La festa del maiale
O anche fare la “festa” al maiale
di Domenico Meo (da Blog Altosannio)
13 Gennaio 2023
Il maiale ha un ruolo rilevante nell’economia domestica rurale. Viene allevato dai contadini con prodotti genuini consistenti in un pastone (formato da acqua calda, crusca, farina di granone, barbabietole, patate, mele) chiamato vervaune. L’antica consuetudine di ammazzarlo è uno di quei rituali che resistono ai notevoli mutamenti della società moderna. Fra le motivazioni che ne garantiscono la persistenza annoveriamo: l’isolamento geografico, la possibilità di mangiare prodotti genuini, l’opportunità di ricavare degli introiti dalla sua vendita, la facoltà di consumare i prodotti della terra evitandone l’abbandono e – non ultimo – il significato simbolico-tradizionale, in quanto il rito costituisce per il contadino un momento di aggregazione a cui non sa rinunciare, proprio perché gli appartiene nei suoi molteplici contenuti folklorici.
I giorni più indicati per uccidere il maiale sono quelli compresi fra il Natale e la metà di febbraio. Una volta fissata la data, che deve coincidere con la luna calante (de mancanza), o, se luna crescente, con la iurneata Nateale,[1] parenti compari e amici si danno appuntamento in mattinata e, dopo aver consumato una nutriente colazione a base di prosciutto, salame (spresceate), caciocavallo e formaggio pecorino, preparano tutti gli attrezzi e quanto serve per uccidere l’animale. Quando tutti sono pronti, l’addetto all’uccisione si reca nella stalla e, mediante un uncino, (ru ngiojne), aggancia il maiale sotto il muso (mentre molti gli legano la parte superiore del grugno con uno spago e lo tirano); gli uomini, tra spinte e stridii, gli prendono le zampe, la coda e le orecchie, e lo depongono su un capiente tino di legno capovolto denominato secchiàune. L’incaricato impugna ru scannatìure, (coltello lungo e affilato), e procede alla sgozzatura con un colpo preciso alla giugulare. L’attenzione degli uomini è quella di tenere fermo il maiale durante l’agonia, mentre una donna, anche se ciò avviene sempre più raramente, cerca di recuperare il sangue, usato per preparare sanguinacci dolci o salati. Questi ultimi si fanno essiccare, si tagliano a pezzettini e si consumano fritti con la cipolla o con le patate.
A morte avvenuta, il maiale viene sistemato per terra e bruciacchiato con ginestre e paglia (un tempo si usavano re trispe, ovvero i meliloti). Per ottenere una perfetta strinatura si deve prestare attenzione alle zampe, alle orecchie, al muso ed alla pancia. L’uso di bruciacchiare il maiale è molto raro, difatti in quasi tutti i paesi si utilizza l’acqua bollente. I contadini agnonesi in proposito sostengono che il fuoco non incrudisce – (nze ncrudelisce) – la cotenna facendogli conservare la consistenza naturale. Di seguito, il maiale viene ben lavato con acqua fredda, rasato con affilatissimi coltelli, caricato su una scala, e appeso mediante un bastoncello ricurvo infilato ai tendini delle zampe posteriori denominato ramegliére, ad un gancio del soffitto sito generalmente a pianterreno. Con una stadera si effettua la pesatura, principalmente per verificare se è cresciuto, ssa fatte bbòjne.
Una volta appeso, viene sezionato, eseguendo un taglio dalla coda sino alla gola. Il contadino-macellaio, in questa fase delicata, non dovrà incidere i genitali nè danneggiare le interiora (in apposite conche saranno ben pulite dalle donne), e dovrà estrarre il fegato e il cuore con molta cautela. La sezionatura procede con una incisione lungo la colonna vertebrale, per dividere in due parti il lardo di copertura separandolo dalle ossa; la stessa operazione si ripete per la parte anteriore. Il maiale, così squartato, sopporterà le forti gelate della notte restando appeso un giorno e una notte.
Nel primo pomeriggio, quando tutte le operazioni sono finite, comincia la festa.
Si consuma un lungo pranzo a base di pastina in brodo di gallina o maccheroni con le uova o pasta corta, cosciotti di agnello mbuttuneate, cucinati in bianco e farciti con aglio, prezzemolo e lardo pestato, le pallòtte e il pollo ruspante; i contorni sono a scelta fra melanzane sott’olio, cavolfiori e piselli. Per concludere, a tarda sera, si prepara l’agnello alla brace con l’insalata, poi si offrono frutta locale e dolci tipici del periodo natalizio quali ostie e pizzelle. Durante il pranzo, fra un bicchiere e l’altro, si gioca a carte e si raccontano accaduti di un tempo e barzellette.
Sino a pochi anni fa la festa del maiale era movimentata da canti e balli tipici quali la spallata, il saltarello e ru scepizze. La spallata[2] è una danza del matrimonio: lo si evince dai comandi che regolano il ballo. Allo stato attuale della ricerca la danza si è riscontrata in Abruzzo, Molise, Campania e Basilicata. Anticamente i ballerini si davano un colpo di spalla, trasformato nell’attuale colpo di anca. Il saltarello è il ballo meglio conservato nell’Alto Molise, appartiene alla schiera delle danze di corteggiamento, si balla solitamente accompagnato con l’organetto. Ru scepizze appartiene alla famiglia dello Scottish, ballo comparso nel XIX secolo in area germanica, successivamente importato in Italia. Agli albori del nostro secolo, ai balli caratteristici poc’anzi citati si sono aggiunti il valzer, la mazurca e la polca.
Due giorni dopo la festa (s’ara spartojje) si provvede all’ insaccamento delle salsicce e dei salami che vengono messi ad essiccare su pertiche di legno. L’ultima fase è quella della conservazione sotto sugna, sotto vuoto o sott’olio (pensate che tutto questo non rientra nel calcolo del Prodotto interno lordo!!!!)
[1] Lo stesso giorno della settimana in cui è capitato il Natale, questo perché si ritiene fatidico.
[2] G. M. Gala, La spallata dell’Italia centro-meridionale (Prima parte), in «Choreola» Firenze 1991, anno 1, n. 1, pp. 37-58. La spallata dell’Italia centro-meridionale, in «Choreola», Firenze1991, anno 1, n. 2, pp. 26-40.
Editing: Enzo C. Delli Quadri – Copyright Altosannio Magazine
di Domenico Meo (da Blog Altosannio)