Il tempo del gioco
Nel libro “Infanzia e potere. Origini e conseguenze di una oppressione” Andrea Sola accoglie alcune piste di ricerca di grande interesse
da Andrea Sola (da comune-info.net)
16 Marzo 2023
Ciò che distingue la spontaneità dei bambini e delle bambine è la propensione al fare “come se”: è l’immaginario che sa fermare il tempo. In quel modo si relazionano con creatività con il mondo. Ma quella spontaneità e la potenza dell’immaginario di vivere il tempo in modo diverso sono presenti anche nelle attività ludiche degli adulti: non esiste tanto una differenza qualitativa ma quantitativa, anche se gli adulti, per come la cultura dominante pensa il gioco dei grandi, tendono ad avere una relazione strumentale con l’attività ludica. Nel libro “Infanzia e potere. Origini e conseguenze di una oppressione” (Biblion ed.), Andrea Sola, da sempre attento ai temi della nonviolenza e al pensiero libertario, raccoglie alcune piste di ricerca di grande interesse intorno alle ragioni che mantengono l’infanzia in una condizione di sudditanza psicologica e materiale e fa emergere il bisogno di visioni alternative dell’educazione. Ampi stralci del paragrafo intitolato La attività ludico-conoscitive
Sui caratteri distintivi delle attività ludiche
Ciò che connota le attività spontanee dell’infanzia (molte delle quali vengono convenzionalmente definite “ludiche”) è la propensione alla finzione, al fare “come se”, e il prevalere del piacere dell’esecuzione sul fine dichiarato (l’ottenimento di obiettivi specifici); i loro contenuti, che sono di natura immaginaria, vengono affermati in quanto sostituti di qualcosa che non c’è (sono simbolici), mentre il senso complessivo dell’attività è racchiuso nell’esecuzione stessa. Questo significa che la loro originaria ragion d’essere sta nell’appagamento di un desiderio (psicofisico) di natura immaginaria, che abbiamo descritto come la ricerca/il bisogno innato della specie umana di dotare di senso la realtà che lo circonda, attribuendole dei caratteri che esse stesse pongono: è il compito svolto dalla dimensione immaginaria del pensiero che, per sua natura, ha il potere di trasformare ciò che è in ciò che può essere pensato (compreso); è ciò che abbiamo chiamato “padroneggiare in modo attivo” il mondo. Ed è proprio nella dimensione della finzione che ciò può accadere (del “fare come se” ciò che ci è dato come privo di senso ne possa avere uno che possiamo definire “nostro”). Di qui il piacere che sempre si associa a questo utilizzo del pensiero immaginario. È nell’esercizio di questo compito che il piacere si manifesta allo stato puro, come momento presente, come “tempo del piacere”.5 È l’immaginario realizzato che ferma il tempo, ponendosi al di fuori della storia; in questo senso i fini concreti degli atti ludici vengono messi tra parentesi, vengono sospesi, mentre a prevalere è la dimensione del piacere e del desiderio che lo sottende.
Le attività spontanee infantili hanno un rapporto con i fini perseguiti che non è mai di tipo strumentale (cioè legato all’ottenimento di un risultato estraneo all’attività stessa, come invece è quasi sempre per gli adulti), ma conoscitivo (normativo). Esse si connotano come attività che non perseguono obiettivi eteronomi rispetto all’esperienza in quanto tale. In questo senso si può dire che giocando si aderisce con tutti se stessi all’esperienza in corso.6 È proprio perché i bambini sono spontaneamente fedeli ai loro bisogni primari che nelle loro attività essi cercano sempre di aderire alla loro verità interna. Ciò comporta che gli ostacoli che essi incontrano nel perseguire i loro scopi non siano mai motivo per un ripiegamento su obiettivi impoveriti ma più facilmente raggiungibili (svuotati cioè di quella tensione conoscitiva che ne era all’origine).7
Tutte le attività spontanee del periodo infantile sono, per così dire, le “forme elettive” attraverso cui il bambino cerca di materializzare il suo percorso di conquista intellettiva del mondo, sono cioè la via attraverso cui egli si può appropriare creativamente del mondo cercando nel contempo di conservare i legami con esso. L’intenzionalità conoscitiva che viene loro attribuita non si riferisce quindi, soltanto, a quella che compare quando sia matura una volontà consapevole di comprendere razionalmente il mondo, ma va considerata operante anche in tutta quella fase della crescita in cui predomina la dimensione immaginaria del pensiero, là dove è quindi ancora assente qualsiasi intenzionalità conoscitiva esplicita.
