I fenomeni migratori
Il tema non riguarda solo la nostra epoca, ma l’intera storia di diversi popoli
di Umberto Berardo
20 Marzo 2023
Purtroppo solo i continui naufragi di imbarcazioni fatiscenti nel Mediterraneo o i respingimenti posti in essere da alcuni Stati pongono in primo piano all’attenzione dell’opinione pubblica i fenomeni migratori che talora, lungi da approfondite analisi di carattere storico, economico e politico, vengono affrontati sulla spinta di onde emotive o peggio ancora di interessi elettorali o illazioni ideologistiche di basso profilo.
Intanto occorre subito sottolineare l’idea che il tema non riguarda solo la nostra epoca, ma l’intera storia dei diversi popoli perché gli esseri umani, sin dalla loro comparsa sulla Terra, sono stati inizialmente nomadi come cacciatori e raccoglitori, poi conquistatori, esploratori, colonizzatori, deportatori e imperialisti muovendosi a livello territoriale e tra i continenti per le più diverse ragioni.
Questa mobilità interessa le epoche antiche, il Medioevo, ma si accentua con le grandi scoperte geografiche e il colonialismo muovendo poi con la rivoluzione industriale, a cavallo tra Ottocento e Novecento, circa sessanta milioni di persone in particolar modo tra il nostro continente e le Americhe.
Negli anni ’70 del secolo scorso si riducono i movimenti sud-nord mentre con la caduta del muro di Berlino il flusso di migranti dai Paesi del cosiddetto Patto di Varsavia verso l’Europa occidentale diventa notevole per ragioni di carattere economico e politico.
Seguono poi da noi i massicci spostamenti da paesi extra-europei e in particolare da Africa e Asia.
Di fronte a questo nuovo fenomeno vi sono Stati che, sia pure con difficoltà, accettano gli arrivi, mentre altri non nascondono la loro xenofobia e rifiutano gli ingressi o cercano accordi con le tribù libiche o con Erdogan per impedire tali flussi.
L’Europa purtroppo ancora non riesce a superare tali modalità diversificate o contrapposte che i popoli al suo interno hanno nelle relazioni con i migranti.
L’Italia come la Grecia o i Paesi dell’area balcanica diventano le mete attraenti di primo approdo di disperati che cercano una loro ricollocazione in territori più ricchi.
La gran parte di essi giunge senza alcuna qualificazione professionale, ma non mancano persone istruite che si muovono per la crisi di alcuni settori di occupazione nel loro Paese o perché fuggono da nazioni in guerra governate da dittatori o peggio ancora da capi tribù che non garantiscono alcun diritto civile, sociale e politico.
Dopo un tale schematico ma inevitabile quadro storico mi pare importante determinare le cause dei fenomeni migratori che traggono origine da fattori di diversa natura.
Quelli politici riguardano persecuzioni etniche, religiose, razziali, politiche e culturali, guerre, violazione dei diritti e generano profughi o migranti umanitari; ragioni di ordine demografico o legate alla povertà muovono quelli economici che secondo i dati delle Nazioni Unite sarebbero stati solo nel 2017 ben centosessantaquattro milioni; motivi di carattere ambientale come siccità, terremoti, inondazioni o uragani spostano ancora tantissimi a ricercare un nuovo luogo sicuro di residenza.
La tipologia delle migrazioni è assai varia.
Possono essere interne ed esterne al proprio Paese, temporanee e definitive, individuali, di gruppo o di massa, spontanee ossia determinate da una scelta volontaria e autonoma, forzate come negli esodi e infine coatte come nel caso delle deportazioni o dei confinamenti.
Non dimentichiamo che nella storia ve ne sono state alcune pacifiche, ma anche altre violente come le invasioni barbariche, cioè le scorrerie che popoli non italici e definiti barbari compirono all’interno dei confini dell’Impero Romano tra il 166 e il 476 d.C. determinando la caduta della sua parte occidentale o le altre poste in essere in tutte le epoche storiche da colonizzatori che hanno talora sterminato i popoli indigeni.
