Il caso Cospito e l’amministrazione della giustizia
Sui piatti della bilancia della giustizia devono essere messi sempre i diritti fondamentali della persona ma anche i suoi doveri nel rispetto di quegli stessi diritti verso gli altri e l’intera collettività
di Umberto Berardo
9 Febbraio 2023
In tutte le aule dei tribunali troviamo la raffigurazione della bilancia che già presso gli antichi greci era il simbolo di Themis, dea della giustizia.
Ancora oggi essa ha il valore di rappresentare la misura, la prudenza, l’equilibrio, il confronto tra le azioni e gli obblighi nell’esercizio di un giudizio che cerchi di rispettare la proporzionalità tra la consistenza di un reato e l’attribuzione di un’adeguata pena per lo stesso.
Sui piatti di tale bilancia allora a me pare debbano essere messi sempre i diritti fondamentali della persona anche in caso di sua reclusione ma anche i suoi doveri nel rispetto di quegli stessi diritti verso gli altri e l’intera collettività.
In questi giorni si è acceso un dibattito sul caso Cospito che sta infiammando in modo talora scomposto la politica e la stessa opinione pubblica.
Intorno ad esso ho la sensazione che a prevalere siano ancora una volta motivazioni di ordine puramente ideologico e sicuramente di basso profilo che perfino in Parlamento hanno suscitato un’indegna bagarre finalizzata a uno scontro politico indecente alimentato sciattamente dal deputato Giovanni Donzelli mentre la necessità sarebbe unicamente quella di un confronto pacato per individuare posizioni istituzionali e decisioni giudiziarie in grado di garantire un’amministrazione della giustizia capace di tutelare la sicurezza dei cittadini di fronte ad atti di violenza e di comminare per essi pene ispirate all’articolo 27 della Costituzione Italiana che recita testualmente “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.”
Sperando di portare un contributo di riflessione, provo allora a mettere in fila anzitutto dei dati.
Alfredo Cospito è un anarchico esponente della Fai-Fri, Federazione anarchica informale-Fronte rivoluzionario internazionale.
È stato fin qui condannato per due bombe “temporizzate” alla Scuola Allievi Carabinieri di Fossano delle quali la prima aveva lo scopo di far uscire i carabinieri dalla caserma mentre la seconda, che conteneva chiodi e bulloni, era destinata a produrre danni, per aver gambizzato insieme a Nicola Gai in un attentato avvenuto nel maggio del 2012 a Genova l’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi.
Per l’attentato di Fossano, sul ricorso della Corte d’appello, si è in attesa di un parere della Consulta che deve pronunciarsi sulla richiesta di chiarimenti al fine di decidere nel merito per l’applicazione di una pena per “strage comune” prevista dall’art. 422 del Codice Penale o dell’ergastolo ostativo immaginato invece dall’art. 285 per “strage politica”.
Sul ricorso degli avvocati di Cospito contro la misura detentiva del 41-bis il tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato la richiesta mentre la Cassazione deciderà al riguardo il 24 febbraio 2023.
Nel frattempo dal maggio del 2022 Cospito viene detenuto secondo le regole del 41 bis, un provvedimento che può durare quattro anni con proroghe di due anni ciascuna e viene adottato “In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza” (1° comma) e “Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica” (2° comma).
Il procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, in relazione a quelle che a suo avviso sarebbero inesattezze nell’informazione da parte di molti giornali, ha dichiarato che a dicembre ha ricevuto una busta con proiettili e la firma “A” (simbolo dell’anarchia); ha poi precisato che «la posizione processuale (condanna e attesa di residuo giudizio) non ha nulla a che vedere con quella che viene chiamata (impropriamente) misura del 41-bis dell’ordinamento penitenziario, poiché quel regime differenziato di detenzione viene applicato a soggetti dei quali si riconosca la particolare pericolosità, imputati o condannati per taluni gravi reati previsti dalla legge, e la possibilità e capacità di mantenere, pur se detenuti, collegamenti con le associazioni, mafiose terroristiche od eversive».
In buona sostanza l’applicazione del 41-bis viene decisa a partire da maggio 2022 perché si è avanzata per Cospito specificatamente l’ipotesi del reato di istigazione a delinquere perpetrato mentre era detenuto nel carcere di Bancali a Sassari attraverso comunicati e articoli nei quali invitava gli anarchici su riviste “clandestine” alla lotta armata mettendo in discussione la sicurezza dei cittadini e l’inviolabilità della vita umana.
In pratica la Federazione anarchica informale-Fronte rivoluzionario internazionale viene ritenuta un’associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico avendo commesso attentati per uccidere.
Dopo tale decisione Cospito ha iniziato uno sciopero della fame dal 19 ottobre 2022 che ha posto in serio pericolo le sue condizioni di salute.
La situazione si è trascinata per più di tre mesi senza che nessuno tentasse di affrontarla razionalmente e solo di recente, dopo manifestazioni e atti dimostrativi di stampo violento come attacchi ad ambasciate italiane e incendi di auto da parte di cellule anarchiche, ci si è decisi a trasferire Cospito nel carcere di Opera a Milano e successivamente, ove fosse necessario, potrebbe essere ricoverato all’ospedale San Paolo.