Se questi sono i caratteri distintivi di tale genere di attività, allora possiamo comprendere anche tutte le diverse modalità e regole cui esse sottostanno in maniera universale: l’evento immaginario viene isolato, separato dal corso normale degli eventi; si svolge secondo regole precise che, una volta date, non possono essere messe in discussione; tali regole sono “atti di fede”, non essendo soggette ad alcun criterio di verificabilità se non al prezzo di cambiare completamente scenario (cambiare gioco); i “giocatori” tendono a formare un gruppo a sé (club, setta, partito, ecc.) e a sviluppare uno “spirito di corpo” (fino a cercarne la segretezza) per distinguersi dagli esterni e sviluppare il senso di appartenenza. Lo scetticismo nell’attività ludica non è ammesso, così come non lo sono coloro che non stanno dichiaratamente alle regole (i guastafeste).
Sulla differenza tra le attività ludiche infantili e quelle adulte
La dimensione di appropriazione creativa del mondo propria delle attività ludico-conoscitive appartiene all’essere umano in generale come un suo bisogno ineludibile.8 È la funzione simbolica del pensiero che si manifesta sin dalle primissime esperienze compiute nell’infanzia (in questo le esperienze proprie del periodo infantile sono fondative di quelle future). Ciò che le distingue da quelle adulte non è quindi una differenza di tipo qualitativo ma quantitativo. Nell’infanzia questo bisogno di aderire alla realtà è assoluto; essa non può rinunciarvi che a costo di abbandonarle (ciò significa smettere di comportarsi in maniera spontanea e rinunciare all’impegno).9 L’adulto invece, pur continuando a sentire questo bisogno, riesce ad adeguarsi (consapevolmente o meno) alla sua perdita e proseguire nel proprio impegno ad agire accettando di sottomettersi a una logica strumentale in nome del desiderio egoistico di affermare la propria individualità. Questi obiettivi utilitaristici, che rispondono a una logica di natura competitiva con gli altri, prendono il sopravvento nella vita adulta su quelli originari, che erano nell’infanzia dettati dall’esercizio creativo del pensiero simbolico. Possiamo dire che questo passaggio corrisponde al prevalere di fini che in origine erano secondari in fini primari.
La differenza tra il tempo del gioco adulto e quello dell’infanzia sta proprio nel diverso ruolo che esso svolge nell’equilibrio complessivo della persona. Per l’infanzia i fini utilitaristici rimangono sempre come meri pretesti per potersi immergere completamente nella dimensione della finzione, cioè nella dimensione immaginaria. Negli adulti invece la dimensione ludica ha il carattere della eccezionalità e il suo tempo è quello del kairos, del momento straordinario.10 Il tempo dell’infanzia è invece sempre “sincronico”, non si rivolge mai al passato né al fu turo, ma aderisce sempre al momento presente. La differenza dunque tra il ruolo svolto dalla dimensione ludica nell’infanzia rispetto a quello nell’età adulta è netta, anche se la spinta originaria è la medesima: mentre nel tempo infantile la propensione a godere della funzione creativo-simbolica del pensiero è dominante (e quindi prevale nettamente l’uso del pensiero di natura immaginaria), in quello adulto prevale la funzione utilitaristica (ora facilitata dalla padronanza del pensiero razionale o logico-discorsivo). È questa la ragione per cui questa pulsione ludico-conoscitiva rimane negli adulti come una nostalgia di fondo per il tempo dell’infanzia, che è sempre vissuto con rimpianto. La sostanza profonda di questo sentimento va a mio avviso fatta risalire alla perdita, peraltro del tutto inconsapevole, della dimensione creativa e libera che aveva il pensiero durante l’infanzia.
