Il “Trappito” di Tatone Costantino
Nei nostri paesi: ieri lavoro, passione e socialità, oggi abbandono massivo
di Nicola Mastronardi – fb
2 novembre 2022
Il 26 dicembre 1902 il mio bisnonno “Tatone Costantino” apriva il nuovo frantoio a Maranconi, una frazione di Agnone dove la sua famiglia risiedeva da almeno 300 anni. Il precedente frantoio, posseduto dai miei antenati da tempo immemorabile, era stato abbandonato a causa di una frana. Costantino, padre di mio nonno Nicola, era nato nel 1869 dunque aveva 33 anni quando fece l’impresa di investire risorse e danaro per l’impianto di molitura.
Il suo quaderno-registro è un pozzo di storia familiare, culturale, sociale e agricola che attraversa mezzo secolo: dal 1902 al 1950, anno di chiusura del frantoio, oggi ridotto ad un rudere che sta malamente in piedi.
Moltissime le curiosità e le notizie che vi si traggono come in un racconto involontario di un’epoca. Per esempio: il frantoio si apriva a dicembre. Al più presto il 15, spesso il 26 e addirittura il 2 gennaio. Oggi a metà ottobre i frantoi sono già al lavoro qui in Appennino. Il bisnonno si ingegnava a tradurre in italiano i termini della sua lingua madre, il dialetto: e così rù Trappite diventa “TRAPPITO” (il frantoio) e re Tombéra diventano “TOMILA” (unità di misura anche del grano e dei terreni). Al di là dei sorrisi che suscita la lettura, questo processo meritebbe uno studio della trasformazione delle millenarie lingue locali d’Italia…
Tra le altre cose notevoli vi è il passaggio dall’uso del “Tomolo” (ru Tumbre) ai quintali come unità di misura del peso delle olive: la cosa avvenne quando a tenere il registro fu mio padre ormai ventenne nel 1943 in procinto di diventare – lui figlio di contadini dalla scarsissima scolarizzazione – maestro elementare. Lo stato italiano attraverso l’istruzione di massa stava unificando culturalmente la nazione, mentre gli ascensori sociali iniziavano a viaggiare come prima non era avvenuto.
Dal registro del frantoio si vengono a conoscere le tante famiglie che popolavano l’agro, oggi quasi del tutto abbandonato: mio padre mi raccontava che Maranconi nel 1924 contava 60 abitanti tutti Mastronardi; oggi io sono l’unico residente. Qui i miei nonni, contadini possidenti, producevano tutto ciò che serviva per il sostentamento della famiglia e ne avanzava per venderne: grano, olio, vino, frutta straordinaria, ortaggi e carne di maiale, di ovini, di pollo e di piccione e ancora cacciagione, uova, formaggio di capra ed ogni altro ben di Dio…
Intorno a me, oggi, i segni dell’abbandono massivo.
Campi di grano divenuti boscaglia senza valore, vigne abbandonate, case piene di rovi, il frantoio che rischia di crollare. Anche i miei alberi di olivo, fino a poco tempo fa, erano aggrediti dalle spine e dalle piante rampicanti che a vederle mi si stringeva il cuore. Nel breve volgere di due generazioni abbiamo abbandonato la Terra e delegato ad altri, anche di Paesi lontanissimi, il compito di produrre il nostro cibo.
Ma da qualche anno ho deciso che i miei Olivi no, quelli non li voglio abbandonare a sé stessi. Ultimo baluardo, forse, per sentire la legittimità di una appartenenza a questo luogo e anche un po’ per meritarmi di abitare qui dove mi sento a casa, come avvolto dalla benevola protezione dei miei avi. Loro, che questa terra l’hanno amata, sofferta, odiata e difesa. E così, a costo di sacrificio economico e anche di lavoro manuale, ho riportato 20 piante e poi 40 in produzione. Lo scorso anno mi hanno restituito un quintale e 20 di olive, quest’anno 4 quintali e10 chili. E mancano ancora degli alberi. Mi sono sentito ricco e grato. L’abbondanza di alcuni rami carichi fino ad abbassarsi al suolo mi ha fatto commuovere. E’ ancora poco ma le potenzialità dell’oliveto che mio padre – traghettatore fra la civiltà contadina e quella moderna “italiana” – mi ha lasciato, possono ancora triplicare la produzione. E ho intenzione di farlo.
Per la raccolta ho faticato sei giorni insieme a mio fratello e alla mia compagna e ne sono uscito con muscoli doloranti e la schiena che gridava vendetta. Poi, una volta a casa, ho preso dal cassetto il registro di Tatone Costantino Mastronardi per sfogliarlo ancora una volta. E ho capito che è giusto così. Io gli alberi di olivo non li abbandono.
di Nicola Mastronardi – fb