Lo spazzacamino di Guardiaregia
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre
di Vincenzo Colledanchise
21 novembre 2022
Da ragazzo mi terrorizzava la visione di un omone alto e grosso, dall’andatura pesante, gli abiti nerissimi e trasandati, non solo per la fuliggine, con quel viso nero, madido di sudore, dal quale spiccavano due occhi di brace, che incutevano vero terrore: era lo spazzacamino di Guardiaregia.
Dal suo paese prendeva il treno per Campobasso e dalla città saliva sulla corriera che lo portava a Toro. Scendeva con cautela dal pullman per non investire e sporcare i passeggeri, per tale motivo sul mezzo occupava un sedile ricoperto da un cartone. Riprendeva quei suoi forcuti aggeggi neri ferrosi nel bagagliaio e via, a pulir camini e ciminiere del paese, che spesso prendevano fuoco a causa dell’eccessiva incrostazione di fuliggine. Come facesse a infilarsi e pulire i camini con quella sua mole non lo si capiva, ma tutti lo elogiavano per il suo lavoro meticoloso ma sfiancante, che faceva
grattando con un ferro ricurvo la fuliggine annidata all’interno della canna fumaria.
Ma non si limitava a far bene il suo mestiere, “Ming l’Impresa”, così lo chiamavano, era anche un curioso personaggio. Al contrario dall’aspetto ripugnante, era curioso sentir parlare quell’uomo, con voce stridula, nel raccontare aneddoti e barzellette. Era padrone di un linguaggio forbito, in perfetto italiano. Allora, sentir parlare qualcuno in italiano era cosa rara in paese.
Affrontava vari temi e si notava una sua cultura in molti campi. Io lo avevo sentito già per le strade e piazze ripetere il linguaggio con voce metallica della radio, imitando gli speaker dei radiogiornali. Era questo il suo numero di richiamo maggiore per far divertire la gente attratta da quell’uomo dall’aspetto ripugnante ma tanto simpatico.
(Foto “Ming l’Impresa”, spazzacamino di Guardiaregia – Archivio storico “Franco Cristicini”)
di Vincenzo Colledanchise