La crisi del commercio di prossimità
Negli ultimi 10 anni nei due capoluoghi di provincia molisani hanno chiuso ben 175 negozi
di Umberto Berardo
8 Marzo 2023
L’Ufficio Studi di Confcommercio ha condotto un’indagine sui cambiamenti in atto nel sistema commerciale in Italia con particolare riferimento alla struttura d’impresa nelle città.
Intanto occorre porre al centro dell’attenzione i dati riguardanti il fenomeno.
Negli ultimi dieci anni hanno chiuso 99.000 attività di vendita al dettaglio a posto fisso e 16.000 relative al commercio ambulante.
Il numero di posti di lavoro persi non si riusciranno certo a recuperare nella grande distribuzione né in quella on line.
Diminuiscono i negozi di beni tradizionali, ma aumentano le imprese di servizi come le farmacie o quelle nel settore della tecnologia soprattutto per la vendita di computer e articoli per la telefonia.
Crescono di 10.275 unità alberghi, pizzerie, ristoranti e bar.
Si riducono attività e numero di occupati italiani mentre aumentano quelli stranieri.
Nello stesso periodo in Molise nei due capoluoghi di provincia, Campobasso e Isernia, hanno chiuso ben 175 negozi.
Se si allargasse la ricerca sulla rete commerciale presente nei 136 comuni molisani, si scoprirebbe che il sistema di distribuzione ha raggiunto uno stato davvero molto critico perché soprattutto nei piccoli centri delle aree interne la situazione più accettabile prevede solo qualche negozio di generi alimentari e il bar mentre negli altri settori merceologici il servizio è ancora tenuto, dove persistono, dai mercati ambulanti settimanali e dalle nuove forme distributive rappresentate dagli ipermercati delle città o dall’e-commerce.
Le cause di questa contrazione delle attività commerciali al dettaglio sono molteplici.
La prima è sicuramente la diminuzione del numero di abitanti in regione e soprattutto nei borghi del Molise centrale e alto.
Le minuscole imprese non riescono certo a competere con la grande distribuzione e con il commercio on line che raggiungono i clienti addirittura a domicilio.
La pandemia ha sicuramente contribuito, almeno in alcuni settori, ad avvicinare sempre più gli acquirenti alle nuove forme di vendita.
La maggiorazione dei costi di gestione di una piccola attività commerciale, dovuta soprattutto all’impennata del prezzo dell’energia, ha costituito il colpo di grazia per tante imprese che, non riuscendo più ad avere utili accettabili, hanno deciso di chiudere.
Ci sono esercenti che stanno provando a resistere, ma la mia sensazione è che la crisi del commercio di prossimità è destinata ad accentuarsi.
Il fenomeno non è certamente positivo per gli addetti, ma neppure per i tanti cittadini che vi facevano ricorso.
Nessuno nega il risparmio che la grande distribuzione può garantire almeno per determinati prodotti, ma forse dobbiamo interrogarci anche sui lati negativi sottesi all’utilità immediata che ce ne deriva.
Intanto il risparmio per chi vive nei piccoli centri non è sempre quello che molti immaginano se riusciamo a individuare i tanti specchietti per le allodole e ad aggiungere al prezzo dello scontrino i costi del viaggio per raggiungere un ipermercato o quelli della spedizione relativa al commercio on line.
Non tutti poi si sforzano di associare il costo di un prodotto alla sua qualità mentre negli acquisti questa dovrebbe essere per chiunque la prima preoccupazione.
Tra l’altro abbiamo credo tutti imparato che le tecniche di marketing prevedono prezzi bassi iniziali per attirare i clienti portando poi tutti alle grandi catene di distribuzione con la nascita di trust e la conseguente ascesa dei costi dei prodotti.
La stessa tecnica dei buoni da scomputare in un certo periodo definito va valutata attentamente in considerazione del valore monetario dei beni acquistati nei giorni fissati per lo sconto.
