• 14 Febbraio 2023

Il Matese non esiste

Se il Molise non esiste, non esiste neanche, è ovvio, il Matese

di Francesco Manfredi Selvaggi

14 Febbraio 2023

Se il Molise non esiste, non esiste neanche, è ovvio, il Matese almeno il suo versante molisano. I dubbi sull’esistenza della nostra regione sono determinati pure dalla presenza di questa montagna che funge da schermo agli sguardi dal lato tirrenico. Questo blocco montuoso ha tante ambiguità, dall’essere in comune tra 2 regioni, dall’appartenere a più bacini idrografici, dalla varietà degli ambienti al suo interno. 

Il Matese è una cosiddetta terra di mezzo sia in senso longitudinale, lungo cioè il suo asse maggiore, sia nel verso opposto, quello trasversale il quale è il suo asse minore. Esso è, infatti, guardandolo lungo il lato lungo, a cavallo tra 2 ecoregioni l’una contrassegnando l’Appennino Centrale, l’altra il Meridionale, il suo omologo in quanto catena montuosa. Se lo osservi sul lato corto esso costituisce il limite tra 2 mondi completamente diversi, con caratteristiche geografiche, sociali, ecc. del tutto differenti, quello tirrenico e quello adriatico.

Il Matese presenta una dualità per quanto riguarda i bacini idrografici che lo interessano i quali sono appunto due, quelli del Biferno e del Volturno. Tale duplicità dei sistemi idrici dell’area matesina è contemperata dal fatto che essi appartengono ad un unico Distretto Idrografico, quello dell’Italia Centro Meridionale (anche se, in effetti, nel Volturno confluisce una parte dell’acqua del Sangro il quale fa parte invece del Distretto dell’Italia Centrale, ma è una storia lunga da raccontare per sui soprassediamo). Il Matese, sempre lui e rimanendo ancora ai fiumi, fa da spartiacque tra il Tirreno e l’Adriatico, le acque molisane vanno nel mare Adriatico e quelle campane nel mar Tirreno come apparirebbe scontato salvo che il Volturno, così come il suo affluente Tammaro, che ha origine nel Molise ha la foce in Campania.

È da dire a questo proposito due, sempre il numero due, cose che si ritiene siano particolarmente interessanti: la prima è che Volturno e Tammaro non hanno le proprie scaturigini nel massiccio del Matese mentre il Biferno le ha, sgorga a Boiano esattamente nel punto centrale del comprensorio matesino, la seconda è che il Volturno e il Tammaro, i loro corsi, si sviluppano ai capi opposti di questa emergenza montana e le vallate che vengono a formare costituiscono elementi di separazione di questo monte con il resto dell’Appennino rendendolo un blocco isolato nella serie dei rilievi appenninici, un continuum che presenta una cesura all’altezza, non c’entra niente l’altezza della montagna, del Matese.

Un paio, ancora il due, di parole vale spenderle sul rapporto tra il Matese e l’acqua che è davvero singolare. Quest’ultima è una componente che contraddistingue il paesaggio montano qui, paradossalmente, a causa della circostanza che in altitudine per via del carsismo non ve n’è neanche una goccia, ovviamente si esagera perché vi sono alcune, poche, “falde sospese”, da Capodacqua all’Acquabona a Fonte dei Faggi. Se in superficie non vi è acqua, nelle viscere il Matese ne contiene tantissima come dimostra il fatto che il Biferno il quale dai suoi serbatoi sotterranei si alimenta quando nasce già maturo, grosso, cosa inusitata, non un neonato che dovrà crescere; è un po’, si utilizza la seguente immagine mitologica perché efficace, ciò che è successo a Minerva la quale è nata già formata, tutta intera, dalla testa di Giove.

