateria, non una sommatoria di singoli punti-porti. Torri e castello collaborano strettamente fra loro in quest’azione di presidio della fascia litoranea, compreso il monastero benedettino tremitese e del resto la rocca, adesso, termolese, per il suo aspetto turriforme, più alta che larga, può essere letta quale l’ingrandimento di una torre, secondo alcuni storici di epoca longobarda, una sorta di torrione.
Una organizzazione difensiva predisposta contro gli attacchi dal mare che trascura i pericoli provenienti dall’entroterra a tranquillizzare rispetto ai quali ci sono i Pantani, Alto e Basso, cioè l’impaludamento del Biferno alle spalle della cittadina adriatica. La preoccupazione primaria delle autorità centrali è stata sempre quella di prevenire l’intrusione nel “suolo patrio” di stranieri e solo secondariamente garantire la sicurezza alla gente del posto se non come cosa conseguente da cosa. Ciò che spaventava i governanti erano le invasioni da parte di popolazioni estere del territorio nazionale.
Ciò che si è appena affermato subito lo si nega nel senso che nel XV secolo furono addirittura incentivate le migrazioni di comunità provenienti dai Balcani assegnando loro areali nel Bassomolise in cui vivere purché, da notare, di credo cattolico (in seguito gli ortodossi vennero convertiti con la forza dal Vescovo Tria). Non è corretto parlare relativamente a questo spostamento di persone dall’altra sponda dell’Adriatico di una colonizzazione perché essi giunsero sulle nostre rive per sfuggire, essendo cristiani, alla minaccia dei turchi e non perché spinti dalla volontà di colonizzare delle terre; fralaltro avevano ormai rotto ogni legame con la madrepatria senza la quale non si può parlare di colonia (la Magnagrecia senza la Grecia).
L’agro loro attribuito era nell’interno, la piana adiacente alla distesa marina, il luogo di primo approdo, occupato com’era dalle dune non era idoneo per gli insediamenti umani. A sbarcare qui da noi, trasportati dalle stesse imbarcazioni che avevano a bordo i profughi albanesi e croati, furono pure gli zingari, delle medesime nazionalità ma di differente etnia, la cui cultura nomade impediva loro di stanziarsi in un sito stabilmente. Esaurito il tema dei fuggiaschi, migranti non “economici” antelitteram, ci concentriamo ora sulle fortificazioni, diciamo così, urbane.
A Termoli il castello funge solamente da fortezza e non da residenza feudale la quale, il Palazzo Padrone vicino al Duomo, venne abbattuta nel secolo scorso per ampliare la piazza della chiesa o, ulteriore anche se non confliggente ipotesi, per l’ “isolamento” del monumento, un precetto del restauro “alla francese”. Il castello, anche a scala cittadina, non è l’unico elemento cui è affidata l’incolumità degli abitati in quanto ci sono pure le mura urbiche dotate di torri quadrangolari e c’era pure un fossato, poi interrato, naturale, non artificiale, il canale Portiglione scavalcabile allora tramite un ponte levatoio.
L’ingresso al borgo era munito di due torri delle quali una, tantissimo tempo fa, è stata eliminata. L’entrata nell’aggregato insediativo è meglio che sia unica perché ciò permette di controllare facilmente chi accede in città e così era in origine a Termoli. Nella seconda guerra mondiale gli angloamericani realizzarono un secondo varco per agevolare il transito delle truppe e però non c’è nessun problema in termini di sicurezza poiché la nuova apertura è presidiata dal castello.
In genere sono i castelli che sovrapponendosi ad essa si impossessano della porta cittadina da chiudere o aprire a piacimento del principe; qui ci troviamo di fronte ad una situazione opposta, è l’accesso che va a mettersi sotto l’ala protettiva del signore. Ricapitolando abbiamo trattato della salvaguardia della banda, ovvero striscia, costiera dalle aggressioni di una banda, ovvero manipolo di malviventi, militaresca e poco fa della messa al sicuro della città, preda ambita in sé stessa e non esclusivamente quale avamposto da conquistare per la penetrazione nel Molise interno fino al centro monastico di S. Vincenzo al V. raso al suolo nell’800 d.C..
(Foto: F. Morgillo)
di Francesco Manfredi-Selvaggi