La “redenzione delle terre”
Anche il territorio molisano si redime, con la bonifica costiera non spontaneamente
di Francesco Manfredi-Selvaggi
4 novembre 2022
La “redenzione delle terre” fu lo slogan lanciato già alla fine dell’ ‘800, con la legge Serpieri, per promuovere la bonifica del territorio costiero. Da zona improduttiva, per via della presenza di estese paludi, è diventata la zona più produttiva della regione agronomicamente parlando. Non tutto è oro quello che luccica perché ciò ha comportato la scomparsa degli ecosistemi palustri (ph F. Morgillo)
Il Molise, in effetti, è stato partecipe, ciò non contrasta con il fatto che ha sempre vissuto una condizione di isolamento, di vicende nazionali come la grande operazione di bonifica delle pianure. La nostra regione sta per conto suo geograficamente, con scarsi collegamenti con i territori confinanti, e nel medesimo tempo ha condiviso con il resto della nazione rivolgimenti fondamentali tra cui l’ultimo è stato, appunto, la “redenzione delle terre” ovvero il prosciugamento e la riduzione a coltura dei comprensori pianeggianti, per oltre mezzo secolo, sostenuto da ben tre regimi politici del tutto differenti fra loro, l’Italia liberale, il regime, vero e proprio, fascista, e l’Italia democratica dei primordi; “redimere” le campagne dall’impaludamento è stato l’obiettivo principale di politica economica dello Stato.
In poco più di 50 anni si è avuta la trasformazione totale di vastissimi circondari, modificazioni così ampie dei connotati territoriali che mai in precedenza si erano verificate con tanta radicalità nel suolo italiano. Gli ambiti interessati sono stati, sembra di averlo già detto, quelli in piano i quali da noi, ben si sa, non sono estesissimi limitandosi alla striscia litoranea e che, però, proprio perché superfici, tutto sommato, ridotte sono in ossequio al concetto di rarità, più preziose che altrove: una riflessione a margine che appena buttata là la si lascia subito cadere.
Il paesaggio è diventato irriconoscibile, non più caratterizzato dalle foreste planiziali, il toponimo Bosco Tanasso ce ne ricorda una, le uniche della regione, e degli stagni, i Pantani, Alto e Basso, e con esso l’ambiente la cui alterazione è altrettanto dolorosa della integrità paesaggistica perché brani di natura vergine, tra i sopravvissuti vi sono le Fantine di Campomarino; in nessun’altra parte del Molise, salvo le quote più elevate dei rilievi appenninici, si trovano intorni ambientali che conservano i lineamenti originari, una situazione naturalistica quella del Basso Molise di un tempo rara e anche perciò, ancora la rarità, oltre che in sé, estremamente pregevole.
Accanto allo sconvolgimento dei valori paesistici ed ecologici c’è stato pure uno stravolgimento semantico nella geografia dei luoghi. Più che un cambiamento è stato un capovolgimento di senso: quelle che prima erano lande malsane sono diventate le migliori aree agricole molisane. Gli areali bonificati surclassano in quanto a derrate alimentari prodotte il Molise interno e anche dal punto di vista qualitativo i beni agricoli che forniscono sono competitivi con quelli dei colli. Il piattume delle zone di bonifica è esclusivamente orografico, non porta con sé il significato di appiattimento della qualità.
La riduzione a linee essenziali, orizzontali, della conformazione del mantello terrestre ad est della regione se viene ad essere una riduzione della complessità morfologica delle fasce montane e collinari, poste rispettivamente ad ovest e al centro della regione, non costituisce una riduzione della bontà dei frutti che la terra dà (con la precisazione che esporremo in conclusione). Si colmano con i lavori di bonifica le depressioni al fine di evitare il ristagno delle acque per cui si riesce a godere da quasi ogni lembo dell’agro lo spettacolo della distesa marina; per l’intera giornata lo sguardo di chi vi vive e lavora, spostandosi nei frequenti punti rialzati, incrocia lo scenario marittimo, una veduta davvero incantevole.
Il nostro ambito oggetto di bonifica ha la peculiarità di essere, per così dire, fronte mare, fatto che lo rende pittoresco, distinguendolo dall’Agro Pontino e dal Tavoliere delle Puglie, i più rappresentativi comprensori bonificati. Il Basso Molise non è, dunque, panoramicamente inferiore nei confronti dei territori superiori altitudinalmente che stanno alle sue spalle, il Molise Centrale e l’Alto Molise. Gli interventi che hanno interessato questi territori sono suddivisibili in 3 fasi: la prima, iniziata con la legge Serpieri alla fine dell’ ‘800 è stata quella della vera e propria opera di bonifica, con l’epica lotta per addomesticare un contesto naturale ostile, culminata, in coerenza con il termine lotta usato, nella Battaglia del Grano ingaggiata dal Fascismo nel periodo dell’Autarchia per conquistare, sempre per quella questione della lotta, appezzamenti da coltivare, ad indirizzo, va sottolineato, cerealicolo.
La fase successiva alla politica mussoliniana per l’incremento delle superfici coltivabili è stata la degasperiana Riforma Agraria, un’iniziativa di redistribuzione fondiaria che ha anch’essa il sapore di un’epopea. Si ha la ripartizione in poderi, in lotti assomigliando ad una colonizzazione, della campagna appena bonificata, il sogno per cui aveva lottato Luca Marano il protagonista delle Terre del Sacramento il quale, però, non poté vederlo realizzato in quanto il testo letterario è di poco precedente all’azione riformatrice del governo De Gasperi.
La Storia non si fa per salti, qui invece ce ne sono ben tre, le fasi storiche delle quali stiamo per raccontare la terza, costituiscono altrettanti salti. In quest’ultima fase si ha, con linguaggio manageriale, tanto un’ “innovazione di processo”, quanto un’ “innovazione di prodotto”. La prima “innovazione” è rappresentata dall’industrializzazione, processi industriali, in agricoltura che, insieme all’irrigazione permessa dalla costruzione della diga del Liscione, ha portato all’intensificazione colturale con l’impianto di colture specializzate (frutteti e ortaggi).
La seconda “innovazione” si traduce nella coltivazione di una varietà contenuta di prodotti per assecondare le esigenze del mercato agroalimentare ormai massificato, se non una omologazione dei singoli frutti che devono avere dimensioni costanti (es, poche specie di pesche, tutte della stessa grandezza). Si industrializzano financo le produzioni tipiche, vedi la Tintilia, un vitigno che adesso alligna pure sulla costa. Le fasi 2 e 3 sono accomunate dall’ampliamento del perimetro d’azione delle politiche di trasformazione agraria che non è ristretto più solo alla pianura poiché comprende anche le aree collinari fiancheggianti questa per conseguire un’organizzazione territoriale omogenea e razionale dei distretti rurali costieri presi per intero.
di Francesco Manfredi-Selvaggi