“…Tremulae sinuantur flamine vestes…”
ll mito di Europa in un antico bassorilievo in agro di Monteroduni
di Franco Valente – fb
9 Marzo 2023
Ai piedi di una masseria di Monteroduni sopravvivono alcuni bassorilievi di particolare interesse che meriterebbero una maggiore attenzione.
Furono pubblicati da Sylvia Diebner nel suo insuperato saggio sui bassorilievi di Isernia e Venafro (S. DIEBNER, “Aesernia.Venafrum, Untersuchungen zu den römischen Steindenkmälern zweier Landstädte Mittelitaliens”, Roma 1979)
Non so se quelle pietre ancora sono al loro posto in località Castagneto.
Si tratta di due rilievi che, per trovarsi nel Molise, rappresentano sicuramente una singolarità.
Nel primo bassorilievo, molto rovinato, si vede una donna vestita di una leggera stola pieghettata che cavalca un grande toro, mentre la palla, l’ampio mantello, si gonfia alle sue spalle: “tremulae sinuantur flamine vestes” (… le tremule vesti si gonfiano per il vento).
È la rappresentazione del mito di Europa rapita da Giove che aveva mutato il suo aspetto in un toro mansueto.
“Maestà ed amore non vanno molto d’accordo e non possono stare insieme: il padre e signore degli dei, che ha la destra armata di fulmini a tre punte e che con un segno fa tremare la terra, lasciato lo scettro importante, si trasforma in un toro e, di bello aspetto, mescolatosi alle giovenche mugge e pascola sulla tenera erba.
Ha proprio il colore della neve non ancora calpestata da un duro piede e non ancora sciolta dall’umido Austro. Il collo è muscoloso e dalle spalle pende la giogaia.
Le corna sono piccole, ma si potrebbe affermare che sono fatte a mano e sono più brillanti di una lucida gemma. Nulla è minaccioso sulla fronte e lo sguardo è tranquillo.
Ha l’aspetto pacifico.
La figlia di Agenore lo guarda incantata perché ha un aspetto così bello e non sembra prepararsi ad uno scontro; ma sebbene appaia mite, ha timore a toccarlo subito: poi gli si avvicina e gli porge dei fiori verso il candito muso.
L’innamorato gode e, mentre aspetta che venga il piacere sperato, le bacia le mani.
A malapena rinvia il resto e tutto felice giocherella sull’erba ed ora si stende di lato sulla sabbia dorata; e, allontanata un poco alla volta la paura, ora le offre il petto perché lo accarezzi con la mano verginea e le corna perché vi avvolga le corone di fiori appena intrecciate.
La vergine regale coraggiosamente si siede sul dorso del toro senza sospettare chi sia: allora il dio senza agitarsi si allontana dalla terra e dalla spiaggia asciutta, imprime le sue false orme sulla sabbia umida e prosegue oltre, poi porta via la preda sulle onde del mare.
Lei si spaventa e guarda la spiaggia ormai lontana, mentre con la destra stringe una delle corna e con l’altra si appoggia sul dorso; le tremule vesti si gonfiano per il vento”. (P. OVIDIO NASONE, Metamorfosi, II, 836-875)
Agenore, dall’unione con Telfassa ebbe cinque figli maschi ed una femmina che si chiamò Europa. Zeus si innamorò di lei e da Ermes fece dirigere il bestiame di Agenore verso il luogo dove Europa amava passeggiare con le sue compagne. Zeus, assunte le sembianze di un toro bianco con le corna simili a gemme e confuso nella mandria, si avvicinò ad Europa che, vedendolo, rimase affascinata dalla sua bellezza.
Resasi conto che era mansueto come un agnello, cominciò a giocare con lui ponendogli addosso ghirlande di fiori.
Poi gli salì in groppa e fu portata verso il mare.
Qui il toro cominciò a nuotare portando Europa sempre più lontano fino a raggiungere l’isola di Creta. Zeus allora si trasformò in un’aquila e la violentò. Nacquero tre figli: Minosse, Radamante e Sarpedonte..
Devono passare 15 secoli prima che nel Molise venga di nuovo rappresentato il mito di Europa per opera di Donato Decubertino nel castello di Gambatesa. Era il 1550.
Nell’antichità, e soprattutto in Grecia, la scena del ratto di Europa ebbe grande diffusione in particolar modo nella ceramica. Ma il bassorilievo di Monteroduni è quello che forse più degli altri sembra richiamarsi ai versi di Ovidio. Ne è conferma la particolare ariosità del velo che negli altri casi o manca o non è così gonfiato dal vento. E’ quel tremulae sinuantur flamine vestes che rende sicuramente più interessante la nostra pietra.
In Italia un’immagine molto simile si ritrova nel mosaico del III sec. d.C., proveniente da Forum Sempronii (Fossombrone) e conservato in Ancona nel Museo Archeologico Nazionale delle Marche.
Il secondo bassorilievo, di cui non si sa la provenienza, è ancora più rovinato, ma è chiara la scena.
Un giovane vestito di tunica è in groppa a un elefante. Non è semplice capire quale sia il contesto in cui si colloca la figura, ma con molta probabilità si tratta della rievocazione di una cerimonia dall’elevato significato ideologico.
L’elefante per la sua potenza fisica molto spesso fu utilizzato non solo per azioni belliche (si ricordi l’uso che ne fece Annibale) ma anche per cerimonie trionfali come quella rimasta famosa nell’antichità riservata a Cesare e raccontata da Svetonio:
“… salì poi sul Campidoglio alla luce delle fiaccole che quaranta elefanti, a destra e a sinistra, recavano sui candelieri. Nel corso del trionfo Pontico, tra gli altri carri presenti nel corteo, fece portare davanti a sé un cartello con queste tre parole “Venni, vidi, vinsi”, volendo indicare non tanto le imprese della guerra, come aveva fatto per le altre, quanto la rapidità con cui era stata conclusa”. (SVETONIO, De vita Caesarum, I-37)
di Franco Valente – fb