Faccio rilevare ancora che nel piccolo negozio si acquista in genere l’essenziale ovvero ciò che realmente serve mentre presso la grande distribuzione o nell’e-commerce la forza psicologica della pubblicità associata alla descrizione dei prodotti spinge sicuramente a comprare il superfluo o quantità eccessive anche di prodotti deteriorabili.
Certo i piccoli commercianti hanno bisogno anzitutto di consociarsi e di aggiornare i loro criteri di vendita alle nuove esigenze della popolazione se non vogliono soccombere definitivamente, ma credo abbiamo davvero bisogno che lo Stato e le istituzioni locali definiscano l’imposizione fiscale con criteri più equi in relazione ai costi di gestione delle attività, alla loro dislocazione territoriale e al bacino di utenza servito controllando soprattutto che esse non abbiano una concorrenza sleale da parte di alcuno.
Si tratta di porre in essere quella fiscalità di vantaggio che in più occasioni la Caritas Diocesana di Trivento ha proposto, ma che non è stata mai presa in seria considerazione.
Vi sono moltissimi piccoli paesi delle aree interne del Molise dove ormai, oltre alla carenza pesante dei servizi sanitari, educativi, dei trasporti e delle comunicazioni, non esiste più neanche un centro di aggregazione quale quello socio culturale né uno per il tempo libero quale il bar o un circolo.
Ultimamente qualche sindaco ha evitato nella propria comunità la chiusura del distributore di carburanti o dell’edicola per la vendita dei giornali pensando a una gestione diretta di tali servizi da parte dell’amministrazione comunale.
Si tratta di iniziative lodevoli ma non sufficienti.
Se non vogliamo la completa desertificazione delle aree interne, abbiamo bisogno davvero di educare i nostri giovani alla cultura del lavoro, alla promozione di un’imprenditorialità autoctona e a un’organizzazione territorialmente consorziata dei servizi.
Rivedere il sistema di rete scolastica e il suo funzionamento è fondamentale così come è indifferibile elaborare e strutturare un progetto di servizi sanitari territoriali efficienti e un razionale piano di educazione permanente.
Di queste prestazioni essenziali sono parte quelle commerciali che nei piccoli paesi non servono solo a fornire beni materiali, ma hanno l’enorme funzione di centri di aggregazione e di relazione sociale soprattutto per gli anziani.
Nella loro difesa la parte fondamentale va tenuta dalle istituzioni, ma dev’esserci anche una responsabilizzazione dei cittadini che devono sostenere il commercio di prossimità se non vogliono perdere attività indispensabili a una qualità accettabile di vita.
I piccoli commercianti poi hanno la necessità di convincersi che è assolutamente opportuno e utile migliorare le competenze specifiche e le tecniche nella gestione della catena logistica della distribuzione affiancando ad esempio la vendita al banco a quella on line e fornendo così un servizio a domicilio secondo i nuovi sistemi del local e-commerce che può prevedere sia la consegna direttamente a casa che un sistema di acquisto ibrido ovvero la possibilità di scegliere e prenotare on line, ma ritirando e pagando la merce direttamente in negozio.
Quest’ultimo criterio permette sicuramente di mantenere il rapporto umano con il fornitore, ma anche di gestire gli acquisti fidandosi di persone che non solo vendono, ma talora producono merci di qualità eccellente in particolar modo nel settore dei generi alimentari.
Tra l’altro in tal modo è possibile allargare la vendita di prodotti di eccellenza fuori dalla domanda locale del piccolo paese di origine raggiungendo clienti in quelli limitrofi e perfino nelle città.
Il commercio di prossimità, che garantisce ancora un notevole numero di occupati, si può salvare allora tirando fuori i due assi nella manica di cui dispone: l’eccellenza qualitativa dei prodotti a costi appetibili e un sistema di distribuzione adeguato alle nuove richieste.
di Umberto Berardo