Il trasferimento forzato più disumano ha riguardato sicuramente la tratta dei negri dall’Africa verso l’America settentrionale, ma non possiamo, per citare altri esempi, dimenticare la relegazione degli indiani d’America verso le riserve, degli ebrei verso i campi di concentramento o nella nostra epoca dei curdi o dei palestinesi in aree talora prive di qualsiasi risorsa.
La seconda guerra mondiale, il delirio nazista o le tante sopraffazioni di etnie minoritarie hanno costretto molti a fuggire dalla violenza del conflitto armato e dalla persecuzione; la Convenzione di Ginevra nel 1951 ha introdotto così la figura giuridica del rifugiato che già tuttavia aveva avuto un suo riconoscimento nella Costituzione Italiana all’articolo 10 che recita testualmente “lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo”.
La decisione di emigrare può essere obbligata, ma anche consapevole, libera, razionale e dettata dal semplice calcolo del rapporto costi-benefici.
Il sistema capitalistico e il colonialismo non solo hanno impoverito tanti Paesi depredandoli delle risorse, generando dittature consenzienti ai loro interessi e determinando le rotte migratorie di massa, ma oggi, pur avendo bisogno di manodopera sia in agricoltura che nelle industrie in tanti lavori ricusati dalle popolazioni locali, impediscono la regolarizzazione degli immigrati per sfruttarli in maniera illegale nel mercato del lavoro con miserrimi pagamenti in nero.
Chi emigra fugge da una situazione di emarginazione per ritrovarsi paradossalmente nei luoghi di arrivo in una nuova condizione di ricattabilità e dipendenza.
Ogni tanto qualche episodio tragico di naufragio riporta il fenomeno al centro dell’attenzione dei mass-media e allora se ne discute genericamente per un po’ di giorni.
La verità è che le stragi di migranti hanno ormai una sorta di serialità che ha finito per narcotizzare la coscienza di quanti si sono abituati all’idea che si possa morire per tali viaggi che banalmente anche autorevoli esponenti politici invitano a non intraprendere mentre ipocritamente ci sono governi che, dopo aver costruito muri come in Ungheria, centri di detenzione simili a lager o aver pensato perfino a blocchi navali nel Mediterraneo, trovano ora tutti gli escamotage per aggirare e perfino impedire i salvataggi in mare anche da parte delle ONG.
Si arriva a impartire lezioni di comportamento a disperati che pongono a repentaglio la propria vita e quella dei familiari su un barcone per ammonire cinicamente a non partire.
Continuiamo a sostenere che occorre perseguire i trafficanti di esseri umani immaginandoli e conseguentemente ricercandoli tra quelli che fanno navigare le imbarcazioni fatiscenti, fingendo d’ignorare che i veri responsabili sono al sicuro nei Paesi di partenza dove godono di tutte le protezioni delle autorità con le quali noi facciamo accordi vergognosi e immorali.
La mia netta sensazione è che dietro le resistenze all’accoglienza persistano forme di xenofobia che abbiamo l’assoluta necessità di superare sul piano etico, culturale ed educativo.
Pochi sono capaci di riconoscere che né l’Unione Europea né tantomeno i Paesi ad essa aderenti hanno mai pensato seriamente di eliminare l’immigrazione irregolare creando corridoi umanitari, servizi di accoglienza e leggi umane d’integrazione.
La verità è che queste soluzioni elementari non si sono mai volute porre in essere concretamente.
In Italia il primo passo dovrebbe essere quello di cambiare subito le norme previste dalla legge Bossi-Fini che risale al 2002 e che è stata perfino sconfessata in parte da uno dei suoi autori.
Vedremo quale dovrà essere l’agenda per il futuro; di sicuro l’oggi deve vederci impegnati nel soccorso a chi fugge dalla disperazione per cercare un briciolo di serenità di vita.
Se nel mondo abbiamo creato squilibri di natura socio-economica con un continuo e insostenibile incremento delle disuguaglianze è del tutto naturale che crescano le migrazioni.