Con l’avvento delle società storiche ci si è abituati progressivamente a pensare che sia naturale che la tensione vitale propria della dimensione ludica si vada perdendo. Uno dei presupposti del discorso che qui si sta facendo è invece che vi sia una continuità tra i due periodi: essa si basa sul fatto che la pulsione al padroneggiamento attivo (e all’uso del pensiero simbolico) è una tensione che rimane viva per tutta la vita, e che la sua perdita o il suo esaurimento abbiano conseguenze decisive per la successiva formazione del carattere adulto e per il tasso di serenità e armonicità della sua esistenza.11
Sulla presenza della dimensione ludica nelle attività adulte
Il carattere di “gratuità” (che prescinde cioè dalla sua verificabilità empirica, utilitaristica o scientifica) che contraddistingue il concetto di “attività ludica” è rintracciabile anche nelle attività che appartengono esclusivamente alla fase adulta. Esse possono essere così elencate in maniera estremamente sintetica.
• tutte le ricostruzioni sacre della vita, in cui i riti trasfigurano i “dati” in “funzioni” volte ad ottenere uno scopo immaginario desiderato (nel doppio senso di essere “recitazioni”);
• le gare sportive che esaltano il padroneggiamento fisico dei limiti fisiologici entro cui è inscritto il corpo;
• i giochi erotici, che utilizzano l’istinto sessuale per ottenere il massimo del piacere;
• l’esercizio della giustizia che richiede di circoscrivere l’agire all’interno di regole padroneggiabili; per questo essa viene esercitata all’interno di un cerchio magico in cui gli officianti, per mantenere vive le convenzioni (le finzioni) che hanno messo alla base del gioco, si travestono (si mascherano) per meglio trasmettere il loro potere di incarnarle.
• tutte le attività che non prevedono l’ottenimento di un beneficio materiale (che non sono quindi soggette al principio della necessità) e che rientrano sotto la definizione di attività ricreative (il vastissimo ambito delle attività cosiddette del tempo libero e dello svago).
• ogni rappresentazione artistica, letteraria o figurativa utilizza i dati a sua disposizione, i “dati” della vita vissuta, per ricomporli in forme e combinazioni nuove, che possano rendere il loro senso nascosto sotto forma di immagini.12
• le rappresentazioni teatrali che, astraendo dalla molteplicità degli aspetti in cui consiste la vita, ne estrapolano alcuni rendendoli prototipici. La stessa attività guerresca, fintanto che si svolgeva secondo delle convenzioni accettate da entrambi i contendenti, conteneva un aspetto di finzione.
• anche i rapporti tra adulti e bambini, quando rimangono all’interno di una dimensione del “piacere non strumentale della relazione”, possono essere considerati come immersi nella finzione: partecipare realmente a una attività infantile richiede di aderirvi senza riserve, mettendo tra parentesi ogni intenzionalità “educativa”.13
La perdita della spinta originaria alla ricerca di un soddisfacimento del piacere dell’appropriazione attiva (simbolica) del reale è ciò che si può continuamente constatare osservando come esse si trasformino facilmente, facendo assumere un ruolo primario ai fini secondari, utilitaristici, che erano inscritti in esse. Così le competizioni basate sull’esercizio fisico diventano attività competitive; le produzioni di carattere artistico diventano mezzi per l’autoaffermazione narcisistica o l’acquisizione di maggior potere sugli altri (in cui il potere normativo sviluppato viene utilizzato per l’affermazione di un potere di natura imperativa); le costruzioni di fedi e credenze si trasformano in apparati di potere finalizzati alla contrapposizione e al dominio sui gruppi che le rifiutano; le regole di condotta collettiva (le leggi), che nascevano per essere funzionali alla convivenza, si trasformano in mezzi per bloccare la loro naturale vocazione e adeguarsi, invece, alle nuove esigenze dell’adattamento fermando le cose allo status quo (trasformando regole nate per essere funzionali a una concezione della vita rassicurante in strumenti di oppressione). È così che le modalità di soddisfazione dei piaceri della cura di sé e della relazione interumana (di cui fanno parte le relazioni disinteressate con l’infanzia) vengono sacrificate una volta che la dimensione sociale del vivere perde di senso e rimane solo l’ansia dell’autoaffermazione.