Sabato 4 febbraio abbiamo registrato diverse manifestazioni di gruppi anarchici, spesso neppure autorizzate, a sostegno di Alfredo Cospito in alcune delle quali si chiedeva con manifesti e striscioni non la revoca del 41 bis per il detenuto, ma molto più semplicemente la cancellazione del provvedimento per tutti i condannati.
Anzitutto occorre esplicitare in modo chiaro la condanna dell’uso della violenza e dello stesso incitamento a porla in essere per minacciare il diritto alla vita delle persone e le istituzioni democratiche.
In questa direzione mi pare che non sempre ci siano state voci chiare e decise.
Piuttosto goffa la posizione del Partito Democratico sia nella visita al carcere di Sassari che in Parlamento dove è apparso chiaro come nel partito le sensibilità e le idee sul 41 bis siano molto diverse.
La sinistra poi ha bisogno a mio avviso di riflettere molto su posizioni chiare di condanna da assumere rispetto alle forme di criminalità e di farneticazioni sulla violenza espresse in questi giorni da parte dei movimenti anarchici insurrezionalisti.
È indiscutibile che la pena inflitta per un illecito debba ispirarsi a criteri di rispetto dell’umanità e della dignità del detenuto al quale tuttavia non si può consentire la perpetrazione di un reato di attentato alla sicurezza dei singoli e della collettività quando si dimostri un suo collegamento istigativo alla violenza gratuita in azioni di tipo mafioso o terroristico.
Sono tra quanti pensano al riguardo che il 41 bis possa avere una sua funzione per così dire di carattere tecnico utile a impedire che si continui a delinquere anche dal carcere senza farne un mezzo inumano e afflittivo che conduce a un isolamento crudele o a limitazioni assurde quali ad esempio la lettura di libri, l’ascolto di musica o la riduzione delle ore di presa d’aria.
Occorre certamente ridefinire tale sistema duro di carcerazione individuando le situazioni specifiche nelle quali porlo in essere come i presupposti relativi al luogo della detenzione, alla misura, alla durata, a eventuali revoche e alle sue possibili forme rieducative.
Se visto in un bilanciamento tra la difesa dell’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini da una parte e il rispetto delle esigenze fondamentali per la dignità della persona del detenuto dall’altra, il 41 bis può avere sicuramente la funzione per la quale è stato pensato purché non si immagini una sua generalizzazione senza una razionale valutazione dei casi specifici per la sua applicabilità.
L’isolamento con sistemi e strumenti non afflittivi definiti dalla magistratura dev’essere unicamente funzionale a impedire che anche dal carcere qualcuno possa continuare a nuocere.
Per tali ragioni è inaccettabile a mio avviso la protesta di chi chiede un’abolizione totale di un provvedimento di emergenza sull’ordinamento penitenziario previsto appunto nel 41 bis.
Molti giornali non hanno avuto l’onestà intellettuale di riportare nella loro integralità i reati e le dichiarazioni davvero assai gravi e francamente irricevibili di Cospito sull’uso della violenza.
Secondo i magistrati gli scritti di Cospito sarebbero trapelati dal carcere all’esterno attraverso riviste anarchiche clandestine fornendo indicazioni di piattaforme strategiche ai nuclei d’azione insurrezionalista con lo scopo di rianimare sul piano terroristico una galassia anarchica sicuramente fluida e non gerarchizzata, ma in grado comunque di organizzare azioni eversive e violente su strutture e persone.
Alcuni giuristi e intellettuali hanno rivolto un appello al ministro della giustizia Nordio per la revoca del provvedimento adottato nei confronti dell’anarchico.
Su un’eventuale sospensione del 41 bis per Cospito in un sondaggio realizzato da Proger Index Research per Piazza Pulita il 66,8% degli italiani è convinto che non si debba assolutamente indietreggiare, mentre solo il 10,6% si è pronunciato favorevolmente e il restante 22,6% non sa o preferisce non rispondere.
Con una ricerca accurata ciascuno dovrebbe avere il buon senso di documentarsi e di valutare poi, fuori da ogni logica di tipo giustizialista ma anche talora di garantismo inopportuno, se esiste proporzionalità, ragionevolezza e senso di ricerca della giustizia nelle pene comminate a Cospito o al detenuto Sami Mbarka Ben Gargi, quarantunenne di origine tunisina deceduto nel 2009 al reparto di Chirurgia toracica del policlinico San Matteo di Pavia dopo uno sciopero della fame e della sete che durava da un mese.
Le valutazioni al riguardo vanno lasciate in ogni caso alla magistratura che ci auguriamo abbia sempre l’equilibrio per garantire lo “Stato di diritto” e la giustezza della pena.
Di sicuro, al di là del caso specifico, esiste in Italia una condizione carceraria insostenibile nella stessa condizione strutturale degli istituti di pena e nelle forme di detenzione che hanno contribuito a generare nel 2022 più di ottanta suicidi come riferisce Antigone, l’associazione che da oltre quarant’anni opera per i diritti dei detenuti i quali in Italia ammontano a 54.609 di cui ben 738 in regime di 41 bis.
Per la loro condizione di vita in carcere dovremmo sempre avere la massima attenzione rendendo certamente dignitosa e umana la detenzione di chi commette reati, ma assicurando altresì serenità di vita a una collettività che va tutelata dalla violenza di ogni forma di criminalità.
di Umberto Berardo