C’è allora, come scrive papa Francesco nell’enciclica Fratelli Tutti «il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra», ma esiste anche la libertà di lasciare il proprio paese come ha sancito la Dichiarazione di Helsinki sui diritti umani.
Per cercare una responsabilità di coscienza, un senso pieno di umanità e una linea chiara di orientamento politico al riguardo occorre anzitutto capire che l’emigrazione è un fenomeno strutturale mentre noi stiamo continuando a commettere l’errore di affrontarlo in maniera emergenziale con regolamenti superati come quello di Dublino e strumenti assolutamente impropri e del tutto datati.
Dietro l’attuale movimento migratorio, che sicuramente presenta talora aspetti irrazionali e finanche incomprensibili, c’è anche la presenza di giochi d’interessi criminali delle mafie che hanno trovato un nuovo modo di arricchirsi sfruttando disumanamente i poveri, ma siamo anche davanti ad azioni subdole dei poteri forti che se ne servono per destabilizzare alcuni Stati.
Su questi fenomeni le analisi di carattere geopolitico vanno naturalmente estese e approfondite.
Un altro concetto da comprendere è che le dittature usano i migranti come mezzo di ricatto e noi cadiamo in queste logiche insensate piuttosto che combattere le oligarchie con le quali ci guardiamo bene dall’interrompere lucrosi affari e intratteniamo perfino accordi per fermare in maniera indecente le masse di disperati che spingono ai confini dell’Europa.
La sensazione attuale è che gli Stati e le organizzazioni internazionali, facendo prevalere interessi di natura economica, non abbiano la volontà di affrontare le cause reali del fenomeno che risalgono a figure di dittatori, plutocrati e teocrati al vertice di regimi che non garantiscono alcun diritto ai cittadini.
L’ Unione Europea dibatte da anni ipocritamente sul fenomeno in questione senza porre in essere una volontà chiara di opposizione alle dittature e alle plutocrazie che ne sono all’origine; spesso anzi stipula con esse accordi illusori e rimunera la ghettizzazione dei migranti all’interno del loro territorio per impedire che possano raggiungere gli Stati nei quali cerchiamo di preservare un benessere spesso costruito con sistemi economici del tutto iniqui.
Questa assenza di responsabile umanità ha le sue origini nelle relazioni economiche intrattenute con chi, negando diritti ai cittadini, ne provoca le migrazioni attuate tra l’altro senza alcuna forma di sicurezza.
La storia dovrebbe insegnarci che dietro la crescita economica di alcune aree e le conquiste culturali, scientifiche e sociali c’è un modello di sviluppo talora immorale e discriminante che genera disuguaglianze e sta rischiando perfino la distruzione del pianeta.
I movimenti di popolazione tra diversi territori sono anche la conseguenza di tutto ciò.
Fermarsi, come si sta facendo in questi giorni, a polemiche talora sterili sugli sbarchi piuttosto che governare il fenomeno con politiche innovative serve davvero a poco se si vogliono davvero creare soluzioni ai problemi che viviamo.
Il flusso crescente va coordinato e regolamentato a livello di Unione Europea non potendo sicuramente essere gestito sul piano bilaterale dai singoli Stati, ma agendo anzitutto sui fattori di espulsione e creando poi le condizioni d’integrazione nei territori di arrivo.
Superare lo Statalismo ma soprattutto l’Imperialismo richiede in particolar modo una grande consapevolezza culturale che è quella dell’eliminazione del concetto di straniero maturando l’idea dell’appartenenza a un’unica comunità che è quella umana e che richiede da tutti la disponibilità a creare la nascita di un internazionalismo tra i popoli regolato da leggi condivise, democratiche e rispettose dei diritti individuali e collettivi.
Siccome l’emigrazione è un fenomeno strutturale, abbiamo fondamentalmente quattro modi per uscire da forme risolutive ipocrite e gestirlo con senso di umanità: rimuovere le cause che lo determinano, limitarne la portata, rendere sicuro il percorso dei flussi e organizzare modalità di accoglienza e forme adeguate e condivise d’integrazione.
di Umberto Berardo