Se è, come lo è, un’affermazione veritiera che “l’acqua è fonte di vita”, il Matese da cui essa fuoriesce può essere definito a pieno titolo portatore di vita. Da esso deriva la risorsa idrica che serve a soddisfare le esigenze idropotabili di tanti campani, tramite la galleria che passa sotto il Matese la quale trasferisce l’acqua da una regione, la nostra, all’altra, e molisani, l’irrigazione agricola, il fabbisogno industriale. Dobbiamo riconoscere al Matese questi meriti e non solo per tale ragione non ce lo possiamo togliere dalla mente. Qui da noi è sotto gli occhi della maggior parte della gente, fa da cornice a molteplici paesaggi molisani, lo sfondo di frequente degli sguardi panoramici, un fondale delle visioni quotidiane per molti.

Non ha la stessa assoluta rilevanza che ha qui da noi in Campania la quale essendo una regione grande, molto più della nostra, ha orizzonti multipli, non un focus percettivo costante. Il Matese rappresenta una demarcazione decisa della regione, una sorta di barriera che impedisce dall’esterno di traguardare con la vista la nostra terra e ciò può avere un ruolo nella formulazione dello slogan “il Molise non esiste”. Questa montagna che con la sua consistente elevazione fa da schermo alle vedute ha contribuito, lo si afferma scherzosamente, a mettere in dubbio l’esistenza stessa del Molise.

Si è iniziato dicendo che il Matese è una terra di mezzo e ora si specifica che ciò non significa che è uno spazio vuoto, alla stregua di un trattino di interpunzione tra le due regioni confinanti, non fosse altro che per il suo consistente spessore. Non è una terra di nessuno, res nullius, bensì res communis, un territorio in condivisione tra le popolazioni insediate ai suoi piedi. Per gli abitanti dell’area esiste, eccome! Il Matese è un luogo di vita, non di residenza beninteso, a sé con una specifica destinazione d’uso, mutuando questo termine della normativa urbanistica, la quale è quella del pascolo e della selvicoltura.

Bisogna far presente che la montagna in questione, a differenza delle Alpi e dei colossali massicci della fascia appenninica centrale, il Gran Sasso e la Maiella, è quasi completamente utilizzabile. Le porzioni di essa occupate da rocce, la parte sottostante alla cima Croce, ghiaioni, il Fondacone, circhi glaciali, tra i quali sono i Circhi dell’Aquilana, grotte, delle Ciaole e del Fumo, inghiottitoi, il principale è il Pozzo della Neve, laghi, quello naturale del Matese e quello artificiale dell’Arcichiaro, forre, la gola del Quirino, la più profonda, canaloni, quello ad esempio di S. Nicola o il Vallone Grande, doline, una su tutte Campo Tondo, sono in definitiva minime rispetto alla vastità dell’ambito montano.

Non avevano ragione i pastori di praticare tali posti impervi, gli unici che li battevano erano i cacciatori che si spingevano anche in luoghi, peraltro, per altri inaccessibili per stanare gli animali selvatici. Va evidenziato relativamente alla caccia che pure la pratica venatoria è una forma di utilizzazione del territorio. Neanche la zona cacuminale risulta risparmiata dall’attività antropica. Non ci si è fatti scoraggiare dall’atavica credenza diffusa ogni dove che le cime siano abitate da figure mitiche, il profilo del gruppo Gallinola-Miletto ricorda un uomo, l’Uomo delle Nevi, dormiente che prima o poi si risveglierà; la croce piantata sulla vetta maggiore è anche protezione dagli influssi negativi degli spiriti che popolano le quote più alte.

Al contrario di quanto ci sarebbe da attendersi i crinali, compresi i maggiormente elevati, non risultano oggetto di qualche specifica norma di protezione non fosse altro che per il loro costituire lo skyline di una quantità esagerata di panorami; al contrario risultano essere i lembi, estremi in quanto sommità, di territorio in quota più soggetti ad alterazioni, vedi gli impianti tecnologici per le trasmissioni radio e televisive collocati qui su, monte Patalecchia ne è un esempio clamoroso. È meglio non essere i primi della classe per non essere disturbati, la Gallinola docet. Le cime come un valore a sé stante e ciò nonostante a Campitello si pensa all’installazione di una stazione di smonto funiviaria sulla vetta principale del Centromeridione.

di Francesco Manfredi Selvaggi

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