È dunque alle attività infantili che bisogna guardare per definire la natura originaria della propensione ludica in quanto tale.
NOTE
4 È quello che abbiamo già nominato come il piacere della scoperta, che non è un piacere che può essere indotto forzosamente dagli adulti, ma che si manifesta spontaneamente durante tutte le fasi della crescita.
5 Il piacere, dice Aristotele, è «in ogni istante un che di intero e di compiuto».
6 La loro tensione al padroneggiamento attivo è praticamente inesauribile: ve- diamo come il loro modo di condurre le attività ludico-conoscitive (che sono la traduzione pratica di tale tensione) si rinnovi continuamente e non lasci margini ad un ripiegamento sul già noto. Basta osservare i ritmi dei loro giochi per accorgersi che in essi non vi siano pause che denotino una rinuncia a “fare esperienze” nuove: ogni loro atto si connota come un “mettersi alla prova” sempre rinnovato. Non mi sto riferendo ai contenuti specifici dei giochi (che anzi sono spesso e volutamente ripetitivi), ma alla energia che in essi viene impiegata: quello che comunemente viene definito “non essere mai stanchi” è proprio questo rinnovarsi continuo della tensione a provare se stessi in queste attività; essa non è altro che il continuo riproporsi della energia creativa che viene investita nell’attività; infatti le di coltà incontrate non producono normalmente una ri- nuncia, ma sono anzi, se non vengono inibite, uno stimolo a continuare.
7 I bambini giocando “non si accontentano” mai ripiegando su finalità diverse da quelle di partenza (il che non significa però che non siano in grado di accettare i propri limiti!)
8 È comunque possibile che le modalità in cui effettivamente si affronta e risolve questo compito siano insoddisfacenti, incomplete o addirittura fallimentari. Il ruolo degli adulti assume quindi una influenza decisiva in quanto possibili repressori o incoraggiatori del libero svolgersi di queste attività.
9 È ciò che ad esempio sta accadendo oggi con sempre maggiore frequenza nella prima adolescenza, con il rifiuto dello studio o con altre forme di isolamento e abbandono dell’impegno a livello relazionale.
10 Quello che si manifesta palesemente nell’uso delle festività per scandire il calendario (che è il tempo corrente, storico ‒ cronos).
11 È ciò a cui facciamo riferimento quando indichiamo come il fondamento dell’idea di educazione moderna sia quello di “dimenticare l’infanzia”.
12 Esse consistono sempre in una operazione di riduzione alla dimensione umana di elementi naturali; sono sempre una antropomorfizzazione del mondo materiale e inanimato; il fatto stesso di volerlo descrivere è sempre un atto di ridimensionamento del molteplice ad un aspetto o dimensione padroneggiabile. In esse c’è sempre meno di ciò di cui sono una rappresentazione. Sono “riduttive” in tutti i sensi: nelle dimensioni (molto spesso), in ciò che può rappresentare dal punto di vista contenutistico (ogni rappresentazione di un’idea non può mai contenerla tutta: la riduce necessariamente ad alcuni suoi caratteri essenziali). Questa “riduzione” consente di padroneggiare l’oggetto meglio di ciò che si può fare con i sensi: la miniaturizzazione ad esempio rende l’oggetto manipolabile (è ciò che troveremo a proposito dei giocattoli); essendo divenuto “cosa” esso diviene fruibile in vari modi: può essere utilizzato per scopi specifici: simbolici, utilitaristici, magici, ma comunque privi di una relazione necessaria con l’oggetto originale. Ogni rappresentazione, in quanto riduzione, è sintesi di ele- menti concettuali (strutturali) e sensibili (pensare e sentire), e quindi consente, a chi riesca a coglierla in quanto sintesi, di farne esperienza in maniera attiva, vedendola come un arricchimento e non semplicemente nella sua dimensione percettiva: di qui l’origine del piacere estetico.
13 Cosa c’è di più rivelatore di una risata condivisa tra un adulto e un bambino della presenza di un rapporto di scambio alla pari privo di qualsiasi intenzionalità “educativa”?
da Andrea Sola (da comune-info.net)